COSENZA Vitaliano De Salazar è da pochi mesi il commissario straordinario dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. Nato a Catanzaro, ha un curriculum prestigioso e tra l’altro è stato ai vertici di importanti società per azioni e direttore generale delle Asl Roma 3, Roma 5 e Roma B, dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, dell’ospedale romano Sant’Andrea e dell’Azienda regionale emergenza sanitaria 118 del Lazio.
Nell’intervista che ci ha rilasciato, De Salazar racconta la riorganizzazione in corso dell’ospedale di Cosenza ed è ottimista sul futuro della sanità della Calabria. «Ora o mai più, bisogna convergere – premette – per rilanciare il Servizio sanitario regionale. Non c’è più spazio per la conflittualità e per le polemiche; dobbiamo avere tutti la coscienza che è in atto un cambiamento impegnativo ma necessario, nel delicato ambito della tutela della salute dei cittadini. Lo dico da calabrese, con cognizione di causa, convinzione e responsabilità. È tempo di cooperare, di dimostrare che in Calabria esistono le capacità e la volontà di costruire per il bene comune, di migliorare ogni giorno la sanità pubblica al fine di dare risposte sempre più efficaci e di qualità, tanto nelle cure quanto nella prevenzione».
Che impressione ha avuto dell’ospedale di Cosenza, nei primi mesi da commissario? Quali sono le questioni più urgenti che ha già affrontato?
«L’impressione è che ci lavorino tanti bravi professionisti, ma organizzati male. Atteso che sono in carica neanche da cinque mesi, un risultato tangibile è l’avvenuta riorganizzazione del Pronto soccorso. Si trattava di un problema che si trascinava da anni, rispetto al quale dovevo intervenire con fermezza, rapidità e metodo. Oggi il Pronto soccorso, rinnovato nelle persone e nelle responsabilità, è un’unità operativa degna della propria missione. Abbiamo svolto un lavoro incessante e abbiamo centrato l’obiettivo. Lì le persone e i cittadini sono curati con indubbia professionalità e con una riduzione dei tempi in caso di accettazione del paziente, ovviamente in codice rosso, nel rispetto dei tempi programmati dal ministero della Salute. Rimane però un problema serio che stiamo affrontando. Mi riferisco ad una mancata manutenzione degli ambienti ospedalieri, che reputo inammissibile. Garantisco, però, che con i tempi occorrenti ci metteremo mano. Un esempio per tutti: ero appena arrivato, il presidente Occhiuto, in visita a sorpresa, rileva la mancanza di una tettoia nella sede del Cup. Vi sembra possibile che nessuno, dall’interno, se ne sia reso conto? Insomma, c’è tanto lavoro da fare, ma ci riusciremo a compierlo».
Difatti le condizioni del Pronto soccorso del presidio ospedaliero di Cosenza erano finite sotto i riflettori dei media, c’erano state molte doglianze e cresceva la sfiducia degli utenti, alcuni dei quali in passato avevano scritto lettere molto pesanti ai giornali, perfino con conseguenti atti di sindacato ispettivo parlamentare. Perciò era indispensabile metterci mano.
«Il Pronto soccorso è la porta d’accesso all’ospedale; infatti, assorbe il 70 per cento degli accessi. Allora si è dato un forte impulso per risolverne le criticità risapute. Oggi possiamo dire che il Porto soccorso di Cosenza funziona bene».
Quali sono le priorità di cui si sta occupando?
«Intanto, mi sto occupando di una riorganizzazione profonda dell’ospedale dell’Annunziata, che passa attraverso l’analisi generale e l’analisi organizzativa, gestionale e dei bisogni; a partire dalla prima emergenza, cioè il Pronto soccorso, che abbiamo messo a posto. Il mio compito è far riprendere a questo ospedale una produzione degna di un Hub. Si sa che l’ospedale di Cosenza ha perso tanta produzione negli anni, più di 20 milioni di euro. Certo, il termine “produzione” può suonare male, ma lo utilizzo per significare “produzione di salute”. Ci stiamo concentrando affinché tutte le sale operatorie, dato che i professionisti li abbiamo, riprendano a produrre. I primi tre mesi del 2023 ci fanno sperare in un aumento significativo della produzione ospedaliera, perché abbiamo recuperato circa 3 milioni di euro. Se proiettata nell’intero anno corrente, la cifra diventa importante. Ancora, stiamo analizzando le problematiche di tutti i reparti. Ritengo che debba essere riorganizzato il settore materno-infantile. A tale ultimo riguardo, come sistemazione alberghiera l’ospedale dell’Annunziata porta con sé delle carenze, visto che è una struttura degli anni Trenta. Però abbiamo già aperto un nuovo reparto. Circa la professionalità nell’ambito materno-infantile, c’è tutta. Per quanto concerne l’accoglienza e l’umanizzazione, partirà da qui a due mesi un progetto di formazione poderoso. Con il gruppo del materno-infantile ho avuto una riunione 15 giorni fa. Ho riscontrato una grande competenza nelle varie figure. Il Punto nascita fa duemila parti l’anno, quindi il reparto è efficace. Però, alcuni aspetti vanno migliorati. Anche per questo sto lavorando con tanta fiducia».
Prenotazioni e Oncologia sono altre questioni su cui sta lavorando.
«Anche il Cup (Centro unico prenotazioni, nda) deve essere migliorato. Dobbiamo però capire il momento, che è di cambio tecnologico. C’è infatti la transizione al Cup regionale. Pertanto, in questi giorni si presenta qualche disagio, ma legato alle tecnologie e dipendente dal passaggio da un sistema ad un altro. Ci troviamo di fronte ad una criticità momentanea, ma avremo un miglioramento significativo nel brevissimo termine. A fine mese, poi, concluderemo, seppure con un mese di ritardo, il trasferimento al presidio del Mariano Santo dell’Oncologia, atteso da cinque anni».
So che sta seguendo in prima persona l’acquisto di nuovi strumenti tecnologici.
«Sì. Stiamo ammodernando il parco tecnologico. Questo è un processo lento, graduale ma inarrestabile. Stiamo acquistando macchine di ultima generazione con i tempi richiesti dalle garanzie del sistema pubblico».
È sempre molto difficile che un professionista della sanità di origini calabresi ritorni per lavorare nella propria terra. Che cosa ha significato per lei, dal punto di vista emotivo e anche dell’impegno concreto, accettare la sfida di dirigere l’ospedale di Cosenza?
«Ognuno di noi ha un suo credo, una sua anima imperscrutabile. In me c’è un po’ di follia, cioè l’assenza di calcoli opportunistici. Io sono venuto qui perché a questa terra voglio bene. Io sono di qui, i miei genitori sono sepolti qui e torno spesso. Nello specifico, sono stati determinanti l’amore per la terra natia e la conoscenza del presidente Occhiuto. Il lavoro non mi manca, neanche a Roma. Però il presidente Occhiuto ha un linguaggio, un modo di porsi, una gentilezza e una motivazione non comuni, tutti elementi che mi hanno convinto a tuffarmi in questa avventura. La sanità, senza una visione politica, senza un condottiero, non va da nessuna parte. Nel presidente della Regione intravedo queste qualità. Ma non vorrei essere frainteso. Non mi piacciono le adulazioni e ho peraltro un caratteraccio, cioè sono molto diretto. La schiettezza a volte è ruvidezza, a volte una dote positiva. Con il presidente, stiamo cercando di rimettere la sanità calabrese a posto. Il dinamismo del presidente Occhiuto e il fatto che non metta limiti rappresentano un valore aggiunto che non è facilmente riscontrabile in Italia. Appunto, ribadisco “adesso o mai più”».
Nello scorso dicembre è successo un fatto importante. È stato siglato il protocollo tra Regione Calabria, Università della Calabria e Azienda ospedaliera cosentina. Ne avevamo parlato con il rettore dell’Unical, Nicola Leone, che ci aveva rilasciato un’intervista molto articolata. Qual è il suo punto di vista tecnico circa il progetto di rilancio della sanità calabrese con la realizzazione di un policlinico universitario nella città di Cosenza?
«Ho diretto l’ospedale romano Sant’Andrea, che è un’azienda ospedaliera integrata. Quindi, ho già un’esperienza in tal senso. Questa è una visione valida, molto valida, che può portare solo benefici. Li può portare in termini di adeguamento tecnologico e li porta in termini di professionalità, perché c’è l’integrazione tra un vissuto ospedaliero, quello dei “miei” medici, e un vissuto universitario, quello delle professionalità dell’ateneo cosentino. Il robot Da Vinci è stato un investimento importante, di circa tre milioni di euro, con un percorso di formazione specifica presso il centro sperimentale di Caserta. Così si arriva al riconoscimento dei professionisti e ad una migliore cura per i pazienti. Credo che si debba ragionare in maniera seria e approfondita sulla sanità del futuro. Ho questo tipo di approccio. Ora forse vado un po’ fuori tema, ma è già tra di noi l’intelligenza artificiale. Dobbiamo immaginare come da qui a due anni la sanità possa crescere, il che comporta anche un cambio culturale, un cambio di mentalità rispetto alle prospettive del futuro e ai nuovi bisogni».
Lei ha un incarico che al momento si profila di breve durata. Tuttavia, come immagina il futuro dell’ospedale cosentino?
«In primo luogo, immagino un nuovo ospedale, già previsto dal presidente Occhiuto. E immagino un ospedale, anche fisicamente, modulare, con grandi spazi, con un’integrazione fra Azienda ospedaliera e università che sarà arrivata al suo culmine, che sarà compiuta. Avremo professionisti seri e professori universitari. Soprattutto, avremo giovani, specializzati e specializzandi, che sono il nostro futuro, sia come cittadini che come padri. I giovani avranno da insegnarci, perché negli ospedali si deve anche ringiovanire. Bisogna trattenere le esperienze che insegnino, che facciano scuola, e occorre ringiovanire. Ecco, io immagino una comunità ospedaliera con spazi ampi, con macchinari all’avanguardia, con i nostri medici che devono trasmettere il mestiere ai giovani e devono farli crescere».
Anche per trattenere i giovani professionisti nella loro regione?
«Assolutamente sì, sarà un chiavistello per farlo. Immagino un ospedale che sia un punto di riferimento reale, un vero policlinico. Non dimentichiamo, ce lo diciamo sempre, che noi calabresi stiamo dappertutto. Se noi andiamo a Roma, i momenti decisori e i momenti strategici sono nelle mani, nella maggior parte dei casi, di calabresi».
Qual è il suo punto di vista sulla riorganizzazione dei servizi sanitari pubblici della Calabria, per cui è stata necessaria una ricognizione del debito?
«È un aspetto più di competenza del livello regionale. Tuttavia, la ricognizione del debito è pressoché conclusa ed è la condizione essenziale per dire innanzitutto che cosa eravamo, che cosa non dobbiamo più essere e che cosa vogliamo essere. Perché, insomma, i conti parlano; in questo caso, i debiti parlano. Io ho fatto una ricognizione al mio interno e sto facendo anch’io un piano di efficientamento, che prenderà luce nelle prossime settimane».
Riguardo alla sanità calabrese, lei non pensa si debbano migliorare l’informazione e la comunicazione, in modo che l’utenza abbia un concetto differente del Servizio sanitario regionale, non condizionato dalle narrazioni dominanti?
«Sicuramente sì. Il racconto della sanità calabrese deve migliorare a beneficio dei pazienti e dei sanitari. Peraltro, trovo che sia utile Sanibook, cioè il sistema on line che il presidente Occhiuto ha messo a disposizione dell’utenza per segnalare come funzionano i servizi e per aiutarci a renderli più rispondenti ai bisogni dei cittadini. È uno strumento valido, perché ci aiuta a comprendere dove possiamo migliorare. Noi dobbiamo dare un messaggio di serenità un po’ a tutto il sistema sanitario. Non c’è alcuna caccia alle streghe, però dobbiamo migliorare tutti insieme. Al riguardo, vi sono due necessità: bisogna che parliamo la stessa lingua con l’utenza e occorre che il miglioramento dei servizi sia continuo. Dobbiamo uscire fuori dalle nostre postazioni di difesa e dobbiamo diventare proattivi. Di certo abbiamo delle eccellenze su cui puntare, ma è altrettanto fondamentale l’impegno costante per aumentare la qualità dei servizi giorno per giorno».
Quali sono le parole chiave di questa lingua comune e della cultura del miglioramento permanente di cui lei ha parlato?
«“Competenza”, “rigore” e “amore”, ricordando un monito di Papa Francesco, secondo cui “la Sanità è anche carità”».
Qual è invece il suo augurio personale per l’Azienda ospedaliera che sta dirigendo?
«Il mio augurio personale è che io diventi inutile, che l’Azienda vada da sola, con i suoi automatismi, con il suo senso di responsabilità. Mi auguro, inoltre, di alimentare un cambio culturale e che questo sia trasmesso a tutti i dipendenti. Allora mi sentirei fiero». (redazione@corrierecal.it)
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