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«My Way, il testamento che ognuno vorrebbe per sé»

Quando Frank Sinatra incise per la prima volta My Way, il 1969, non immaginava di avere registrato uno dei più grandi successi planetari, una canzone che gli sarebbe rimasta addosso, appiccicata, …

Pubblicato il: 12/05/2023 – 15:06
di MARIO CAMPANELLA
«My Way, il testamento che ognuno vorrebbe per sé»

Quando Frank Sinatra incise per la prima volta My Way, il 1969, non immaginava di avere registrato uno dei più grandi successi planetari, una canzone che gli sarebbe rimasta addosso, appiccicata, nonostante egli non la amasse affatto. Di derivazione francese, inserita nel catalogo comme d’habitude di Paul Anka, My Way è il testamento che ognuno di noi vorrebbe poter scrivere, il cui senso nella traduzione non rende al meglio il significato e le intenzioni. Per Frank, l’uomo che molti accostavano a Cosa nostra, quello che beveva abitualmente una bottiglia e mezzo di whisky il giorno e fumava tre pacchetti di sigarette, era indispensabile non solo cantarla nei concerti ma fare il bis. My Way è il bilancio di fine vita di un uomo che non rinnega nulla di ciò che ha fatto. Che racconta in un rosario abilità e difetti , che ammette di avere amato, riso e pianto ma sempre a modo suo. For what Is a man? What has he got? Scrive Anka. Cos’è un uomo, cosa gli appartiene? Se non se stesso. Questa autocelebrazione non cara a Sinatra fa’da  specchio alla dichiarazione che è in linea con una narrazione tutta vissuta con consapevolezza. Non c’è rimpianto alcuno, ma solo la ricapitalizzazione di avere vissuto alla propria maniera. Quest’uomo che dichiara anche le proprie sconfitte, ricorda di non avere mai avuto rimpianti. L’esatto contrario della stragrande maggioranza di chiunque dovesse fare realmente un bilancio della propria esistenza. My Way, con una musica straordinaria, deve la sua fortuna alla voce unica di Sinatra. Per quanto the Voice non amasse il testo, probabilmente la sua stessa vita ne era una riproduzione fedele. Non solo per il disordine connesso (tante mogli, troppo alcol), né per la ricchezza (circa un miliardo di dollari,) lasciata in eredità. Forse per quel senso di libertà con la quale ha spadroneggiato nei suoi 85 anni. Cantata da tantissimi altri, persino da un Robbie Williams che alla Royal Albert Hall non nascose il pianto, My Way resta la canzone di Frank. Il John Fontaine de il Padrino, l’uomo che riusciva ad arrivare a vette vocali uniche.  Quello che ne disprezzava il significato. Nella trasposizione letteraria solo Memorie di Adriano, capolavoro di Margherite Yourcenar, raggiunge le vette del testamento ideale di My Way. In quel caso, il grande imperatore nella narrazione immaginaria volge un ultimo sguardo al mondo . Adriano sì accomiata con saggezza, con la calma di chi sa di essere lontano dalle passioni e dalle loro turbolenze. My Way, epitaffio immortale della musica leggera, non è in sostanza la negazione dell’autocritica. È , invece, la confessione di una vita, di per sé esposta a fragilità e miserie. Vissuta a modo proprio. Senza essere altro che se stessi

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