«Non sono di destra e mi arrovellai. Ma Jole mi aveva chiesto di aiutarla a cambiare la nostra bellissima regione. Amava la Calabria. Voleva vedere la legalità prevalere e puntava sulla ricerca. Come potevo dire no?». Ritorni in Calabria, universi circolari (la ricercatrice propende per l’ipotesi dell’universo piatto), contrasti nel mondo universitario tedesco. Sandra Savaglio si racconta a Repubblica e l’intervista ha qualche passaggio “calabrese”. Dovuto alla sua breve esperienza da assessore regionale alla Ricerca nella giunta della compianta presidente Jole Santelli. E non solo.
La ‘Ndrangheta, per esempio: «So che c’è – risponde Savaglio –, ma non mi ha mai toccato direttamente. Per il telescopio Hubble ho lavorato alcuni anni a Baltimora, città da 300 omicidi all’anno. Se una volta ho rischiato la vita è stato lì, quando un folle è entrato a casa dal balcone a mezzanotte al sedicesimo piano. Negli Usa vai al cinema e sai che il tuo vicino potrebbe tirare fuori una pistola. Credo che l’America sia più violenta della Calabria e che la Calabria abbia problemi più seri perfino della ‘Ndrangheta». Perché è una regione con «le stesse storture dell’Italia, ma moltiplicate per tre. Il pubblico è un macchinario lentissimo. A muoverlo spesso sono chiamate persone senza motivazione, che non sanno fare le cose o che hanno le mani legate».
Il rapporto della sua compagna tedesca Uta con la Calabria è «sofferenza e amore. Non le piacciono i cani randagi, la spazzatura, gli incendi, la guida sregolata. Le piace il sole, la cultura, l’umanità della gente e il festival di Sanremo. D’altra parte, avete mai provato ad ascoltare il pop tedesco?». Lei, invece, piace «a tutti.. Non ci siamo mai sentite discriminate. Sarà anche perché queste cose ci lasciano indifferenti».
Sono passati anni dalla copertina di Time che l’ha rappresentata com simbolo dei cervelli in fuga. L’esperienza alla Johns Hopkins University di Baltimora, poi l’Istituto Max Planck in Germania e il ritorno all’Università della Calabria. «Mi ha chiesto di tornare il professore con cui mi laureai nel 1991 – spiega –. Era il 2012 e il governo aveva un programma per il rientro dei cervelli. Io gli risposi di sì, poi non seppi più nulla. Pensai che in Italia succede sempre così, che qualcuno si era messo di traverso. Invece più di un anno dopo ricevetti il messaggio: la procedura si è conclusa positivamente». E «quando ho ricevuto la chiamata dalla Calabria ho pensato: quella è casa mia». Dalla Germania, d’altra parte, sarebbe andata via. Le condizioni di lavoro sono migliori ma «può essere sorprendentemente rigida, gerarchica, maschilista». Il Max Planck non era esattamente un paradiso: «Denunciai i soprusi contro una ricercatrice e mi feci dei nemici. Il comitato chiese se avessimo assistito a soprusi ai danni delle donne mi ritrovai con la mano alzata e riferii la storia della collega. Una ricercatrice italiana poi mi disse sorridendo: proprio tu che sei calabrese hai rotto l’omertà dell’istituto».
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