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Rinascita Scott, la requisitoria: «La ‘ndrangheta si mette in mezzo e risolve i problemi»

Il ruolo da intermediario di Giuseppe Mancuso, classe ’90, per riscuotere i debiti. Gli Artusa, «imprenditori che vivono grazie all’associazione perché gli associati li supportano»

Pubblicato il: 16/05/2023 – 20:23
di Alessia Truzzolillo
Rinascita Scott, la requisitoria: «La ‘ndrangheta si mette in mezzo e risolve i problemi»

LAMEZIA TERME Nel 2014 Giuseppe Mancuso, classe ’90, figlio di Giovanni Mancuso, aveva 24 anni. Nonostante la giovane età viene considerato molto vicino al boss Luigi Mancuso del quale, ricorda il pm Andrea Mancuso durante il processo Rinascita Scott, ha curato la latitanza.
Oggi in aula è stato ribadito un concetto: «La consorteria di ‘ndrangeta risolve i problemi. I maggiorenti si mettono nel mezzo e risolvono problemi», ha ribadito il magistrato. E questo l’accusa ritiene fosse anche il ruolo di Giuseppe Mancuso, classe ’90: mettersi in mezzo, alzare la voce e ripristinare le controversie grazie alla «carica minatoria derivante dal ruolo che gli viene riconosciuto».
Così, dice l’accusa, si attiva per recuperare un debito in favore di una terza persona. Dal 9 al 19 maggio 2014 si rivolge ripetutamente al debitore, il quale cerca di rinviare di volta in volta il pagamento. Ma Mancuso cerca di stringere i tempi, i toni si fanno sempre più minacciosi: «Niente che se non glieli porti vuole litigare…», «Questo qua è brutto, mo ti accoppa». In una occasione Mancuso passa al telefono al debitore un tale Antonio che senza troppi giri di parole intima: «No! Forse non hai capito … mezz’ora aspetto, dopo di che vengo a casa tua e faccio un macello». L’evoluzione della storia ha toni sempre più aggressivi.
Dalle ultime conversazioni si intende che il debitore ha fatto ricorso al prestito di un amico. «Ragionevolmente – dice il pm – è da ritenersi che i soldi siano stati ricevuti da Mancuso e l’estorsione si è consumata».

«Vado a Rosarno a prendere gente»

In un’altra occasione il giovane Mancuso si mette in mezzo a due persone, Vito Galati, 66 anni, titolare di una ditta di prodotti di panetteria, e Salvatore Marasco, 67 anni, in debito con Galati per avere preso 600 euro di freselle senza saldare il conto. Quando Galati gli chiede conto del debito Marasco non usa toni concilianti: «Se vuoi i soldi devi venirli a prendere alla Piana di San Calogero».
Galati intende la minaccia e si rivolge a Mancuso. Parlano al telefono, Mancuso, che è più giovane, gli dà del voi.
«Ora mi va minacciando – dice Galati –. Se vado alla Piana, al paese non so se torna lui». Galati racconta a Mancuso che Marasco lo avrebbe minacciato di andare a Rosarno «a prendere gente».
«Lui va minacciando i cristiani», insiste il titolare del panificio.
I toni si sono fatti accesi e Giuseppe Mancuso, messo da parte l’iniziale galateo invita Galati «con me devi parlare più pulito».
«Giuseppe Mancuso – ricorda l’accusa – è un affiliato che si è messo nel mezzo».
Un affiliato che è consapevole della carica minatoria prorompete dalle proprie parole: «Tu devi andare, vedi quello che cazzo devi fare … vai a portargli i soldi – dice a Marasco –… le friselle te le sei prese?…», e ancora: «…eh, ma … vai a trovarli da qualche parte e vai a darglieli turi! hai capito?» e infine: «Adesso gli dico sabato e sabato vai a portarglieli … così si finisce questa storia!», dice Mancuso a Marasco. Il debito viene ripagato.

«Imprenditori che vivono grazie all’associazione»

Il sostituto procuratore Antonio De Bernardo in apertura di requisitoria ha definito taluni soggetti «utenti» della ‘ndrangheta. Questa mattina il pm Andrea Mancuso ha parlato di «imprenditori che vivono grazie all’associazione, perché gli associati li supportano». In particolare, nel lungo rosario dei reati fine del processo Rinascita Scott, ha parlato degli imprenditori Mario e Umberto Artusa, specializzati nel settore dell’abbigliamento. I negozi Artusa stavano sul centralissimo corso Giovanni Nicotera di Lamezia Terme e c’era altre due sedi su corso Vittorio Emanuele a Vibo. Quando la società degli Artusa fallisce «la vorticosa attività degli Artusa è rivolta a tornare in possesso degli immobili a discapito dei proprietari, anche chiedendo canoni più bassi di quelli stipulati in precedenza. Per fare questo si rivolgono ad appartenenti al clan Mancuso». Si rivolgono a Gianfranco Ferrante, Emanuele La Malfa, ma anche – a dimostrazione delle concatenazioni tra clan – al boss di San Gregorio d’Ippona Saverio Razionale. I toni sembrano morbidi ma sono affilati: «Non è che rinunciate a trecento euro … perché dobbiamo fare un favore non a loro ma a qualche altro … mi sono spiegato?». Il «qualche altro» è la cosca Mancuso.
Lo scopo di mettere in mezzo questi soggetti, spiega il pm, «è quello che i proprietari degli immobili scendano a più miti consigli». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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