COSENZA Quante cose sono cambiate da quel primo settembre 2022, quando la Dda di Catanzaro ordinò il “Reset” della ‘ndrangheta confederata di Cosenza. I Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza, il personale della Squadre Mobili delle Questure di Cosenza e Catanzaro, e del Servizio centrale Operativo di Roma, i Finanzieri del Comando Provinciale di Cosenza, del Nucleo di Polizia Valutaria di Reggio Calabria, con il Gico del Comando Provinciale di Catanzaro e lo Scico di Roma, diedero esecuzione all’ordinanza cautelare, emessa dal gip presso il Tribunale di Catanzaro, nei confronti di 202 indagati.
Tutti a vario titolo accusati di associazione di tipo ‘ndranghetistico, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravato dalle modalità e finalità mafiose, associazione a delinquere finalizzata a commettere delitti inerenti all’organizzazione illecita dell’attività di giochi – anche d’azzardo – e di scommesse, delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di beni e valori, nonché in ordine ad altri numerosi delitti, anche aggravati dalle modalità e finalità mafiose. L’inchiesta – secondo l’accusa – avrebbe consentito di scoprire attività illecite, interessi e business dell’associazione criminale ‘ndranghetistica operante a Cosenza e nei comuni dell’hinterland e articolata in diversi gruppi autonomi ma organicamente confederati e «riconducibili al vertice rappresentato da Francesco Patitucci». Per anni reggente del clan degli “Italiani”, rappresenterebbe «l‘autorevole ed indiscusso riferimento per tutti gli associati alla confederazione di ‘ndrangheta operante nella città e nell’hinterland cosentino, avendo assunto nel tempo le doti di ‘ndrangheta più elevate e corrispondenti a quella di “capo società”». Una figura in grado di fare da collante tra i vari gruppi, da mediatore nelle questioni più spinose e pronto a delegare quando necessario al suo «delfino», Roberto Porcaro.
Patitucci però non aveva messo in conto la possibilità che il suo fedelissimo vice potesse saltare il fosso, scegliendo di collaborare con la giustizia. Un pentimento prima annunciato da ignoti con un eloquente striscione apparso a Rende (qui la notizia) e poi confermato qualche ora dopo quando il Corriere della Calabria ha annunciato l’inizio della collaborazione con i magistrati della Dda di Catanzaro. Una decisione che ha sparigliato le carte e aperto nuovi scenari investigativi: le rivelazioni di Porcaro saranno preziose per continuare a contrastare la criminalità organizzata cosentina. E quella scritta che lo bolla come “infame”, nasconde forse il timore per il potenziale deflagrante dei suoi verbali. Prima di Porcaro, altri due indagati nell’inchiesta “Reset” avevano deciso di saltare il fosso: il primo è stato Danilo Turboli, «luogotenente di Porcaro», seguito da Ivan Barone, vicinissimo e uomo di fiducia degli “Zingari”.
L’azione dei magistrati della Dda non si è fermata ai soli presunti malandrini della ‘ndrangheta bruzia, ma ha colpito anche pezzi importanti della politica. In primis, il sindaco di Rende e presidente di Anci Calabria, Marcello Manna. E poi l’assessore alla manutenzione e decoro urbano di Cosenza, Francesco De Cicco e l’ex assessore ai lavori pubblici di Rende, Pino Munno.
Con la chiusura dell’inchiesta è emersa una nuova contestazione ai boss ergastolani Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni, accusati di favoreggiamento nei confronti del capo delle cosche “confederate” Francesco Patitucci. Ruà e Bruni avrebbero reso, secondo l’accusa, in Assise, lo scorso anno, false dichiarazioni sul duplice omicidio di Marcello Gigliotti e Francesco Lenti, avvenuto nel febbraio del 1985 a Rende. Ruà e Bruni, «nel corso del processo», avrebbero resto «dichiarazioni escludenti la responsabilità» di Patitucci, aiutandolo a «eludere le investigazioni circa il suo coinvolgimento nella vicenda omicidiaria». In particolare, Ruà in una udienza del marzo 2021, «in sede di confronto» con l’altro imputato Franco Pino, ex capomafia di Cosenza, avrebbe reso «dichiarazioni mendaci». Pur autoaccusandosi, «per la prima volta dopo la sua condanna in primo grado», di aver partecipato al duplice omicidio, avrebbe alterato «la ricostruzione dei fatti e l’individuazione dei soggetti coinvolti» per «accapponare «dalla medesima accusa Francesco Patitucci».
Altra novità rispetto al quadro iniziale dell’inchiesta è la contestazione al braccio destro di Patitucci: il neo pentito Roberto Porcaro. La vicenda riguarda la partecipazione all’omicidio di Giuseppe Ruffolo, nel settembre del 2011, in pieno centro, a Cosenza. Sarebbero state le dichiarazioni di Danilo Turboli a indirizzare le indagini verso il contesto mafioso.
Il prossimo 9 giugno alle 9.30, l’aula Bunker di Lamezia Terme ospiterà l’udienza preliminare del procedimento “Reset”. Il primo vero step. Dopo la richiesta di rinvio a giudizio, i 245 indagati compariranno dinanzi al gup. Sono 135, invece, le parti offese.
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