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Costabile: «Basta con le bancarelle della legalità, la vera antimafia è militanza sociale»

Il docente dell’Università della Calabria ospite de “L’altra Politica”: «Serve una rete dal basso contro la società del ricatto»

Pubblicato il: 18/05/2023 – 14:59
Costabile: «Basta con le bancarelle della legalità, la vera antimafia è militanza sociale»

LAMEZIA TERME «In Calabria intanto dovremmo chiudere la stagione delle fiere della legalità, delle bancarelle della legalità, delle danze della legalità che spesso e volentieri sono fortemente e generosamente assistite con denaro pubblico». A dirlo Giancarlo Costabile, docente di Pedagogia dell’Antimafia all’Università della Calabria, ospite ieri de “L’altra Politica”, l’approfondimento settimanale in onda sul canale 75 de “L’altro Corriere tv”. Sollecitato dalle domande di Danilo Monteleone e Ugo Floro, Costabile racconta la “mission e gli obiettivi di un corso accademico che è un unicum in Italia e la sua esperienza nel portare avanti «un’educazione trasformativa» che possa determinare un cambiamento sociale concreto in Calabria.

«L’educazione trasformativa»

«Grazie al Corriere della Calabria per l’invito qualificante per le tante battaglie che il vostro gruppo ha sempre fatto per difendere la Calabria migliore, la Calabria che vuole cambiare», esordisce Costabile che poi spiega cosa si intende per Pedagogia dell’Antimafia: «In questo spirito – prosegue il docente dell’Unical – ci siamo del resto mossi nell’approccio innovativo con gli studenti: la nostra generazione ha avuto un’educazione, conservativa, invece noi stiamo lavorando per un’educazione trasformativa del territorio, un’educazione che ha come obiettivo il cambiamento sociale. Fare pedagogia dell’antimafia vuole dire costruire criticamente una metodologia, una didattica sociale in grado di de-costruire la natura politica, culturale ed economica del sistema mafioso, che nel 2023 non può essere più considerato mera violenza urbana organizzata, quindi diventa un progetto di cambiamento globale degli assetti». Quella che finora ha tenuto banco in Calabria per Costabile «è stata una narrazione di comodo, funzionale a logiche di potere. Ci sono due libri, uno scritto da un calabrese come noi, Pino Arlacchi, “La mafia imprenditrice”, quasi 40 anni dopo nel 2015-2016 “Storia dell’Italia mafiosa” di Isaia Sales. Cos’hanno in comune questi testi? La rappresentazione fenomeno mafioso per quello che è sempre stato e continua a essere, e cioè un linguaggio di potere proprio delle classi dirigenti. Le mafie sono una soggettività politica, che agisce nel territorio per delega, in taluni casi purtroppo esplicita, di apparati dello Stato. Che ruolo hanno svolto storicamente? Quello – rileva il docente dell’Università della Calabria – di governare il sottosviluppo economico e civile del Mezzogiorno». E ancora: «Noi proviamo a rompere il governo della ‘ndrangheta parlando un linguaggio differente. Qual è il limite? Se si studiano le vittime di mafia troviamo magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, imprenditori, professori, sacerdoti. Le mafie hanno ucciso tutte le categorie professionali tranne una: quella degli accademici. In realtà c’è un caso a Palermo di un collega che era impegnato in una autopsia, che scelse di non manipolare nonostante le pressioni mafiose ma non era un collega impegnato in un processo di formazione delle coscienze. Se invece si studiano le vittime del terrorismo, ci si rende conto che si ribalta il quadro, perché il terrorismo ha come finalità l’attacco al cuore dello Stato, e l’università è percepita come il simbolo della diffusione delle verità di Stato, invece le mafie sono dentro le relazioni di potere dello Stato e quindi il conflitto con il mondo accademico è in realtà un conflitto che non si sviluppa, non si consuma. Quindi – prosegue Costabile – l’obiettivo è provare a restituire una parola militante, una parola in grado di produrre comportamenti, i comportamenti si vedono e poiché si vedono si misurano. Allora per combattere un sistema di potere servono comportamenti orientati in modo altro».

«Basta con la stagione delle fiere della legalità»

Costabile poi è diretto quando rimarca i limiti di una certa impostazione della lotta alla ‘ndrangheta e alla criminalità organizzata. «In Calabria intanto dovremmo chiudere la stagione delle fiere della legalità, delle bancarelle della legalità, delle danze della legalità che spesso e volentieri sono fortemente e generosamente assistite con denaro pubblico. L’antimafia con partita Iva, come diceva Paolo Pollichieni che ricordiamo con grande affetto: è ora di chiudere con questa stagione. La parola che libera quando si fa militanza antimafia non è la parola pagata ma è la parola che si testimonia. Premesso questo, che è un metodo di lavoro fondamentale, l’antimafia è due cose: stile di vita, e quindi stile di comportamento. Questo vuol dire che a queste latitudini è essenzialmente ricostruzione di diritti, non costruzione ma ricostruzione di diritti demoliti: il diritto al lavoro, il diritto alla casa, il diritto alla salute. O anche coltivazione di diritti per la prima volta. L’antimafia – osserva il docente dell’università della Calabria – si deve muovere in questo segmento: in questo senso un esempio concreto di stile identificativo di antimafia militante è la battaglia per la casa fatta a Cosenza da tanti giovani e ragazzi impegnati in prima linea per chiedere un diritto garantito dalla Costituzione eppure represso da pezzi dello Stato. Perché reprimere le lotte significa tenere le logiche padronali sempre più forti e ferocemente in condizione di ricattare la povera gente, e allora l’antimafia non può essere la fiera pagata dal politico di turno per logiche clientelari, l’antimafia è la battaglia sociale che restituisce ai cittadini diritti che questo paese a Sud di Roma purtroppo ha scelto di sfregiare». Per Costabile in generale in Calabria «ci sono segnali di cambiamento, abbiamo luci ma purtroppo abbiamo anche ombre. È vero che siamo in una stagione nuova della magistratura, vale per il Distretto di Catanzaro da quando Gratteri ha assunto l’onere di lavorare in un processo che lui stesso ha definito di de-rattizzazione di quella Procura, stesso discorso vale per Reggio Calabria che da anni è riuscito a fornire risposte investigative significative. Però dobbiamo anche avere il coraggio di guardare ai comportamenti collettivi di questa regione. Quando spesso e volentieri si sono organizzati sit-in a sostegno di magistrati impegnati come Lombardo che sta provando a demolire non un ordine di potere di strada o di quartiere ma sta provando a mettere in discussione la rete degli invisibili non solo di Reggio, quando Gratteri ha fatto operazioni importanti da Rinascita Scott a quelle recenti di Cosenza, la gente nelle piazze non era molta. Perché nella presentazione di libri avviene un meccanismo particolare per i cittadini: è un modo per ripulirsi facilmente la coscienza, si è dentro una narrazione salottiera. La strada, le militanze, le battaglie, la piazza generano un altro schema: la piazza è visibile, è politica nel senso più alto e nobile del termine. La piazza insieme a magistrati scomodi genera quel meccanismo per cui si dice: “ti ho visto in televisione perché ci sei andato? Adesso ti stanno raccontando in un’altra maniera, sei un ribelle, un eretico, un sovversivo. Ma ti conveniva non fare una cosa di questo genere?”. Il salotto assolve la coscienza, la piazza processa la coscienza, e poiché questo è un paese di gattopardi inesorabilmente aspetti del genere incidono nelle scelte individuali e collettive».

«Una rete dal basso contro la società del ricatto»

«Noi – sostiene poi Costabile – dobbiamo fare un esercizio di onestà intellettuale e dire che in Calabria e nel Meridione il paradigma dominante è la società del ricatto, e non è facile rompere uno schema del genere. E invece il racconto di narrazioni positive potrebbe portare a pensarla in maniera diversa. C’è un quartiere di Napoli su cui da sempre pesa l’iconografia del male: Scampia che equivale a Gomorra. Così non è da anni, a Scampia lo Stato non c’era e continua a non esserci e nonostante tutto questo Scampia sta provando a reagire, a farsi Stato da sola, dal basso, con la nascita ex novo di associazioni e strutture sportive. L’iconografia di un Sud che perde sempre o è sempre nel degrado viene rotto quindi dalla pratica concreta di resistenza dal basso che quei territori stanno arrivando a costruire. Dove voglio arrivare? Esiste un principio: l’assunzione di responsabilità. Certo, non è facile scegliere una linea alternativa e antagonista a ciò che esiste, però il ricatto lo dobbiamo rompere noi con – ad esempio – una grande alleanza educativa, in cui media puliti come il vostro, professionisti liberi, istituzioni, scuola, università, imprenditori onesti che non si piegano al pizzo alla ‘ndrangheta o alla mazzetta al politico. Una rete dal basso rompe ogni genere di ricatto. La partita del cambiamento non la possiamo delegare agli altri, la dobbiamo reggere noi, le persone perbene». Sotto questo aspetto una sorta di “avamposto” è proprio il corso di Pedagogia dell’Antimafia all’Unical: «Da anni, non senza difficoltà – spiega Costabile – portiamo i ragazzi a verificare sul campo, li portiamo nei territori ad alta densità mafiosa o con problemi di disgregazione sociale, per conoscere da vicino il problema e il tentativo di risposta al problema. Questo in uno schema che non è assistito dal sostegno pubblico, né dalla politica né dal mondo accademico, che non è sempre un mondo di illuminati ma di compromessi, in modo da essere ribelli e liberi. Il risultato – evidenzia il docente – è che una parte dei ragazzi prova a vedere la vita in un modo diverso anche se molti sono costretti ad andarsene. La reazione dei ragazzi c’è, sono le condizioni materiali di vita che impediscono la loro permanenza in Calabria». L’ultimo messaggio: «Quest’anno ricorre il 100esimo anniversario della nascita di don Lorenzo Milani, e lui non aveva grande simpatia per il giornalismo di superficie, che finiva per legittimare quotidianamente le verità del potere. Ci sono giornalisti come voi che non fanno questa scelta di giornalismo di superficie e delle comodità del potere. Questo significa avventurarsi in un terremo minato pieno di problemi ma l’unico modo che abbiamo per esercitare un ruolo è la tutela pubblica, il sostegno pubblico. Se lasciamo media come il Corriere della Calabria a sopportare il peso di un racconto libero e in grado di aprire coscienze e mettere in modo il desiderio sano di ribellione uccidiamo la democrazia. Non dobbiamo dire che tutti i giornalisti o tutti gli organi di informazione sono tutti buoni, dobbiamo avere il coraggio di dire che c’è chi fa giornalismo di potere per il potere e chi fa giornalismo di contropotere per la gente, e – conclude Costabile – dobbiamo schieraci dalla parte di chi racconta la ribellione della gente». (redazione@corrierecal.it)

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