CATANZARO Il contrasto alla povertà educativa tra i più piccoli passa anche dal potenziamento delle strutture dedicate alla lettura. Ad iniziare dalle biblioteche. Un sistema che in una regione fragile – anche sotto questo profilo – come la Calabria diviene strategico per ridurre i divari culturali con il resto del Paese.
Basti considerare che la regione è agli ultimi posti per numero di minori che si accostano alla lettura.
Stando ai dati dell’Istat, infatti poco più di un minore su tre in Calabria legge abitualmente. Si tratta in particolare del 35,9% di ragazzi e bambini nella fascia di età tra i 6 e 17 anni. La media italiana è al 51,9%. Un dato, quello calabrese, che pone la regione al penultimo posto nel Paese preceduta solo dalla Sicilia, dove la percentuale scende al 33,8%.
Distante anche qui anni luce da quanto succede nelle aree più ricche del Paese. Basti considerare che in Emilia-Romagna il quadro si ribalta. Qui il numero di minori che nel tempo libero abitualmente si accosta alla lettura di un libro sale al 65,8%. Così come in Val d’Aosta (63,1%) e Veneto (62,5%). Ma sono gran parte delle regioni del Centro nord a registrare la maggiore incidenza di lettori abituali tra bambini e ragazzi. A conferma del divario territoriale anche in questo fondamentale diritto all’apprendimento.
Da qui la necessità di avviare iniziative utili per incrementare il numero di biblioteche sul territorio e nel contempo attivare iniziative finalizzate a far accostare i piccoli al mondo della lettura. Un aspetto che si coniuga anche con il livello di benessere diffuso tra la popolazione. Dall’analisi comparata dei dati emerge infatti che l’attitudine alla lettura deriva strettamente dal contesto socio-economico della famiglia di provenienza del minore. Se né il padre né la madre leggono, il tasso di minori che si avvicinato ad un libro scende al 34,4% viceversa avviene che oltre 7 ragazzini su dieci leggono, tra quanti hanno genitori lettori.
Per questo è decisivo, nella strategia di contrasto alla povertà educativa, l’avvio di progetti ed interventi indirizzati a questo scopo. Come appunto le azioni che possono essere messe in campo dalle biblioteche soprattutto nelle aree più fragili come i territori calabresi.
Un compito che sembra essere stato interpretato dalla rete esistente di biblioteche regionali. Stando infatti ai numeri diffusi dall’Istat, la Calabria risulta tra le regioni in cui le biblioteche hanno attivato progetti di inclusione rivolte a soggetti in difficoltà economica, educativa o culturale.
Se in Italia nel corso del 2021, ultimo anno preso in considerazione dall’Istat, il 12,4% delle biblioteche hanno attivato iniziative a questo scopo, la media sale al 19,3% in Calabria. Un dato che pone la regione al terzo posto assoluto in questa classifica, che dimostra l’innalzamento del livello di attenzione a questa tematica percepita come rilevante, per contrastare anche la marginalità diffusa in regione.
Un’attività meritoria che però cozza con la scarsa diffusione in Calabria di biblioteche e ancor di più di quelle rivolte ai bambini. Una sorta di desertificazione del sapere che coinvolge anche i centri maggiori come i capoluoghi calabresi.
A Cosenza, ad esempio, sono presenti 7 biblioteche di cui una sola rivolta a lettori al di sotto dei 18 anni, per un tasso pari a 7,3 ogni diecimila minori residenti. Mentre a Crotone esistono 4 biblioteche con una dedicata agli utenti più piccoli con un tasso di presenza pari a 3,74 ogni diecimila minori residenti. A Vibo Valentia, invece, sono solo 2 ma nessuna ha come vocazione i lettori più piccoli: 3,85 ogni diecimila abitanti minori. A Catanzaro sono presenti 4,42 librerie ogni diecimila minori residenti di cui nessuna però rivolta a loro come utente principale.
Ed infine c’è Reggio Calabria con un tasso di presenza di biblioteche su minori pari a 1,42 ogni diecimila abitanti e anche in questo caso con nessuna struttura a loro dedicata. Un tasso che pone la città in riva allo Stretto tra le ultime in Italia. Numeri che dovrebbero far riflettere i decisori politici sul percorso da intraprendere per incrementare presidi fondamentali come contrasto alla povertà educativa. Soprattutto in concomitanza di eventi come il Salone Internazionale del Libro in corso a Torino e che vede anche la Calabria presente con un proprio stand all’interno degli spazi del Lingotto Fiere.
La lettura contribuiscenon solo allo sviluppo culturale dei bambini, ma alla loro formazione psicologica ed emotiva. Per questo privare i minori della possibilità di accostarsi ai libri equivale a negargli chance di successi futuri. Ne è convinta Giovanna Vingelli, docente di sociologia generale al dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Unical e direttrice del Centro di Women’s Studies “Milly Villa” dell’Università della Calabria. Per Vingelli, quel divario è legato indissolubilmente al disagio sociale ed economico così diffuso nella regione. Da qui la constatazione che le responsabilità per questo fenomeno non possono ricadere sulle famiglie. La docente dell’Unical punta il dito sulla politica: «È compito delle istituzioni colmare i gap esistenti»
Professoressa, la Calabria si colloca agli ultimi posti per numero di bambini che leggono almeno un libro. Perché è così importante avvicinare i più piccoli al mondo della lettura?
«La lettura fin dall’età infantile offre allo sviluppo non solo linguistico e culturale del bambino, ma anche psicologico ed emotivo. Numerose ricerche mostrano l’impatto positivo che la lettura ha nello sviluppo del bambino anche in età molto precoce (0-3 anni). Ad esempio, anche la lettura di albi illustrati influisce in modo significativo nell’evoluzione cognitiva, emotiva e sociale già a partire dalla primissima infanzia. In questo caso, l’adulto diventa una guida che accompagna il bambino nel suo percorso personale di crescita, facendosi portavoce dei “viaggi” raccontati dagli autori e dalle autrici. I bambini e le bambine, attraverso l’ascolto prima, e la lettura poi, sono immersi in un mondo che non è solo linguaggio, ma diventa immediatamente interazione sociale e questo è fondamentale per il loro sviluppo cognitivo e lo sviluppo socio-relazionale: in altre parole per orientarsi nel mondo. Pensiamo ad esempio alla dimensione dell’empatia, la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, che viene a svilupparsi anche attraverso la lettura».
Vi è una correlazione tra quel fenomeno ed il tasso di povertà diffuso nella regione?
«Esiste certamente una correlazione fra povertà educativa e disagio sociale ed economico. La povertà educativa compromette il diritto dei minori ad apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze, coltivare le proprie aspirazioni e talenti. Non parliamo solo di diritto allo studio, ma dimancanza di opportunità educative in generale: non solo la fruizione culturale, ma anche il diritto al gioco e alle attività sportive, che spesso (ma non sempre) riguardano i bambini e gli adolescenti che vivono in contesti sociali svantaggiati. Le minori opportunità incidono negativamente sulla crescita del minore, e possono potenzialmente attivare un circolo vizioso, incidendo sulla precarietà occupazionale, forme di disagio, qualità della vita. In altre parole, povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda, perché la carenza di strumenti culturali e di capitale sociale riduce anche le opportunità occupazionali. Non è però un destino ineluttabile, e il ruolo delle istituzioni – compresi i media – nell’invertire la rotta diventa essenziale».
E come incide il livello culturale presente all’interno delle famiglie calabresi?
«La lettura è uno dei comportamenti che più risentono dell’influenza dell’ambiente familiare. Se i genitori non leggono, poco più di un terzo dei figli lo fa, secondo i dati dell’Osservatorio sulla povertà educativa (2023). Lo stesso Osservatorio ci ricorda che la Calabria si piazza all’ultimo posto nella classifica delle regioni col 23,9% di lettori che ha letto in un anno almeno un libro, contro una media italiana del 41,4%. Anche in questo caso, tuttavia, è necessario segnalare i cambiamenti che stanno avvenendo, con la crescita dei tassi di istruzione superiore nella nostra regione, in particolare delle giovani donne».
Vi è solo una responsabilità dei genitori?
«Certamente no. I genitori sono attori di un sistema complesso, che comprende le istituzioni, la scuola, ma anche le politiche e l’economia. E che è profondamente influenzato anche da fattori “esterni”, a volte imponderabili. Pensiamo a quanto ha inciso la pandemia nella riduzione delle opportunità, che riscontriamo nella contrazione dei risultati scolastici, compresa l’abilità e la predisposizione alla lettura: questo nonostante l’impegno profuso durante l’emergenza».
E il sistema scolastico quanto incide?
«Ancora una volta la scuola svolge un ruolo fondamentale. La passione e competenza nella lettura dipendono da una serie di fattori non riconducibili solo all’ambiente famigliare, ma anche all’efficacia delle politiche scolastiche alla qualità dell’offerta educativa a scuola e nella comunità educante, alla presenza e all’accessibilità dei servizi e delle infrastrutture».
Dai dati emerge anche la poca diffusione di biblioteche pubbliche, ma anche private presenti sul territorio. C’è anche questo aspetto da considerare?
«Sempre il Rapporto dell’Osservatorio sulla povertà educativa ci suggerisce che si sta sviluppando sul territorio una rete di progetti di inclusione, attivati soprattutto da biblioteche collocate in città piccole e medio-piccole. Spesso le aree con minore incidenza di biblioteche sono quelle con una maggiore diffusione di biblioteche dedicate ai minori, e questo avviene anche in Calabria, dove c’è una grande effervescenza da questo punto di vista. La Calabria è al terzo posto in Italia per progetti di inclusione verso le persone che vivono in povertà economica, educativa o culturale attivati da biblioteche, che pure vivono situazioni critiche (in particolare alcune biblioteche civiche, come quella di Cosenza)».
Cosa è possibile fare per avvicinare i più piccoli alla lettura?
«È necessaria una sinergia fra più attori, e ovviamente la volontà di investire in questo campo. In famiglia, gli elementi essenziali sono la disponibilità e pazienza (dei genitori), curiosità e attenzione (dei bambini) e tanti libri in casa. La scuola dovrebbe adottare metodologie innovative, per convogliare le energie dei bambini e delle bambine: l’ascolto attivo, gli strumenti multimediali, la creatività manuale, l’improvvisazione sono tutti strumenti che non distolgono dalla lettura ‘tradizionale’, ma ne amplificano il piacere e gli effetti. Esistono tante buone pratiche, anche a livello locale, che vanno in questa direzione, ma che spesso si costruiscono sulla buona volontà dei singoli e delle singole, o su progetti intermittenti, senza una strategia complessiva di tipo istituzionale».
E le istituzioni stanno facendo abbastanza per ridurre quel divario culturale?
«Investire sulle politiche per l’infanzia e adolescenza e nella lotta alla povertà educativa è un investimento di lungo periodo, fondamentale in territori come quello calabrese che presenta numerose criticità. È compito delle istituzioni colmare i gap esistenti, fornendo ad esempio servizi educativi realmente universali, dedicando anche risorse aggiuntive in tutti quei contesti segnati da maggiore povertà educativa, esclusione sociale e privazione materiale. Investire sul welfare forse oggi non è una priorità politica, nonostante sprazzi di retorica, ma è l’unica strada che possiamo percorrere. Investire sulle opportunità educative – e quindi anche sulla promozione della lettura – ha effetti positivi di breve termine, di tipo cognitivo, fisico e socio-emozionale, ma anche (nel medio-lungo termine) contribuisce a ridurre le disuguaglianze economiche. Il PNRR prevede investimenti significativi in questo ambito: vedremo cosa sarà effettivamente implementato». (r.desanto@corrierecal.it)
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