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«Voti in cambio di soldi». La Cassazione condanna due boss di ‘ndrangheta in Piemonte

Onofrio Garcea e Francesco Viterbo rispondono in concorso con l’ex assessore regionale Rosso. Il politico spera nel processo d’Appello

Pubblicato il: 20/05/2023 – 7:34
«Voti in cambio di soldi». La Cassazione condanna due boss di ‘ndrangheta in Piemonte

TORINO I due boss della ‘ndrangheta Onofrio Garcea e Francesco Viterbo hanno incassato nei giorni scorsi, a Torino, l’ennesima – e stavolta definitiva – condanna per voto di scambio politico mafioso. Particolare per nulla irrilevante: per questo reato i due rispondono in concorso con l’ex assessore regionale di centrodestra Roberto Rosso. Che ha incassato una condanna a 5 anni in primo grado ma che spera ancora nell’Appello. È La Stampa a sottolineare che «la pronuncia non è di buon auspicio, perché se anche le condotte sono personali (e gli automatismi sono conclusioni da maneggiare con cura), il fatto analizzato in tre gradi di giudizio è il medesimo con la sola differenza della scelta del rito».
Garcea e Viterbo hanno optato per l’abbreviato, per usufruire dello sconto di un terzo della pena, Rosso ha scelto di difendersi in aula, in un contraddittorio tra le parti e sottoponendosi a lungo esame di fronte ai giudici del Collegio di Asti.
Onofrio Garcea e Francesco Viterbo sono stati condannati rispettivamente a 4 anni e 8 mesi e a 7 anni e 7 mesi. I due affiliati alla malavita calabrese avevano stretto il patto elettorale con Rosso: voti in cambio di soldi. Per l’esattezza, 7900 euro pagati in tre tranche dall’ex politico di Fratelli d’Italia. Il solo Viterbo pagherà anche l’associazione mafiosa, reato che Garcea annovera già nel suo casellario. Intanto si è in attesa della fissazione del processo di secondo grado per l’ex parlamentare piemontese. I pm hanno depositato il loro secondo atto d’accusa. E per il sostituto procuratore Paolo Toso – pur nella condanna – non sarebbe stata congrua la pena inflitta a Rosso. Troppo bassa la pronuncia a 5 anni ottenuta anche in virtù della concessione delle attenuanti generiche. Per il magistrato Toso, riporta ancora La Stampa, «non vi è dubbio che Rosso abbia mentito al tribunale. Lo ha fatto nel quadro di una strategia processuale assolutamente legittima, che ha profittato delle prime, solo parziali, risultanze delle intercettazioni telefoniche esposte dai testimoni della Pg, nella speranza che le ulteriori conversazioni intercettate non emergessero»

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