COSENZA Riceviamo e pubblichiamo la nota inviata dall’avvocato Marcello Manna sull’articolo pubblicato dal Corriere della Calabria dal titolo “Le vere emergenze nell’area urbana di Cosenza e le (tante) chiacchiere sulla città unica” a firma di Paride Leporace:
Ricevo sollecitazioni da più parti ad intervenire rispetto ad un articolo a firma di Paride Leporace apparso lo scorso 20 maggio sul Corriere della Calabria, che affronta il tema di cosa stia accadendo nell’area urbana.
Si ci interroga anche intorno all’agibilità politica e alla mafia.
E si inizia da Rende e dalla mia posizione di sindaco condannato in primo grado per il reato di corruzione, nonchè dalla posizione di Marta Petrusewicz nominata vice sindaco della giunta in carica.
Devo premettere che Marta Petrusewicz fino ad oggi ha contribuito in modo eccellente sul piano amministrativo, della cultura, facendo diventare il Museo del Presente punto di riferimento per l’area urbana e non solo.
Con lei abbiamo avuto l’onore di progettare e di rilanciare interventi nella nostra città e per questo ci riteniamo dei privilegiati.
Ovviamente sono anche tante altre le figure rilevanti della nostra giunta e della maggioranza tutta.
Un gruppo che oggi si è messo in gioco per scongiurare la iattura del commissariamento ad una delle città più importanti del Mezzogiorno che si appresta a concludere un percorso politico che vedrà realizzarsi, tra le altre cose, l’uscita dal pre-dissesto, l’approvazione del del nuovoPSC.
Ma torniamo all’articolo.
La condanna in primo grado per il reato di corruzione diventa l’incipit dell’estensore che si chiede perché non spiego meglio eventuali burattinai e quali le finalità del complotto.
Mi era già capitato di dire che gli atti processuali che mi riguardano devono essere resi pubblici e comunque sono disponibili, per chiunque voglia fare corretta informazione o meglio controinformazione degna di questo nome.
Non sono riuscito finora a rendere pubblici tutti gli atti perché impegnato quotidianamente a fronteggiare una persecuzione giudiziaria senza limiti.
E’ un continuo susseguirsi di atti e provvedimenti che hanno una sola finalità: ottenere le dimissioni da sindaco.
Ci proveranno ancora e ci stanno provando attraverso quel “processo decisamente performativo in cui, per l’appunto, si crea il fatto e si costruisce la prova … ove la legalità si è fatta corsara”.
Non essendo aduso a sottomettermi ad imposizioni, non ho rassegnato e non rassegnerò le dimissioni da primo cittadino.
Lo faccio a tutela della mia onorabilità, a tutela della comunità che rappresento, a tutela della democrazia e lo faccio anche perché non ho commesso nessuno dei fatti che mi vengono contestati.
Io sono innocente, non so se qualche inquirente può affermare la stessa cosa.
Sono persuaso che non si fermeranno e ci proveranno ancora.
Quali burattinai e quale complotto?
Alle domande non si sfugge.
Qualcuno poco informato qualche tempo fa ha scritto:”tre procure indagano”.
Formalmente sono tre le procure, ma solo formalmente.
Questi gli elementi che fanno intendere che non vi è alcuna linearità nella costruzione accusatoria e che vi sono accadimenti assai sospetti.
C’è una ragione processuale o di politica giudiziaria per giustificare l’allegazione al processo appena celebratosi a Salerno (reato di corruzione con esclusione della finalità mafiosa) degli atti istruiti dalla procura di Cosenza e del processo c.d. “Reset” della procura di Catanzaro? Perché lo si è fatto? Quale la finalità?
C’è una ragione per cui al secondo interrogatorio di Petrini (31.01.20) per sei volte l’indagato nega qualsiasi mio coinvolgimento ed il Pm “detta” la risposta al posto del dottor Petrini che poi mi accusa.
E’ normale che il presunto beneficiario della corruzione non sia neppure imputato? E che io abbia posto tale atto senza alcun motivo?
C’è una ragione per cui l’incidente probatorio viene effettuato qualche giorno prima che il Pubblico Ministero formulasse le richieste di pena nei confronti del dottor Petrini nell’ambito del processo principale?
C’è una ragione per cui viene richiesta poi applicata la misura interdittiva dalla professione sulla base di due intercettazione trascritte il cui contenuto non corrisponde al dato audio (anche il consulente del PM ha rilevato tale inesattezza)?
Dunque due intercettazioni trascritte in modo “non corretto”.
E’ normale intercettare i colloqui con i propri difensori e consulenti “spiando la linea difensiva e correndo ai ripari correggendo e modificando finanche il capo di imputazione per ben quattro volte”.
E’ normale comunicare da parte di qualche inquirente alla stampa, alla RAI ed al programma Presa Diretta un fotogramma privo di audio, mentre vige il segreto istruttorio, secondo il più becero “voyeurismo giudiziario”?
Può la procura di Salerno svolgere tutte le indagini sul voto di scambio elettorale per le elezioni di Rende, essendo tale procura incompetente territorialmente?
(Peraltro senza raggiungere alcun elemento concreto).
E poi tante altre “stranezze: alcuni collaboratori che chiedono di essere ascoltati dalla Procura di Salerno anziché da quella di Catanzaro dopo alcuni colloqui investigativi; uno di questi che colloca la vicenda Petrini tra il 2013/2014 quando non si era neppure effettuata alcuna contestazione per questo fatto reato.
E di un politico che si informa quando ci sarà l’operazione sul sindaco Manna…ma di questo non sono certo, forse mi viene credo solo da qualche sogno, come insegna Borges.
Nell’articolo viene avanzata una preoccupazione a proposito della commissione di accesso che Rende faccia la fine dei comuni sciolti per infiltrazioni mafiose come Platì e tanti altri.
Concordo: mi auguro che non faccia la fine di quel comune della locride, sciolto per mafia, il cui Sindaco dopo cinque anni di reclusione è stato assolto e il comune riabilitato perché non doveva essere sciolto per mafia e come le tante interdittive revocate nel silenzio di molti media.
Questa è anche la realtà calabrese, sulla quale è difficile trovare qualcuno che denunci queste pratiche così antidemocratiche o che chieda che chi ha sbagliato paghi.
C’è una nuova inquisizione che, se non ce ne siamo accorti si aggira indisturbata tra applausi, baciamano e salamelecchi, ma anche tra tanti deplorevoli silenzi, con politici e non solo pronti va complimentarsi, senza aver letto neppure una carta.
Per loro l’importante è non essere menzionati.
Il tempo per la giustizia è molto più lento che in altri campi: attualissimo il pensiero di Pier Paolo Pasolini sulle vicende giudiziarie che lo hanno visto terribilmente coinvolto e che lo hanno portato a dire che viveva “in un paese orribilmente sporco”.
Sono trascorsi quasi cinquant’anni, ma alcuni metodi purtroppo sono ancora gli stessi!
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Nell’epoca della comunicazione moderna, personalizzata in forma di monologo, la risposta pubblica del sospeso sindaco di Rende alla mia analisi sulla situazione del suo Comune è una buona notizia.
Marcello Manna da sincero democratico rispettoso del dibattito pubblico non si sottrae e affronta alcune questioni della sua tormentata vicenda amministrativa e giudiziaria. Approfitto per precisare ai lettori che pur avendo una conoscenza personale del sindaco e dell’avvocato Manna, per scelta professionale non mi sono intruppato nel novero dei difensori a prescindere in nome dei comuni rapporti e delle molte comunanze intellettuali. Tutto quello che ho scritto è frutto della mia analisi oggettiva dei fatti in campo.
Ho poco o nulla da rispondere alle analisi più strettamente giuridiche fatte da Marcello Manna, il quale da abile penalista smonta da par suo molte contestazioni della pubblica accusa.
Dice di essere vittima di un teorema. E qui resta un vuoto. Non abbiamo elementi per comprendere ad oggi le cause oggettive dell’accanimento. Un teorema giudiziario poggia su un fine o su uno scopo. Il processo 7 aprile contro Autonomia Operaia oggi sappiamo con certezza che fu costruito tra la federazione del Pci di Padova e Botteghe Oscure, ma già dall’8 aprile 1979 si erano compresi burattinai e marionette. Quello contro Giacomo Mancini nacque da una sorta di bando appello alle carceri italiane alla ricerca di collaboratori di giustizia disposti ad accusare l’allora sindaco di Cosenza. Ad oggi nelle vicende giudiziarie di Rende e di Marcello Manna abbiamo a disposizione solo indizi di varia natura che hanno giustificato l’obbligatorietà dell’azione penale da parte della magistratura. Per Manna, in presenza di una condanna di primo grado, vige la presunzione d’innocenza. Un’ovvietà che è sempre bene ribadire.
Nell’infinita emergenza italiana le tesi dell’accusa sono spesso preponderanti, rimangono rilevanti anche in quello mediatico, pur se qualcosa comincia a cambiare nella recente pubblicistica. Per la parte che mi riguarda, e come consta a Marcello Manna, non mi sono mai sottratto ad evidenziare sperequazioni dei pm, e trovo grave, se riscontrato, che siano stati intercettati difensori e periti per poi modificare strategie accusatorie.
La questione centrale di queste ore a Rende è lo scioglimento del Comune per infiltrazione mafiosa. La Commissione d’accesso avrebbe finito il suo lavoro d’indagine e l’incartamento sarebbe già stato depositato al Viminale. Con molto meno gravame d’indizi si è proceduto allo scioglimento in diverse regioni italiane. Spesso il provvedimento è risultato in contrasto con l’esito giudiziario finale. La norma, figlia dell’emergenza, ha molti limiti. L’ho sostenuto più volte. Spero di sbagliare, ma temo che Rende ne sarà investita. Si poteva evitare? Io credo di sì.
Autosciogliersi e chiamare i cittadini al voto, a mio parere, avrebbe ridotto i danni. Orlandino Greco, neoeletto a Castrolibero, con un processo simile a quello di Manna, affronterà il verdetto prossimo venturo con una legittimazione popolare avuta dai suoi cittadini. Non è poco.
La politica a Rende e nell’area urbana balbetta. Il civismo eterodiretto dall’alto per cooptazione ha molti limiti e sono abbastanza evidenti. Avanza una silenziosa indifferenza dei più interdetti da vicende giudiziarie e amministrative altalenanti. L’astensione elettorale rischia di aumentare ancora.
Manna nel suo testo di risposta al mio articolo invita alla controinformazione. L’avvocato che ha letto Sciascia ben ricorda quel suo celebre romanzo in cui lo scrittore adopera l’espediente di una scritta che si cela tra il retro di una lettera e il titolo di un giornale: “Unicuique suum”. Ovvero a ciascuno il suo. (Paride Leporace)
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