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«È un mafioso, via dal Canada». «Ma quale ‘Ndrangheta? Sono stereotipi». La storia di “Jimmy” DeMaria

Per il governo è un criminale. Lui parla di profilazione etnica. Il sidernese respinge le accuse. E delle cosche dice: «Ne parlano i giornali»

Pubblicato il: 22/05/2023 – 6:38
di Pablo Petrasso
«È un mafioso, via dal Canada». «Ma quale ‘Ndrangheta? Sono stereotipi». La storia di “Jimmy” DeMaria

Ad Hamilton, quarta città più popolosa del Canada, lo chiamano «underworld». Nel “mondo di sotto” attecchiscono le radici di una malapianta ibrida: un po’ ‘Ndrangheta, un po’ Cosa nostra. Difficile individuare recinti quando gli affari ispirano fusioni familiari e di comportamenti.
Vincenzo “Jimmy” DeMaria ad Hamilton è arrivato, da Siderno, quando aveva soltanto nove mesi di vita. La sua parabola di vita – e quella (presunta) criminale – lo ha portato nella Greater Toronto Area, a Mississauga. Con Hamilton restano soltanto remoti legami familiari. DeMaria non appartiene a quel “mondo di sotto”: è considerato uno dei “top guys” (i capi, ndr) del crimine sidernese di Toronto. Altro contesto, altra storia rispetto ad Hamilton.
La sua, di vita, ha un punto di svolta. A 28 anni sparò a un uomo, Vincenzo Figliomeni, che gli doveva 2mila dollari. Al processo spiegò che era sconvolto da un suicidio in famiglia quando gli piantò cinque pallottole nella schiena e alla testa dietro un negozio di frutta a Little Italy. Ora che di anni ne ha 64, il Canada vuole rispedirlo in Italia e il processo in corso per garantirne l’espulsione è diventata un caso giudiziario. Il sistema ci prova (quasi) dal giorno di quell’omicidio che non gli ha mai permesso di diventare cittadino canadese. Se ci riuscirà sarà anche grazie a una serie di intercettazioni (tratte dai brogliacci dell’inchiesta “Calabrian Canada connection”) inammissibili in Tribunale ma non davanti all’Immigration and Refugee Board (Irb) che deciderà sulla richiesta di espulsione. Per l’accusa, DeMaria è diventato uno dei capi della ‘ndrangheta nell’area di Toronto. Lui si ritiene vittima di profilazione etnica, di una equazione frettolosa che equipara un calabrese a un criminale.

«Della ‘Ndrangheta so quello che leggo sui giornali»

C’è una divaricazione tra la reputazione di DeMaria e le sentenze. Le accuse che compaiono nei rapporti di polizia e nelle testimonianze degli investigatori non sono mai state provate in tribunale. Nella corte va in scena una nuova sfida.
DeMaria è stato indicato dai funzionari dell’immigrazione come un non-canadese coinvolto nella criminalità organizzata. Se questa definizione riceverà il timbro dell’Irb, per lui si apriranno le porte dell’espulsione in Italia (al netto di ricorsi in appello).
Abito scuro, camicia bianca e cravatta, DeMaria è stato interrogato per ore nei giorni scorsi. La cronaca del National Post racconta le domande dell’avvocato del governo Patrick Chesnais sui mafiosi (certificati e presunti), i sicari e altri criminali che la polizia ha ricollegato a lui in vari modi. Cosa sa DeMaria del crimine organizzato? «Solo quello che leggo sui giornali». E sui giornali, a volte, legge che alcune delle persone che conosce farebbero parte della mafia. «Ho visto anche il mio nome», risponde sorridendo. La ’Ndrangheta dice di non sapere cosa sia. E molte delle persone su cui gli sono stati chiesti chiarimenti, spiega, «erano parenti per sangue o matrimonio, o persone che conosceva attraverso i circoli italiani visto che erano originari di Siderno, o per gli anni trascorsi in prigione».
«Possiamo scegliere i nostri amici, ma non la nostra famiglia. Non ho nulla da nascondere. Sono orgoglioso delle mie origini», dice.

Le minacce di Vito Rizzuto nel 2012. «Non so chi sia»

Nel 2012, la polizia comunicò a DeMaria che la sua vita era in pericolo dopo una presunta minaccia da parte di Vito Rizzuto, all’epoca potente e noto boss mafioso di Montreal morto nel 2013 per una malattia polmonare. Secondo la spiegazione di “Jummy” quell’episodio non avrebbe senso: «Non conosco il signor Rizzuto. Non ho mai avuto rapporti con il signor Rizzuto. Non so nemmeno chi sia o cosa sia. Non sono mai stato a Montreal. Non so nemmeno dove sia Montreal».
L’udienza sull’espulsione per DeMaria era in stand-by dal 2020, quando le restrizioni per il Covid resero impossibile la trattazione in aula.
Madona Mokbel, arbitro dell’Irb, è atteso da una lunga sfida legale. E uno dei punti sui quali si basa la difesa di DeMaria è l’affermazione che tutta la procedura sia ispirata da una sorta di profilazione etnica, guidata da stereotipi anti-italiani e da una serie di pregiudizi nei confronti dei calabresi. Insomma, per “Jimmy” la ‘Ndrangheta non c’entra nulla con la sua vita.

«Secondo i media la ‘Ndrangheta non è solo a Siderno ma in tutta Italia»

«Siderno è un luogo dove la ‘Ndrangheta è attiva e dilagante?», gli chiede Mokbel, sempre secondo la sintesi del National Post.
«Non saprei. Non ci vado dal 1975», ha risposto DeMaria.
Alla richiesta di una risposta basata sulle sue conoscenze nei circoli culturali e sociali italiani, “Jimmy” fa spallucce: «Non ne ho conoscenza personale. Come ho detto, non ci vado dal 1975. E ovviamente, sapete, lo leggete sui giornali e cose del genere quello che lei sostiene», e cioè che la ‘Ndrangheta sia attiva a Siderno, «lo dicono, ma non solo lì, lo dicono in tutta Italia. È una cosa comune che dicono, non solo lì ma ovunque in Italia».
Dei clan calabresi, DeMaria dice di sapere soltanto ciò che legge sui giornali, «come tutti». E sa che, secondo i media, «la ‘Ndrangheta non è solo lì (a Siderno, ndr) ma in tutta Italia. È ovunque», ha risposto. «Se vai in un ristorante italiano qui in Canada e sei italiano, dicono subito: “Ah, sì, beh, sai, dobbiamo tenere d’occhio questo tizio”. È uno stereotipo e purtroppo quando sei italiano ci vivi dentro».

I conoscenti legati alla criminalità «tutti parenti o clienti della panetteria»

Interrogato anche nella seconda udienza dall’avvocato del governo Patrick Chesnais e da uno dei suoi tre avvocati, Jessica Zita, DeMaria racconta all’Irb della sua immigrazione in Canada, del lavoro della sua famiglia nella gestione di una panetteria, della sua condanna (per l’omicidio di Vincenzo Figliomeni, ndr), del rimorso, della riabilitazione dalla tossicodipendenza e della vita in libertà vigilata.
Davanti all’elenco di suoi presunti conoscenti accusati o sospettati di legami con le mafie, DeMaria dice che alcuni erano parenti, altri li conosceva attraverso un circolo culturale di Siderno a Toronto o li aveva incontrati a matrimoni e funerali. Altri sarebbero stati clienti della panetteria di famiglia.
Molte delle domande ruotano attorno alla sua relazione con Cosimo Commisso, un uomo di Toronto che il National Post descrive come da tempo ritenuto un influente leader della ‘Ndrangheta. Commisso, tuttavia, ha dichiarato di non essere affatto un boss né il capo di alcuna organizzazione criminale.
Tra accuse di legami oscuri con la ‘ndrangheta e ipotesi di profilazione etnica, la sfida legale tra il Canada e DeMaria continua. E crea interesse anche dall’altro capo del mondo. A Siderno – così lontana, così vicina – forse c’è la ‘Ndrangheta. Dicono tutti così, secondo Jimmy. (p.petrasso@corrierecal.it)

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