CATANZARO È il ritardo nel processo di transizione digitale uno dei maggiori divari che sconta il Mezzogiorno. Una strozzatura che impedisce ai territori meridionali di interpretare al meglio quella straordinaria rivoluzione che sta attraversando le economie più evolute consentendole di crescere in termini di sviluppo e di occupazione.
Una trasformazione radicale che interessa anche il rapporto di cittadini e imprenditori con la pubblica amministrazione, velocizzando la risposta e facilitando l’accesso a servizi finora resi difficoltosi anche dalle distanze materiali. Permettendo così, ad esempio, di pianificare più rapidamente investimenti o di ottenere risorse finalizzate a programmare interventi sui territori. Aspetti che, non dispiegandosi per la mancata transizione digitale, finiscono per penalizzare proprio quelle aree che maggiormente avrebbero necessità di incentivare la loro crescita per compensare il gap con il resto del Paese.
Un tema quello del divario digitale esistente in Italia – rispetto al resto dell’Europa – tanto sensibile e ritenuto di massima attenzione da divenire una delle missioni fondamentali del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Alla transizione digitale, infatti, il Pnrr ha destinato il 27% dell’intera fetta di risorse messa a disposizione dell’Italia da Bruxelles con il Next Generation Eu, per uscire dalla crisi pandemica e rilanciare l’economia e la competitività. In soldoni si tratta di 41,3 miliardi.
Un divario che se sussiste tra il nostro Paese e la media europea, – l’Italia si colloca al 18º posto fra i 27 Stati membri dell’Ue – diviene ancor più marcato tra le due aree dell’Italia. Se l’indice Desi 2022 (Digital Economy and Society Index o Indice dell’Economia e della Società Digitale nella traduzione ufficiale italiana) per l’Italia è pari a 49,3 (il valore è compreso tra 0 e 100 e in Europa la media è al 52,3), quell’indice scende ancora più al Sud.
Ed è la Calabria una delle regioni che “paga più dazio” su questo terreno. A rilevarlo, per ultima, la relazione della Corte dei conti che ha compiuto una specifica analisi in tema di “Ritardo digitale del Mezzogiorno”.
Ebbene la regione occupa stabilmente gli ultimi posti in classifica su diversi aspetti della digitalizzazione. Dal capitale umano alle infrastrutture passando al processo di integrazione tecnologica e all’offerta di servizi pubblici. Su ogni singolo aspetto, la regione esce infatti “malconcia”. Segnale dell’ennesima debolezza di un territorio particolarmente fragile sotto il profilo socio-economico, ma che così determina una seria ipoteca anche per il futuro.
La Calabria con un indice pari a 42,8, stando ai dati Desi, occupa il penultimo posto per grado di digitalizzazione in Italia poco più sopra del Molise (40,1).
E scendendo nel dettaglio delle singole dimensioni che compongono quell’indicatore, emerge la Calabria con un punteggio Desi pari a 31,7 in riferimento al capitale umano. Un dato che la pone al terzultimo posto in graduatoria. Su questo indice a pesare maggiormente è il grado di competenze digitali almeno di base, dimostrata dalla popolazione. In Calabria è pari al 47,7% rispetto alla media nazionale del 54,9%. Giù anche il numero della popolazione femminile in possesso di specialistica nelle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic): 23,2% contro il 31,6% italiano.
Male, anzi malissimo il livello infrastrutturale dimostrato dai territori calabresi in termini di connettività. Secondo i dati rielaborati dai giudici contabili, la Calabria è ultima con un indice pari a 55,5 rispetto al 63 della media nazionale. A spingerla così in basso l’indicatore legato all’adozione della banda larga veloce tra le famiglie: appena il 3% per una velocità pari ad almeno 1Gbps (in Italia 11,1%) ed il 15,9% contro una media del 34,5% raggiunte con una velocità di almeno 100 Mbps.
Anche il livello di digitalizzazione delle imprese presenta in Calabria un livello particolarmente arretrato. Se la media nazionale è al 39,4 quella della rete di aziende calabresi si ferma a 34,8: penultimo gradino di poco superiore alla Basilicata (34,4). Ed anche per competenze digitali le aziende presentano un livello molto al di sotto della media nazionale.
Infine la Corte dei Conti, analizza la dimensione Desi legata all’e-Government, cioè l’indice che misura la capacità di cittadini ed imprese a relazionarsi con le amministrazioni pubbliche. Se quell’indice in Italia segna 58,2 in Calabria scende al 49,2. Un dato che non è record negativo rispetto ad altri territori, ma che comunque segnala il livello di ritardo acquisito anche su questo terreno. Al valore più basso sotto questo aspetto vi è la percentuale di individui che negli ultimi 12 mesi hanno usato internet per interagire con la Pubblica amministrazione: in Calabria neppure un terzo. La media nazionale è di quattro cittadini su dieci.
E se i dati di partenza sono quelli evidenziati, quel che preoccupa maggiormente sono le conclusioni a cui giunge la Corte dei conti sulle possibilità di invertire la marcia, usando le risorse del Pnrr.
Stando all’analisi contenuta nella relazione dei giudici contabili, su questo fronte si registrerebbero ritardi. Undici gli adempimenti mancati, rilevano, che dovevano essere centrati entro dicembre scorso. Una tabella di marcia che non farebbe ben sperare neanche per il futuro del Piano. Già a partire da quest’anno. Per riportare in asse il Pnrr e raggiungere le 50 scadenze programmate occorrerà, scrivono i giudici contabili, «un’accelerazione attesa della spesa del 190 per cento rispetto al triennio 2020-2022».
Sotto osservazione, in particolare, le misure legate all’Integrazione delle tecnologie digitali, quelle che impattano maggiormente sull’innalzamento del Desi. Nel 2023 sotto questa voce c’è quasi il 45% dell’intera spesa programmata. Una scommessa che suona piuttosto come missione impossibile visto la cadenza fin qui dimostrata dai vari attori che dovrebbero realizzare quegli investimenti. Un obiettivo che però se non verrà centrato rischia di far perdere l’occasione (forse ultima) di ridurre quel divario tra aree del Paese, che si traduce in nuovo impoverimento dei territori. Un’amara constatazione soprattutto per una regione, come la Calabria, che paga per questo un così alto prezzo in termini di emigrazione.
«Recuperare il digital divide per la Calabria significa trasformarsi in una regione creativa. Capace di generare valore aggiunto e di innalzare il proprio livello di competizione». È il pensiero di Domenico Marino, professore ordinario di Politica economica all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria che per ridurre quel divario sottolinea: «non servono risorse aggiuntive», ma «basta investire in intelligenza e competenze».
Professore, quali sono i principali limiti per il sistema produttivo calabrese nell’operare in una regione tra le ultime per innovazione e digitalizzazione?
«Perdere competitività e capacità innovativa oggi è molto pericoloso. Trent’anni fa una perdita di competitività produceva effetti ritardati sul PIL anche di decenni. Oggi la perdita di competitività si riflette quasi in tempo reale sul PIL. Difatti l’Italia e la Calabria in particolare cresce poco, uno degli ultimi in termini di velocità di sviluppo in Europa e tra i paesi avanzati. L’Italia aveva prima della pandemia, secondo il Quadro europeo di valutazione dell’innovazione 2019, un tasso d’innovazione inferiore alla media Ue e, per questo, era considerata un “innovatore moderato”. Considerando le regioni, pur potendosi notare nel complesso segnali, sia pur deboli, di capacità innovativa, solo il Friuli Venezia Giulia risultava essere un “innovatore forte” in Europa, mentre la Calabria occupava la parte bassa della classifica».
E quali effetti ricadono sui cittadini?
«La mancanza di innovazione e di digitalizzazione può avere diversi effetti sui cittadini. Senza un’adeguata digitalizzazione, i calabresi potrebbero avere un accesso limitato o scarsamente qualificato a servizi e risorse digitali. Ciò potrebbe rendere difficile svolgere attività quotidiane come la gestione delle informazioni personali, le transazioni bancarie online, l’accesso all’assistenza sanitaria digitale o l’interazione con le istituzioni governative tramite canali online. Ma la mancanza di innovazione e di digitalizzazione potrebbe portare a un divario digitale tra coloro che hanno accesso e competenze digitali e coloro che ne sono privi. Ciò potrebbe portare a un’ulteriore esclusione di gruppi svantaggiati (anziani o persone con disabilità) che potrebbero avere difficoltà a beneficiare delle opportunità digitali. E l’assenza di innovazione e di digitalizzazione nei servizi pubblici potrebbe comportare una minore efficienza nell’erogazione di servizi essenziali come l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’amministrazione pubblica, la sicurezza e altri servizi sociali. Questo potrebbe comportare ritardi nell’erogazione di servizi, maggiore burocrazia e disagi per i cittadini. Tutto questo perché l’innovazione e la digitalizzazione possono portare a soluzioni innovative che migliorano la qualità della vita dei cittadini. Ad esempio, l’adozione di tecnologie intelligenti per il trasporto pubblico, l’energia sostenibile o l’abitazione intelligente potrebbe comportare un impatto positivo sulla vita quotidiana delle persone. La mancanza di queste innovazioni potrebbe impedire il raggiungimento di questi obiettivi».
Perché è così importante per la regione recuperare quel gap?
«La Calabria non deve più inseguire l’industrializzazione, ma deve fare un salto nella nuova era e investire in creatività e innovazione. È inutile inseguire il treno dell’industrializzazione, dobbiamo piuttosto pensare alla Calabria 4.0, una regione di imprese High Tech che forniscono servizi avanzati e che valorizza in maniera innovativa i tradizionali settori dell’Agroalimentare e del Turismo. Calabria 4.0 significa investire nella logistica, e a Gioia Tauro abbiamo un polo di eccellenza in grado di trasformare la Calabria in una grande piattaforma logistica fra l’Europa, l’Asia e l’Africa. Ma significa anche creare un distretto di imprese High Tech che sviluppino servizi di ICT innovativi per le famiglie e le imprese, utilizzando il Know How delle nostre Università. Recuperare quel gap per la Calabria significa trasformarla in una regione creativa che, a partire dal patrimonio di beni culturali, valorizzi i settori tradizionali del turismo, dell’agroalimentare e dell’artigianato di qualità, possa innescare una “Sovrapposizione virtuosa” tra beni culturali e sistema produttivo. Un passaggio che consente ai beni culturali di giocare il ruolo di volano di sviluppo. In un mondo in cui la velocità è tutto, in cui la rapidità è un fattore critico di successo, la Calabria si presenta con un processo di decisione/attuazione, lento, farraginoso ed elefantiaco. Un pachiderma che deve competere in una gara di velocità con lepri e gazzelle. Non servono nuove risorse o nuovi investimenti. La cura è semplice e immediata, basta investire in intelligenza e competenze».
Stando alle analisi della Corte dei Conti, c’è ormai il rischio concreto che gli obiettivi di riduzione del digital divide, fissati dal Pnrr, non saranno centrati. E dunque la Calabria sarebbe tra le regioni che pagherebbe più lo scotto.
«La Corte dei Conti ha descritto un quadro di notevoli ritardi nella spesa e nel raggiungimento degli obiettivi. La relazione semestrale sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) indica che il nostro paese deve gestire 192 miliardi di euro di fondi europei. La Corte afferma che l’applicazione del PNRR sta affrontando una fase difficile, con ritardi che coinvolgono il 50% dei progetti e solo il 70% delle imprese ha ricevuto i pagamenti completi. Secondo la Corte, più della metà delle misure colpite dai flussi finanziari mostra ritardi o si trova ancora in una fase iniziale. Se il PNRR dovesse fallire, le regioni più deboli subirebbero gravi conseguenze. Questo piano è stato progettato proprio per fornire sostegno e risorse alle aree del Paese che sono maggiormente svantaggiate e in difficoltà. Se non si riesce a implementare correttamente il PNRR, queste regioni non potranno beneficiare degli investimenti e dei progetti volti a stimolare la crescita economica, creare posti di lavoro, migliorare l’infrastruttura e promuovere lo sviluppo sostenibile. Le regioni più deboli rischiano così di rimanere indietro rispetto alle altre, con un’accentuazione delle disuguaglianze regionali. Ciò potrebbe comportare un aumento della disoccupazione, una stagnazione economica e una ridotta qualità della vita per le persone che vivono in queste zone. Inoltre, senza i finanziamenti del PNRR, potrebbe essere difficile per le regioni più deboli avviare progetti di sviluppo autonomi e realizzare gli interventi necessari per affrontare le sfide specifiche che affrontano. È quindi fondamentale che il PNRR venga attuato con successo e che le risorse siano allocate in modo efficace, garantendo che le regioni più deboli beneficino appieno delle opportunità offerte. In questo modo si potranno attenuare le disparità regionali e promuovere una crescita economica più equilibrata in tutto il paese. Ma finora solo tante parole, ma i fatti latitano».
A questo punto cosa è possibile fare per salvare gli investimenti programmati dall’Europa per ridurre quel divario?
«Il PNRR sarà un investimento importante, ma non sarà la panacea di ogni male e, soprattutto, dovrà essere gestito senza il rischio di sprecare risorse. Una sovrapposizione virtuosa fra POR e PNRR è una chiave di volta per il successo della programmazione regionale. Tuttavia, non bisogna dimenticare che l’intervento sui fondi strutturali e sul PNRR è aggiuntivo, non sostitutivo. Dove invece la Calabria sperimenta una carenza di risorse è nelle politiche ordinarie, ad esempio la sanità, che è pesantemente sottofinanziata. La Calabria vive, quindi, la dicotomia di un eccesso di fondi che dovrebbero finanziare interventi di rafforzamento del sistema produttivo e una drammatica carenza di fondi per gestire l’ordinario. Ciò causa un livello molto basso di servizi per i cittadini e una impossibilità a gestire in maniera efficiente ed efficace la programmazione. Se i divari non sono stati colmati ciò e dovuto ad una scarsa capacità di spesa di risorse ingenti ma aggiuntive e una carenza di risorse per poter gestire l’ordinario. Impossibilità di gestire l’ordinario che vanifica gran parte della spesa aggiuntiva».
E la Regione può in qualche modo interagire per far accelerare la messa a terra dei progetti finanziati con quelle risorse?
«La Regione Calabria può svolgere un ruolo importante nell’accelerare l’implementazione delle risorse in vari modi. Innanzitutto potrebbe promuovere l’innovazione tecnologica e sostenere la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie o soluzioni che accelerino la messa a terra delle risorse. Ma la Regione potrebbe offrire, anche, incentivi finanziari sotto forma di sovvenzioni, sgravi fiscali o finanziamenti agevolati per incoraggiare gli investimenti nelle risorse e facilitare la loro adozione da parte delle aziende o dei cittadini. E poi potrebbe sviluppare politiche formative che favoriscano l’implementazione delle risorse, semplificando i processi amministrativi e riducendo le barriere burocratiche. Ed ancora su questo fronte la Regione potrebbe facilitare la collaborazione tra le parti interessate, come le imprese, le università, le organizzazioni non governative e i cittadini, i sindacati e le associazioni datoriali per promuovere una maggiore adozione delle risorse e favorire l’interscambio di conoscenze e competenze». (r.desanto@corrierecal.it)
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