COSENZA «Ho un grande rammarico, probabilmente come società dovevamo fare qualcosa di più per far uscire fuori la verità sulla morte di Denis. Ne ho parlato con Antonio Serra, gli ho detto che in questo siamo stati carenti, non siamo stati abbastanza incisivi». Bonaventura Lamacchia nel 1989 ricopriva l’incarico di amministratore delegato del Cosenza calcio. Oggi è stato ascoltato nel corso dell’udienza del processo Bergamini che si tiene in Corte d’Assise (presieduta da Paola Lucente) al tribunale di Cosenza. Lamacchia, ingegnere e costruttore che in passato ha ricoperto anche i ruoli di presidente della società silana (dal 1993 al 1995) e di parlamentare, ha riposto alle domande del pm Luca Primicerio e degli avvocati di parte Anselmo-Galeone e Pugliese-Marzocchi. Assente in aula l’unica imputata Isabella Internò, presente invece Donata Bergamini, sorella dell’ex calciatore rossoblù. «Bergamini era un grande professionista e una persona di grande umanità – ha sottolineato il teste che entrò a far parte, come socio, nel Cosenza calcio nel 1988 per poi diventare amministratore delegato nei primi mesi del 1989 –. Aveva un carattere tranquillo, era riservato, umile. Per intenderci, non era lo spaccone del gruppo. La sera della tragedia, eravamo tutti al Motel Agip come accadeva sempre prima delle partite casalinghe. Arrivò una telefonata e subito dopo Franco Pizzini, che era dirigente accompagnatore, ci informò che Bergamini aveva avuto un incidente. Poi partì insieme a Ranzani (direttore sportivo del Cosenza, ndr) alla volta di Roseto Capo Spulico. Inizialmente tutti accettammo la versione del suicidio, anche perché non si parlava d’altro. Poi, però, ragionandoci sopra e chiacchierando nei mesi successivi con alcuni compagni di squadra più legati a Denis, mi sono convinto anch’io che non era possibile che si fosse suicidato. Altri, come ad esempio Marulla, Marino, Napolitano, De Rose e Zunico, propendevano invece per il suicidio».
«Qualche mese dopo la morte di Bergamini – ha ricordato Lamacchia – in concomitanza con una trasferta del Cosenza in Emilia-Romagna, andai con il presidente Antonio Serra ad Argenta a casa della famiglia per consegnargli gli assegni degli stipendi arretrati del ragazzo. Conoscevo già il padre e la sorella, mentre vidi per la prima volta la madre. Già in quell’occasione, loro si mostrarono scettici sulla versione di Isabella Internò. Avevano sentito Denis pochi giorni prima della sua morte e non ritenevano possibile l’ipotesi del suicidio. Effettivamente anch’io, poi, ragionandoci sopra, non ero convinto di quella tesi. Uno va al cinema a guardare un film e poi scappa per andarsi a suicidare? Forse, se le indagini degli inquirenti fossero state più precise fin dall’inizio, noi come società ci saremmo mossi diversamente, penso per esempio alla polizza assicurativa sulla morte del ragazzo che con la sentenza del 1991 che ha accertato il suicidio è venuta meno».
A Lamacchia (che nella veste di amministratore delegato della società si occupava anche degli stipendi dei calciatori) sono stati mostrati in aula l’assegno di otto milioni di lire trovato nel portafogli di Bergamini e il nuovo contratto stipulato tra il calciatore e il Cosenza calcio nel luglio del 1989, subito dopo il mancato trasferimento al Parma. «Ammetto di aver qualche rimpianto su quella trattativa saltata – ha rivelato l’ex dirigente –, penso che se Denis fosse andato via, non sarebbe morto. Non ho partecipato direttamente alla trattativa con il Parma, ricordo però che Antonio (Serra, ndr) me ne parlò già nel novembre del 1988, durante il mercato di riparazione. In una prima fase si diceva che fosse stato Denis a rifiutare il trasferimento, poi però mi informarono del passo indietro della società emiliana. Anni dopo mi confermò tutto Pastorello, allora ds del Parma. Mi disse che fu l’allenatore Nevio Scala a bloccare l’ingaggio di Bergamini».
In quegli anni l’ex ad non sapeva nulla del rapporto tra Bergamini e Isabella Internò. «Non conoscevo la ragazza – ha evidenziato Lamacchia –, me l’hanno indicata soltanto durante il funerale e mi hanno detto che era la fidanzata». Nel corso del suo intervento, l’avvocato di parte civile Fabio Anselmo, ha ricordato un episodio emerso già in una precedente dichiarazione di Lamacchia, rilasciata nel febbraio 2018 alla procura di Castrovillari. In quella circostanza il teste di giornata aveva raccontato di un incontro, avuto poco prima di essere ascoltato dal pm dell’epoca Eugenio Facciolla, con il magazziniere storico del Cosenza calcio (deceduto nel 2021) Renato Madia. Quest’ultimo, convocato anche lui dalla procura di Castrovillari, in quella circostanza, come confermato oggi dallo stesso Lamacchia, raccontò al suo vecchio dirigente di aver appreso dal parcheggiatore del cinema Garden che Bergamini, il sabato del 18 novembre del 1989, era stato prelevato da due uomini e da Isabella Internò. Gli avvocati della difesa, Pasquale Marzocchi e Angelo Pugliese, hanno puntato molto su alcune contraddizioni di Lamacchia rispetto alle sue precedenti dichiarazioni. Nonostante fosse presente in aula, sono state acquisite un po’ a sorpresa le sit di Francesco Arcuri, cugino acquisito di Isabella Internò. L’uomo avrebbe dovuto essere ascoltato nell’udienza fiume dello scorso 8 maggio, ma per questioni di tempo la sua testimonianza era stata rinviata ad oggi. Si tornerà in aula il 16 giugno.
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