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La ‘Ndrangheta tribale che non dimentica e il pensionato ammazzato su una panchina in Piemonte

Un delitto di 40 anni prima. La vendetta promessa da Alvaro “U vampiru”. E la ferocia dei clan che valica i confini. Senza pietà: dall’Aspromonte fino a San Mauro Torinese

Pubblicato il: 01/06/2023 – 6:33
di Paride Leporace
La ‘Ndrangheta tribale che non dimentica e il pensionato ammazzato su una panchina in Piemonte

L’11 luglio del 2004 Giuseppe Gioffrè scende dal suo appartamento alle case popolari di via Mezzaluna a San Mauro Torinese alle porte del capoluogo piemontese. E’ domenica, ma i suoi giorni da pensionato trascorrono abbastanza uguali. Giuseppe ha 77 anni e ogni tanto in testa affiorano ricordi neri della sua vita trascorsa tra Calabria e Piemonte.
Cura molto il verde dei giardini sottostanti il suo palazzo con “buongiorno” e “buonasera” ai vicini. Come un nonno burbero, spesso redarguisce i ragazzini che giocano a pallone vicino al giardino. Ma nei caseggiati ha nomea di paciere.

Giuseppe Gioffrè

Quando qualcuno non vuole pagare i soldi del giardiniere ha proposto «mettiamoli noi e risolviamo ogni questione».
Si siede alla panchina e aspetta la moglie Peppina Pana. La signora Peppina è la seconda moglie di Giuseppe. È rimasto vedovo da giovane Giuseppe Gioffrè, originario di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Ogni giorno Giuseppe ha qualcosa da ricordare della sua vita passata.

Come nei “Promessi sposi”: il suocero chama i “bravi”

Era appena cominciata l’estate anche nel luglio del 1964. Al paese nella parte più alta Peppe con la moglie Concetta Iaria ha aperto una panetteria. Ma nei paesi dell’Aspromonte un’attività commerciale può dare fastidio anche ai tuoi più stretti congiunti, magari a tuo suocero, il quale non accetta che genero e figlia abbiano danneggiato i guadagni del suo negozio di alimentari posto di fronte alla pizzeria.
Per antica consuetudine, non ancora del tutto finita, nei paesi dell’Aspromonte certe controversie le affidi alla legge dei più forte. Come nelle pagine dei Promessi sposi, il suocero di Peppe chiede l’intervento dei compari Alvaro nel vicino paese di Sinopoli. Antonio Alvaro detto “u rizzu” in compagnia di Antonio Dalmato vestono perfettamente i panni da “bravi” moderni. Si fanno notare subito davanti alla panetteria di Peppe e Concetta. Si mettono a pisciare anche davanti al locale.

La vendetta di Alvaro “U vampiru”

Concetta Iaria

È arrivata intanto sulla panchina di San Mauro Torinese Peppina. Giuseppe spesso ripensa a Concetta. Qualcuno degli anziani a S. Eufemia d’Aspromonte raccontava che era stato proprio Concetta ad aizzarlo. Certo i due “bravi” lo avevano aggredito a mazzate. Giuseppe, per altra consuetudine, aveva l’arma nel negozio. Non aveva esitato a premere il grilletto e vederli cadere come birilli “U rizzu” e Dalmato, quindi Giuseppe con la moglie si erano allontanati dalla scena del crimine andando a prendere i 4 figli per nascondersi. Tra S. Eufemia e Sinopoli la voce della sparatoria mortale era corsa in un baleno. Raccontano che davanti alla panetteria giunse Salvatore Rocco Alvaro, il cognato di Antonio Dalmato. C’è anche scritto nelle carte giudiziarie, ed evidentemente i carabinieri raccolsero la voce in paese, che Salvatore Rocco Alvaro si avvicinò alle ferite del cognato bevendone il sangue e annunciando in reggino stretto: «Con questo sangue ti vendico». Da quel giorno Salvatore Rocco Alvaro fu detto “U vampiru”.
Giuseppe Giuffrè non era uomo da latitanza lunga. Doveva scampare alla legge e agli Alvaro. Dopo pochi giorni si consegnò ai carabinieri prendendo la strada del carcere e lasciando la famiglia.

La ‘Ndrangheta senza onore che spara a donne e bambini

Giuseppe Gioffrè quante volte sulla panchina dei giardini condominiali di via Mezzaluna a San Mauro Torinese avrà pensato alla tragica notte del 18 gennaio 1965. Quella notte tre uomini entrano in uno stabile di via Principe di Piemonte e salgono armati al primo piano in cui vive la famiglia Gioffrè. Scassinano la porta, al sentire il rumore il piccolo Cosimo si avvicina venendo investito da colpi mortali. Il cadavere del ragazzino fa da scudo al fratellino Giovanni che di anni ne ha 7 e viene ferito di striscio. I criminali, a riprova che neanche la vecchia ‘ndrangheta risparmiava donne e bambini, puntano lupare verso il letto matrimoniale in cui dorme mamma Concetta che muore all’istante, le piccole Maria di 5 anni e Carmela di pochi mesi restano ferite. I sanguinari killer nella fuga per le scale incontrano la dottoressa Azzarà, che al sentire dei colpi si era alzata a vedere quello che era accaduto ai vicini di casa; sparano anche a lei “ma senza colpirla”. Poi la fuga.

La strage di Sant’Eufemia d’Aspromonte

I carabinieri con i cani si mettono alla ricerca subito degli Alvaro. Ne fermano subito 5. Alla fine ne arrestarono 14 degli Alvaro. C’era “‘U vampiro” e i suoi fratelli, il fratello e lo zio di quello ucciso alla panetteria. C’era tutta la famiglia alla sbarra. Tutti assolti “per insufficienza di prove”. A quel tempo non c’erano i Bombardieri e i Gratteri a raccogliere prove granitiche. In un’informativa del 1974 si legge soltanto: «La liberazione dei citati ha fatto capire purtroppo, alle persone del luogo, che più che mai bisogna sottostare ai voleri degli Alvaro a scanso di tremende rappresaglie». In quel 1965 la cronaca nera titolò “La strage di Sant’Eufemia d’Aspromonte”.
Devono essere stati terribili i sette anni di carcere di Giuseppe Gioffrè, moglie e figlioletto ucciso e tre feriti. Quando esce dal carcere sparisce dalla Calabria e si trasferisce a Torino. Edile e poi alla Fiat, il fornaio diventa operaio massa. Si risposa. Va a vivere a San Mauro Torinese.

La memoria (e la ferocia) della ‘Ndrangheta

È un pensionato sulla panchina davanti alla propria casa quella domenica di luglio del 2004. Quelle tragedie familiari un lugubre ricordo del tempo e dei suoi luoghi. Ma la ‘ndrangheta non dimentica mai la vendetta. Anche se sono passati quattro decenni.
Un uomo si avvicina: «Siete Giuseppe Gioffrè». Il pensionato che andava al paese d’origine rare volte per qualche funerale di un parente o a trovare la sorella con riflesso scontato dice “sì”. La pistola vomita proiettili, l’ultimo è il colpo di grazia.
San Mauro Torinese nel 2004 non è Santa Cristina d’Aspromonte degli anni Sessanta. Tutti coloro che sono ai balconi descrivono killer e commando, qualcuno indica anche chi ha fatto sopralluoghi giorni prima con una moto. Una telefonata lancia l’allarme. L’intervento dei carabinieri è immediato insieme ai vigili del fuoco nel rintracciare l’auto rubata e data alle fiamme per far scomparire le tracce. Viene recuperata una bottiglietta che sarà preziosa per le indagini. Stefano Alvaro era stato arrestato in Calabria come esecutore materiale. Ora che gli investigatori, che non mollano mai, lo scorso luglio sostengono grazie a nuove prove fornite dai Ris di Parma la colpevolezza di altri due presunti esponenti del gruppo di fuoco. Giuseppe Crea, 44 anni, ha scelto il rito abbreviato, l’ennesimo Alvaro di questa vicenda, Paolo, 57 anni, sarà processato per l’omicidio di Gioffrè il prossimo 27 settembre a Ivrea. Annuncia battaglia il suo difensore Francesco Siciliano del Foro di Cosenza, contestando le risultanze del Ris su un’impronta che sarebbe stata su una bottiglietta arsa dalle fiamme ad alta temperatura.

Gente che non dimentica nulla

La famiglia Crea ha allargato il suo potere in diverse latitudini del mondo. In Piemonte governano ad Ivrea. A San Mauro Torinese a leggere i rapporti della Dia regna il sodalizio dei Crea-Simonetti, originari di Stilo. I loro capi Adolfo e Aldo Cosimo Crea sono stati i primi calabresi ad essere sottoposti al regime del 41 bis. Estorsioni e attività imprenditoriali, qualche commerciante di strada ogni tanto riceveva una testa di maiale in una scatola. Giuseppe Ursino, esponente dello stesso “locale”, è stato di recente incriminato per aver tentato di riprendersi con minacce dal carcere un ristorante confiscato nel 2018 in Val Susa.
‘Ndrangheta postmoderna e quella feroce e tribale. Tra Sinopoli e Sant’Eufemia d’Aspromonte le stragi e le faide hanno radici antiche. Vincenzo Pinneri assaltava caserme di carabinieri e sparava al questore nel 1944. Poi vennero gli Alvaro vincenti che si divisero nei tronconi “carni i cani” e “cuddalonga”. Gente che non dimentica nulla. Capace di far ammazzare un anziano su una panchina di San Mauro Torinese per vendicare un affronto avvenuto in Calabria quarant’anni prima. (redazione@corrierecal.it)

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