ROMA Si è tenuta ieri, nell’affollatissima Aula Orsini del Palazzo di Giustizia di Roma, in concomitanza con la prima giornata di astensione degli Avvocati della Capitale, l’Assemblea dei penalisti romani a cui hanno partecipato rappresentanti del Governo “Meloni”, tra cui il Sottosegretario di Stato alla Giustizia, On.le Ostellari, rappresentanti delle forze politiche dell’attuale opposizione, tra cui la Responsabile giustizia del PD On.le Serracchiani, il Presidente dei penalisti italiani Avv. Caizza e diversi altri rappresentanti delle istituzioni, tra cui il Garante nazionale dei detenuti. Invitata dal Presidente dei penalisti romani Avv. Gaetano Scalise al tavolo dei relatori di questo imponente evento, la Camera penale di Cosenza, in persona del proprio Presidente Roberto Le Pera, ha presentato il documento dal titolo “Carcere e Diritti; quali ?”. Dopo i ringraziamenti e gli apprezzamenti rivolti al Presidente e al Consiglio direttivo della Camera penale di Roma per le incessanti battaglie in difesa dei diritti e della dignità della Toga, il Presidente della Camera penale di Cosenza, parlando a nome dell’intero Consiglio direttivo, ha trattato i temi enunciati nel detto documento.
«Lo Stato ha certamente il diritto e il dovere di differenziare i regimi detentivi in ragione della gravità dei reati commessi dal detenuto e della ritenuta, accertata, sua pericolosità. Ma questo elementare principio di sicurezza non ha nulla a che fare con le regole odiose, violente, non di rado irragionevolmente sadiche che connotano il regime del 41 bis, strumento chiarissimamente finalizzato alla collaborazione. In questo senso è concettualmente pari alla tortura; impedire all’essere umano detenuto, quale che siano le colpe di cui si è macchiato, di non poter per decenni o per tutta la vita mai più abbracciare un figlio o un familiare che cosa ha a che fare con la sicurezza? Il doppio binario penitenziario, con il suo 41 bis, è il risultato della triste e incivile equazione secondo cui il carcere è ciò che il delinquente merita, dunque più duro è, più giustizia è fatta! Per questo motivo, l’ambito penitenziario è divenuto oramai una sorta di circo – non di circuito- in cui, però, non esistono trampolieri e pagliacci, ma soltanto gabbie, quelle che sono utilizzate per trattenere belve, ma che neppure a questo oramai più servono perché, nel solo anno 2022, 88 di quelle “belve” -così rappresentati nel comune immaginario a seguito di roboanti conferenze stampa- hanno deciso di togliersi di mezzo, di suicidarsi nelle carceri italiane pur di non essere vittime della strage di legalità del nostro sistema carcerario». E infine, il Presidente della Camera penale di Cosenza, rivolgendosi ai politici presenti ha chiesto loro: «siete pronti a ritenere che il carcere, come oggi divenuto, costituisca la deriva dei diritti umani; siete pronti a confessare che l’articolo 27 della Costituzione è, allo stato, un modo di dire e di apparire, utile soltanto a calmierare e calmare le coscienze dinanzi alla strage di decessi per suicidio nelle nostre carceri». Ed infine «siete pronti a prendere le distanze dalle recenti esternazioni del magistrato ex consigliere del Csm, Sebastiano Ardita secondo cui l’efferato crimine della povera Giulia Tramontano “non riceverà mai una giustizia effettiva in quanto, così testualmente nell’intervista, se l’indagato sarà condannato ed avrà qualche attenuante o beneficio, tra liberazione anticipata e misure alternative/liberazione condizionale, dopo una decina di anni di carcere tornerà libero per rifarsi una vita, come è già accaduto per altri. Lei invece rimarrà sottoterra, viva solo nel ricordo e nel dolore dei suoi cari … vittima di un crimine efferato in un sistema penale che non fa più paura”». Ritengo – ha concluso il Presidente Le Pera – «che soltanto una politica che rifuggirà da questo approccio di grave ignoranza costituzionale rispetto alla funzione della pena declinata dal comma 3 dell’articolo 27, dunque soltanto una politica che si rivolgerà all’uomo e non al delitto, consentirà che giornate come quella odierna costituiscano un punto, anzi il punto di partenza per un confronto costruttivo su “carcere e diritti” e non un dialogo tra sordi».
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