CATANZARO L’andrologia è la disciplina che si occupa delle disfunzioni dell’apparato riproduttore maschile e di quello urogenitale. Gli addetti ai lavori dicono che «è un guado tra l’endocrinologia e l’urologia». Nell’Università di Catanzaro esiste un master universitario in Andrologia clinica, giunto quest’anno alla terza edizione, che finora ha formato validi professionisti. Tuttavia, è di medio livello la risposta del Servizio sanitario calabrese all’infertilità, problema ancora piuttosto sottovalutato anche sul piano sociale. Al riguardo, infatti, esiste soltanto un Centro pubblico di assistenza, ubicato nel policlinico universitario di Catanzaro e diretto da Antonio Aversa, scienziato di riconosciuto livello con H-Index pari a 47, professore ordinario di Endocrinologia nell’ateneo catanzarese, lì direttore del master in Andrologia clinica e della scuola di specializzazione in Endocrinologia e malattie metaboliche. Con lui parliamo di infertilità maschile, la cui incidenza nel territorio calabrese si attesta intorno al dieci per cento. Il dato, seppure di poco inferiore, è in linea con quello nazionale.
«Il centro che dirigo – premette Aversa – è il principale di tutta la regione, in quanto è l’unico pubblico che fornisce assistenza al maschio infertile e può aiutalo verso una procreazione medicalmente assistita che viene effettuata all’interno della nostra azienda ospedaliera, nell’Unità operativa di Ginecologia. Si tratta di un centro di terzo livello, dove si può fare di tutto, per quanto riguarda la parte medica. Su Cosenza, per esempio, l’Andrologia è solo privata e non esiste più un’Andrologia pubblica. Anche a Lamezia Terme c’è una struttura privata, come nel Soveratese e nella provincia di Reggio Calabria. Nel contesto, allora, ad oggi c’è in Calabria una risposta intermedia, non superlativa. Vi sono, invece, alcune regioni italiane che hanno più centri di eccellenza per la diagnosi e il trattamento dell’infertilità maschile».
Professore, come è vissuto il problema dai pazienti?
«Molto male. Il 60 percento delle persone che vedo nel nostro ambulatorio pubblico è rappresentato da pazienti abbastanza provati, i quali sono già stati in altri centri di procreazione assistita fuori regione. Da questo punto di vista, il problema lo vivono molto male, perché sono costretti ad andare altrove per fruire, poi, di un’assistenza spesso privata. Infatti, quando queste persone vanno fuori regione, è rarissimo che si rivolgano a centri pubblici. Di quel 60 percento che visito, circa il dieci per cento si rivolge a centri pubblici fuori del territorio regionale. Quindi, lavoriamo sodo e svolgiamo una funzione di peso. Quando dico ai pazienti che possono evitare l’emigrazione sanitaria, loro sono ben contenti di non doversi spostare più, qualora debbano fare una tecnica di procreazione assistita. Restano soddisfatti e contenti coloro che fanno la terapia medica, quella praticata nel mio ambulatorio di Andrologia. Questi pazienti sono un altro 10 percento. Aggiungo che non sono tantissimi coloro che riescono ad ottenere una gravidanza soltanto con terapie mediche, quindi non con sussidi, con supporti extra-medici».
Per quanto riguarda la terapia medica, sempre con riferimento all’infertilità maschile, oggi com’è affrontato il problema?
«La terapia medica dell’infertilità maschile è limitatissima, perché le evidenze scientifiche sono ormai piuttosto di carattere sperimentale. Intendo dire, cioè, che mancano studi controllati. L’unica terapia medica che si può praticare in questi casi è quella con ormoni della riproduzione. Tuttavia, essa si può praticare in casi molto limitati, cioè quando vi è effettivamente una carenza di questi ormoni, documentata in un ambulatorio pubblico. Per i piani terapeutici impostati dal sistema sanitario nazionale, è necessaria una struttura pubblica come la nostra. Vi è poi chi ricorre a terapie non convenzionali, basate su supplementi, nutraceutici e adiuvanti. Codeste terapie si sono dimostrate in qualche modo utili, ma non in studi scientificamente controllati. Esse non comportano grossi rischi per i pazienti, ma il pericolo è che non facciano alcunché. Noi diamo una garanzia di efficacia terapeutica, per quanto concerne quella convenzionale, tranne che in alcuni casi limitati».
Nel lungo periodo c’è stato un incremento a livello di incidenza, sempre riguardo alla problematica dell’infertilità maschile?
«No. Come per la terapia, non ci sono state modifiche: l’incidenza è quella, l’efficacia della terapia medica non ha avuto variazioni e l’efficacia della Pma, cioè della Procreazione medicalmente assistita, è la stessa di 20 anni fa, nel senso che non è cambiata la sua percentuale di successo».
In generale, quali sono le direzioni della ricerca rispetto all’infertilità maschile?
«Le direzioni della ricerca sono negli Stati Uniti e in altre nazioni. Si lavora sulle cellule staminali. A Catanzaro, noi cerchiamo di porci in una situazione di centralità rispetto alla ricerca internazionale. Però le dico che novità grossissime non ce ne sono, nel senso che quanto emerge dagli studi internazionali riguarda lavori in laboratorio fatti su animali da esperimento, purtroppo non sull’uomo. Quindi si tratta di lavori che sembrano promettenti ma da 20 anni non producono alcun tipo di risultato, nel senso che poi non passano all’applicazione».
Quali sono le ragioni per cui soprattutto il privato lavora in questo ambito?
«Perché il pubblico non funziona bene, è molto semplice. Ci sono pochi centri. Pertanto, vi sono delle liste d’attesa. Devo dire che il mio centro ha liste al massimo di un mese, per le visite andrologiche. Comunque, le liste d’attesa esistono per la procreazione medicalmente assistita. Perciò, essendoci nel pubblico liste d’attesa molto lunghe per la procreazione medicalmente assistita, è chiaro che la gente ci si rivolge al privato».
Che dei pazienti calabresi si rivolgano ancora a Centri fuori dalla Calabria, è legato a ragioni di carattere culturale, ad una sfiducia generale verso il Sanitario regionale?
«Le ragioni sono fondamentalmente due. Una è che, in generale, la gente non conosce i centri pubblici di procreazione medicalmente assistita. L’altra è, sempre in generale, che la gente ha sfiducia, non si fida della sanità calabrese. Questo è ciò che tutti possono osservare, senza alcuna polemica».
In effetti, la politica potrebbe interessarsi molto di più del potenziamento dei centri per la cura dell’infertilità. Tra l’altro, sul sito dell’Università di Catanzaro non c’è notizia dell’unico centro pubblico di andrologia che in Calabria dà nel merito risposte. È un peccato, oggi le persone si informano tramite il web.
«Con molto scrupolo portiamo avanti il nostro lavoro, per correttezza non entro nelle questioni politiche».
Quali sono, nel Centro che lei dirige, i tempi per il completamento dell’iter relativo alla procreazione medicalmente assistita?
«Ci vuole un anno e mezzo per completare l’iter della procreazione medicalmente assistita. Invece, è di un mese scarso l’attesa per la visita andrologica per l’infertilità maschile. Talvolta, nel mio ambulatorio si riesce ad avere l’appuntamento per la visita anche due settimane dopo aver chiamato. Ciò perché funziona e, rispetto alla richiesta, l’ambulatorio eroga un servizio più che congruo. Se io avessi appuntamenti a sei mesi, mi preoccuperei, raddoppierei le visite».
In quanto alla sua attività di ricerca, so che lei sta per andare a Chicago per relazionare ad un congresso mondiale di Endocrinologia.
«Al momento abbiamo linee di ricerca di rilievo sull’infertilità maschile, soprattutto sull’infertilità maschile in campo oncologico. Mi riferisco ai tumori dell’apparato urogenitale. Lei capisce che in Calabria chi si opera di tumore al testicolo, che colpisce di più i giovani fra i 30 e i 40 anni, deve poter conservare il seme, essere in condizione di procreare nel futuro. Per questo, in campo di infertilità maschile, abbiamo una linea di ricerca importante. Ancora, in campo di tumorigenesi stiamo occupandoci di nutraceutici: non farmaci, ma supplementi. Guardi, stiamo facendo ricerca sulla sessualità maschile e femminile a 360 gradi, specie sugli effetti che l’olfatto ha nella sessualità. È un aspetto molto poco presente in letteratura scientifica. Noi lo stiamo approfondendo proprio nel nostro Centro, unitamente ai nostri docenti di Psicologia, che supportano tali studi clinici sull’olfatto. Adesso stiamo andando al congresso mondiale di Endocrinologia, che si terrà la settimana prossima a Chicago e cui parteciperò. Stiamo andando con una linea di ricerca importantissima, che riguarda un farmaco per dimagrire e con effetti sulla fertilità molto positivi. Stiamo andando a Chicago anche con un mio lavoro sulla rigenerazione tessutale dei corpi cavernosi, candidato a un premio internazionale in programma proprio lì a Chicago».
Che cosa si augura, allora?
«Spero di poter portare questo premio a casa. Sarebbe un onore, pure per la Calabria».
Professore, è vero che oggi nascono più bambine che bambini?
«No, è sempre stato così. Sin dall’antichità, ci sono sempre state più donne che uomini».
Perché ci sono più transessuali rispetto 30 anni fa?
«È una bella domanda. Ci sono più transessuali, perché le interferenze ambientali, quindi di fattori che sono in grado di agire su ormoni in maniera non convenzionale, sono molti di più. Mi riferisco a fattori ambientali inquinanti, in grado di interagire molto di più di prima. Alludo all’inquinamento, al riscaldamento della Terra et cetera. Sono tutti fattori che hanno modificato la predisposizione all’espressione di alcune proteine ormonali che poi sono in grado di condizionare il cervello umano e il comportamento sessuale. Ecco perché stiamo studiando l’olfatto: per cercare di capire se nei transgender c’è un tipo di alterazione della percezione olfattiva che li porta, poi, nella loro evoluzione, a voler cambiare sesso. Il fatto che oggi ci siano più transgender rispetto a 30 anni fa è un aspetto che si registra in maniera abbastanza significativa. In Calabria, il mio ambulatorio di Transgender è nato da tre anni. È presente su un sito istituzionale che si chiama “Infotrans” ed è un ambulatorio che è in pratica esploso, in quanto ad accessi. Io non mi aspettavo che in Calabria ci fossero tanti transgender. Avevo fatto lo stesso ambulatorio nel Lazio, quando stavo a Roma. Lì te lo aspetti, ma non potevo prevedere che in Calabria tante persone facessero outing e venissero nel mio ambulatorio di Transgender a dichiararsi e chiedere assistenza pubblica al Servizio sanitario nazionale. Attenzione, non è un’anomalia, è una pratica inaspettata. Tuttavia, se andiamo a guardare l’incidenza nella popolazione generale dei transgender e poi la riportiamo in Calabria, i dati percentuali sono pressoché sovrapponibili. Ciò significa che svolgiamo anche un altro compito utile, fornendo assistenza a chi ha intenzione di cambiare sesso».
Per questo, professore, il Corriere della Calabria punta i fari anche sui servizi che funzionano, in modo che l’utenza possa giovarsene. (redazione@corrierecal.it)
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