COSENZA Poche settimane fa, il procuratore della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri aveva anticipato ai nostri microfoni, e dinanzi ad una platea di giovani studenti cosentini, la necessità per le forze dell’ordine di dotarsi di sofisticati sistemi informatici, hacker compresi, in grado di stanare e contrastare i mezzi altamente tecnologici in mano alla mala. Una frase che ha trovato immediato riscontro quando la Dda di Catanzaro, diretta da Gratteri, ha portato a termine l’operazione “Gentlemen 2“.
L’esigenza di apparire sempre, a tutti i costi. Essere al centro dell’attenzione, palesare attraverso scatti e ritratti forza, potere e controllo, ostentare sicurezza nell’aggirare i controlli delle forze dell’ordine. Le foto finite nell’inchiesta denominata “Gentlemen 2“, coordinata dalla Dda di Catanzaro: ritraggono una sagoma, quella dell’indagato Claudio Franco Cardamone (nella foto in copertina) mentre imbraccia fiero alcune armi da guerra. Un selfie armato finito sotto la lente di ingrandimento degli investigatori. Due dei soggetti indagati nel procedimento hanno utilizzato «criptofonini di ultima generazione e non intercettabili». Da qui, la convinzione di non poter essere sottoposti ad alcuna attività di monitoraggio ha permesso loro di parlare liberamente della compravendita di armi e di ingenti partite di cocaina. Le conversazioni di Cardamone e Nikolaos Liarakos (indagato) vengono impreziosite da fotografie «ritraenti l’oggetto degli affari illeciti»: stupefacenti, armi, il conteggio degli investimenti di denaro effettuati.
D’altro canto, Cardamone è soprannominato “il bello”, “il marine” e il “taccagno” tre nomignoli che mette in fila nelle foto che decide di scattare, chiedendo poi all’indagato greco di conservare tutto. I due – da quanto emerso dalle indagini – avrebbero intrattenuto rapporti con la consorteria degli Abbruzzese-Forastefano che «veniva rifornita di armi e sostanze stupefacenti».
Il dispositivo criptato dal quale sarebbero partite le conversazioni e il materiale fotografico è in uso a Cardamone. In una chat, quest’ultimo riferisce la sua disponibilità di armi illegali, anche da guerra.
E’ il 3 settembre 2020, quando Cardamone invia a Liarakos un’immagine raffigurante un revolver nichelato «verosimilmente di marca Smith & Wesson 629 Classic, calibro 44 magnum, con canna da 3 pollici», affermando di averlo preso in prestito da terza persona: «Stamattina sono andato da uno e mi ha prestato questo perché ho vergogna di essere poverino». In un’altra foto, sempre inviata da Cardamone al suo interlocutore, appare la medesima arma, corredata da 11 munizioni. Passano i mesi, il 28 gennaio 2021 è l’indagato di origini greche ad inviare a Cardamone una fotografia raffigurante un borsone con all’interno diverse tipologie di armi da fuoco (pistole, fucili).
Lo scambio di immagini e informazioni continua. Nel febbraio del 2021, Claudio Franco Cardamone chiede a Nikolaos Liarakos «di poter conservare alcune sue immagini, che aveva intenzione di eliminare dal proprio dispositivo captato». «Ascolta se ti mando delle foto me le conservi?…. Voglio cancellare tutto….». Questo continuo scambio di foto, selfie e immagini svela – secondo chi indaga – il carattere armato dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
Nel corso di tutta l’attività di indagine svolta dai magistrati della Dda, sarebbero emersi «chiari rapporti» tra i soggetti riconducibili all’associazione facente capo alle famiglie Abbruzzese-Forastefano e l’indagato greco Nikolaos Liarakos. Un patto siglato in nome della negoziazione e approvvigionamento di armi e munizioni. A fare da trait d’union, sarebbe stato Cardamone «in quanto forniva il supporto necessario per organizzare l’importazione e l’acquisto di sostanza stupefacente, in considerazione della sua comprovata affidabilità nel relazionarsi con i fornitori di stupefacente operanti, in Europa e con quelli di stanza in Sudamerica, nonché rappresentava il canale di congiunzione tra i fornitori di stupefacente e armi con gli altri membri dell’organizzazione». La figura di Cardamone è dunque centrale anche per lo scambio di informazioni riservate attraverso l’utilizzo, come cristallizzato dalle attività svolte dagli investigatori, di apparati telefonici captati idonei ad eludere le indagini.
(redazione@corrierecal.it)
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