LAMEZIA TERME «Forza Italia è stata importante, tra luci ed ombre del grande protagonista che è Silvio Berlusconi, ma certamente ha segnato la storia del nostro Paese». Dal consiglio comunale di Lamezia Terme al Parlamento, Ida D’Ippolito racconta il lungo viaggio politico al fianco di Silvio Berlusconi nel corso dell’ultima puntata de “L’altra Politica”, l’approfondimento settimanale condotto da Danilo Monteleone e Ugo Floro, andato in onda ieri sera sul canale 75 de L’altro Corriere tv. Al centro della puntata il rapporto tra l’ex storica parlamentare azzurra e il fondatore di Forza Italia, scomparso lo scorso 12 giugno. L’imprenditore che ha influenzato politica, economia, mondo della comunicazione e dell’editoria, scende in campo politico nel 1994 proponendo un progetto che lo porterà per quattro volte alla guida del Governo.
Il racconto di Ida D’Ippolito inizia dalla formazione del partito e dal modo in cui fu chiamata a prendere parte al progetto. «Fino ad allora – ha raccontato – i candidati venivano scelti dalle segreterie dei partiti. Forza Italia non esisteva, non era ancora un partito. Come siamo stati scelti? Berlusconi aveva le sue “spie” sul territorio. Aveva un’organizzazione di persone di qualità di cui lui si fidava che realizzavano sul territorio una sorta di indagine preventiva. Raccoglievano notizie, individuavano persone che nella città potevano rappresentare punti di riferimento per la qualità della professione e per la qualità della personalità. Persone che potevano rappresentare punti di riferimento nel territorio individuato. Io fui scelta con questo metodo: nell’autunno del ‘93 ricevetti la visita di Battista Caligiuri, uomo di fiducia del Cavaliere, per una mia candidatura al Parlamento».
Quando Berlusconi incontrò tutti i potenziali candidati da tutta Italia illustrò loro la volontà di mettere in piedi «un progetto che impedisse alla sinistra comunista di vincere. In Berlusconi – racconta l’ex parlamentare – c’era un tratto a me familiare, era il tratto dell’uomo concreto, dell’imprenditore che aveva chiare le idee e gli obiettivi che voleva raggiungere e sapeva come farlo. Mi ricordava mio padre. A quell’incontro – aggiunge – io intervenni per dire a Berlusconi che se voleva davvero vincere quella sfida che lui si poneva la prima questione era la questione meridionale, doveva partire dal Sud per risolvere i problemi del Paese. Lui fu molto attento a quel mio intervento e quando si concluse la serata, mi disse: “Io ho ascoltato con grande interesse il suo intervento, l’ho registrato, spero davvero di poterla rincontrare”». Inizia così lungo percorso caratterizzato dal sogno di cambiare l’Italia: «La vera magia di Berlusconi – racconta ancora D’Ippolito – fu rendere percepibile quel sogno e dare concretezza a quel sogno proprio attraverso la selezione di una classe che sarebbe diventata la classe dirigente del Paese tra le migliori intelligenze d’Italia. Era la chiamata alle armi degli uomini liberi e forti di memoria».
Il filo dei ricordi dell’ex parlamentare azzurra tocca anche passaggi “locali” della sua esperienza politica. Nel 1997 Silvio Berlusconi venne per la prima volta in Calabria. «E venne per me», dice D’Ippolito mescolando i propri ricordi con quelli dei cronisti Monteleone e Floro. «Sono qui per volere di Ida D’Ippolito – Floro ricorda ciò che il Cavaliere disse sul palco di un Teatro Grandinetti stracolmo – che è una gran rompic…». Una frase che dà anche il senso della vicinanza tra i due e dà l’opportunità all’ex parlamentare di ricordare il percorso di quella sua prima candidatura a sindaco di Lamezia Terme. «Quella mia candidatura nel ’97 fu voluta da lui, da Fini e da Casini. Non fu una trappola però fu una situazione da cui non mi potei sottrarre, al di là delle chiacchiere che poi girano nei corridoi», spiega D’Ippolito.
«Mi sono candidata a sindaco due volte – continua –, entrambe le volte su precisa richiesta e per un progetto politico alto e definito. Nel ’97 Doris Lo Moro, sindaco forte uscente, incuteva paura a tutti. Diciamo la verità: non si facevano le liste e Forza Italia era nel pieno di una crisi politica regionale gravissima. C’erano stati i famosi cinque, era l’epoca del ribaltone (quando l’allora presidente della giunta regionale Giuseppe Nisticò venne “rovesciato” e il governo passo a Gigi Meduri, ndr). Fummo convocati, noi parlamentari calabresi, a casa di Silvio Berlusconi ed era presente anche Gianni Letta, suo grande consigliori che è rimasto mio grande amico. In quella circostanza fummo chiamati a esprimere la nostra opinione: io dissi che non si potevano ignorare i ribelli, ma bisognava tener conto certo di quella dimensione politica e capire, andare fino in fondo senza fermarsi alle etichette di traditori. Fu un intervento politico lucido apprezzatissimo dal presidente e da Gianni Letta. Finisce la riunione e, quando eravamo sulla porta, Berlusconi mi dice “fermati, Ida, per favore”». A quel punto Casini, Fini e Berlusconi «mi dicono “noi riteniamo che tu debba candidarti a far il sindaco, è una sfida difficile, ma riteniamo che tu sia la persona giusta”. Una volta andati via Fini e Casini, Berlusconi mi chiede di fermarmi e mi porta nel salottino. Io gli dico “presidente, ma io perdo”. Lui mi risponde: “Anche se perdi, perdi per poco”. Questa fu la sua sentenza – dice D’Ippolito –. Però quella fu una battaglia esaltante, perché io accettai la sfida e fu l’esempio che permise a Berlusconi di candidare tanti sindaci in tutta Italia nelle persone dei parlamentari, perché all’epoca Forza Italia non ispirava fiducia a molti, quindi nessuno scendeva in campo così, ancora mancava la classe dirigente, quindi fu l’inizio di un percorso di crescita».
D’Ippolito a questo punto chiede di dire una «brutta cosa»: «Quella sconfitta fu bruciante per me, perché io feci una grande campagna elettorale e potevo vincere. Non si vinse per una scelta politica, perché su tutto il territorio nazionale, una forza politica che non nomino per rispetto decise che doveva dimostrare a Silvio Berlusconi l’importanza del suo contributo alla vittoria, quindi sottrasse di Forza Italia il sostegno e quindi io persi». Due volte sconfitta alle Comunali, Ida D’Ippolito, e sempre per via del “fuoco amico”: «Purtroppo capita, in politica spesso e volentieri le insidie maggiori vengono proprio da lì».
Il racconto di Ida D’Ippolito è appassionato, infervorato, a tratti comprensibilmente emozionato, ma è costantemente intriso di quel fattore umano «che da subito caratterizzò il mio rapporto con Silvio Berlusconi, che segue la parabola di Forza Italia». Dall’inizio un rapporto diretto, franco e immediato, fatto di confronto anche su questioni delicate e personali. «Non c’era questione il presidente non ascoltasse. Al primo incontro a Fiuggi – afferma D’Ippolito – mi parlò dell’interruzione del suo matrimonio con la prima moglie. Mi disse della sua tristezza, del suo rammarico da cattolico, di aver divorziato dalla moglie perché questa dimensione dei cattolici per lui era un dato politico importante e quindi si poneva la questione del giudizio morale». Quello tra D’Ippolito e Berlusconi fu un «rapporto franco, come la volta in cui, in una drammatica conversazione, ebbi a dirgli che avrei lasciato il partito perché l’ultima Forza Italia, quella del 2011, era ormai una cosa ben diversa dal progetto iniziale».
L’ex parlamentare fu oggetto di una grave intimidazione (un pacco bomba le venne recapitato nel marzo 2002, ndr) e visse sotto scorta per sette anni: «Io so perché nasce quell’attentato – racconta -. Avevo impedito un’occupazione massiccia nel partito di Forza Italia da parte di forze che non erano compatibili con la mia presenza nel partito. Avevo anche orientato alcuni processi di governo cittadino verso soluzioni di trasparenza e linearità che probabilmente creavano squilibri in ambienti che non conoscevo e non volevo conoscere. Forse una delle ragioni delle mie due sconfitte elettorali, che mi bruciano, sempre al Comune, perché mi hanno tolto la possibilità di fare tanto per questa città, sono legate anche a questa mia terzietà, a questa mia libertà, a questo mio modo di essere fuori da certi giochi e quindi di non essere “affidabile” in certi ambienti della politica» che D’Ippolito chiamava rapaci. «L’allora ministro dell’Interno Scajola mi fu molto vicino. Berlusconi seppe di questo evento dai giornali, perché io non ne feci pubblicità. Era in viaggio con Bonaiuti ed ero in viaggio per una missione parlamentare, un summit mondiale sullo sviluppo sostenibile a Johannesburg. Ci incontrammo per caso dopo la pubblicazione degli articoli in un albergo, lui mi volle parlare, volle sapere cosa pensavo e mi rimproverò perché non lo avevo avvertito. Poi, a fine conversazione mi volle accompagnare da solo all’uscita, mi mise la mano sulla spalla e mi chiese “cosa posso fare per te?”». «Forse qualcuno – dice con ironia D’Ippolito – avrebbe chiesto un bel posto di governo. Io dissi semplicemente “non mi lasciate sola”».
«La scelta più dolorosa fu quella compiuta nel dicembre 2011 di lasciare il gruppo di Forza Italia», afferma ancora l’ex parlamentare che aggiunge: «Dopo la perdita di Fini la scelta coerente di Berlusconi dovevano essere le dimissioni e il ritorno alle urne. Solo così poteva salvare il Paese da quella deriva economica in cui si era trascinato e in cui lo spread era altissimo». D’Ippolito racconta di un “cerchio magico” che gli avrebbe impedito di comunicare con il presidente.
«Il mio cuore è rimasto azzurro sempre, perché io ho creduto in Berlusconi, nella sua capacità di cambiare l’Italia. Ho avuto grande tristezza nel registrare, purtroppo da persona lucida e intelligente, le tappe di fallimento del progetto berlusconiano. Da una certa stagione in poi il presidente è diventato irraggiungibile. C’era uno schieramento che impediva a qualsiasi parlamentare che non fosse nel “cerchio magico” di avvicinarsi. Io volevo andare via perché c’era sul territorio un’operazione incompatibile con la storia del mio partito, con la mia storia personale, che c’era la necessità di difendere Forza Italia sul territorio da una situazione politica che vedeva protagonisti dominanti, altri partiti, altre forze politiche. Quindi metteva a rischio la sopravvivenza stessa di Forza Italia. Sapevo che lasciando Berlusconi, avrei appeso le scarpe al chiodo, infatti non è seguita alcuna altra mia candidatura. Mi iscrissi al gruppo Udc in Parlamento perché rappresentava quei valori antichi legati alle mie radici culturali. E soprattutto mi dava l’opportunità di uscire dall’equivoco del gruppo misto». E infine D’Ippolito parla di una lunghissima telefonata «in cui io gli spiegai quali erano le ragioni del mio allontanamento: Forza Italia non era più il mio partito. Il mio gesto fu un atto di lealtà nei suoi confronti, nei confronti della mia storia politica e di Forza Italia». «Dopo la sua morte – conclude l’ex parlamentare – ciò che Forza Italia è stato non potrà essere senza Berlusconi». (redazione@corrierecal.it)
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