La città del cantautore-avvocato più amato d’Italia ovvero Paolo Conte, ma anche la città di Vittorio Alfieri, del regista Pastrone, anche la città dei gelati Grom, frutto del genio dell’imprenditore che doveva prendere il posto di Berlusconi.
Un giornalista che la conosce bene ha scritto che è «il paradigma di una città molto tranquilla e prevedibile». Ma anche sul Monferrato la ‘ndrangheta ha lasciato lo zampino.
Un mese fa sulla Stampa spiccava il titolo: “L’ombra della ‘ndrangheta sui lavori in corso Casale”. L’imprenditore sospetto viene da fuori ma l’ombra è di casa. Sempre di recente Francesco Belfiore, 49 anni, esponente della storica famiglia di ‘ndrangheta torinese, quelli che hanno ammazzato il giudice Caccia, è stato arrestato a Frinco. In una tranquilla casetta, a due passi da Asti, per non dare troppo all’occhio aveva occultato un arsenale con tre pistole, due fucili con mirino di precisione, centinaia di munizioni. Tutto materiale detenuto illegalmente. Belfiore, titolare di un’impresa edile, viveva da alcuni anni nel piccolo comune monferrino.
Altro piccolo comune della zona dove il fenomeno è stato accertato è Costigliole d’Asti. Tanti calabresi arrivati negli anni Settanta per lavorare nelle serre. In larga parte brava gente, le mele marce non sono mancate.
Per capire è utile la storicizzazione del maggiore dei carabinieri Rapetto, che in quel piccolo borgo si è fatto le ossa da bravo investigatore.
«I primi segnali della possibile presenza della locale della ‘ndrangheta sono stati un’escalation di episodi violenti, dalle esplosioni ai colpi d’arma da fuoco agli stabili della azienda vitivinicole, manifestazioni tipiche che facevano capire che qualcuno volesse imporre il proprio controllo». Nella rete della Giustizia, ci è finito un ex consigliere comunale e commerciante ortofrutticolo, Mauro Giacosa, condannato in Appello per essersi rivolto per i suoi recuperi crediti a gente poco raccomandabile. Quando scattò il blitz il commento ai giornali locali era stato: «Una brava persona. Mi sembra impossibile». In aula dirà il commerciante: «È vero che accettai di affidare loro l’incarico, perché prima avevo tentato tutte le strade, compresa quella della giustizia civile, ma non ero venuto a capo di nulla, anzi ci avevo ancora rimesso dei soldi. Ma se avessi avuto sospetti sui modi con cui chiedevano il credito mi sarei tirato subito indietro. In mia presenza non ci sono mai state minacce o aggressioni fisiche». Aveva visto giusto invece il maggiore Repetto con i suoi uomini: «Io da cittadino che viveva e lavorava in quelle zone ho avvertito il clima cupo, di paura, l’atmosfera pesante. Per questi fatti abbiamo inoltrato una proposta di indagine alla Dia di Torino e in effetti abbiamo avuto ragione». Il questore di Asti, un genovese, Sebastiano Salvo, non ha remore «La ‘ndrangheta ad Asti non è una suggestione, è una presenza costante. Ci sono i riscontri processuali».
Da diversi atti emerge che questa ‘ndrangheta dell’astigiano non sarebbe stata riconosciuta dall’organizzazione calabrese. Non avevano quello che serviva, l’autorizzazione di un “capocrimine”, ha raccontato in Tribunale l’affiliato Salvatore Stambè. La locale “bastarda” non è stata bollinata da San Luca tantomeno altrove. Chissà? Ma sempre ‘ndrangheta era secondo i giudici che hanno messo in fila l’omicidio Di Gianni, l’aggressione al ladro di un camion dei Catarisano colpito a colpi sprangate, gli spari contro il Bar del Peso, quelli contro le auto di alcuni costigliolesi che non volevano “aiutare” il gruppo, le estorsioni ai danni di alcuni imprenditori che in seguito chiederanno di essere protetti e chiederanno “dispetti” a loro concorrenti dietro pagamento di compensi, le pressioni sul dipendente di un supermercato affinché si licenziasse e lasciasse il posto a uno del gruppo passando per gli incarichi di riscossione crediti accettati da alcuni imprenditori del posto che riconoscevano nel gruppo una alternativa più efficace di una normale causa di recupero. Nelle motivazioni del processo i giudici hanno scritto che la Locale bastarda costituisce «una propaggine (autonoma ma collegata) dell’associazione calabrese insediata in altro territorio e contraddistinta dalle stesse regole, dalla stessa organizzazione e dagli stessi codici comportamentali».
Certo gli ‘ndranghetisti di Asti e dintorni sono anomali. Figure di secondo piano che in Calabria hanno ruoli di manovalanza e che vanno ad assumere posizioni di criminalità acefale per comportamento.
Nel dicembre del 2014 ad Asti città normale e prevedibile accade l’imprevedibile. Manuele Bacco, 37 anni, cerca di difendere la moglie da due malviventi che vogliono rapinare la sua tabaccheria in corso Alba. Sparano e il tabaccaio finisce in una pozza di sangue ucciso.
Ha organizzato tutto Antonio Guastalegname, titolare di un’impresa di pulizie residente a Castello d’Annone e originario di Vibo Marina. Ha mandato allo sbaraglio un gruppo di giovanotti. Incastrati dalle prove schiaccianti sono condannati tutti a 30 anni. Antonio Guastalegname e il figlio Domenico sono dei collaboratori di giustizia. Hanno deposto anche al processo Rinascita Scott, anche se Domenico non vi risulta imputato a differenza del padre che è accusato di traffico di droga. Guastalegname senior è il cugino di Giuseppe Comito detto “U canna”, altra ugola aperta dei segreti dell’organizzazione. Anche per costui, la patente criminale sarebbe “bastarda” perché non affiliato, anche se in stretto contatto con i maggiori clan del Vibonese. A Vibo il tipo gestiva una ditta di pulizia intestata alla moglie e che vinceva appalti al Comune e al Porto. Finisce sotto usura e si trasferisce nell’Astigiano dedicandosi al traffico di cocaina e aprendo al Nord una nuova ditta delle pulizie a copertura.
A Rinascita Scott è emerso un verbale di Guastalegname junior che racconta un ammonimento del padre avvenuto in videochiamata con queste parole: «E ma tu devi dire solo la verità Domenico, non dire cose in più che mi rovini a me! Tu i cazzi miei non li sai». Domenico comunque nella sua esegesi ha spiegato così le parole del genitore ai magistrati: «Non riferire all’Autorità giudiziaria cose diverse o ulteriori rispetto alle mie effettive conoscenze perché altrimenti avrei compromesso non solo il mio percorso ma anche il suo».
Papà Antonio con le sue cantate ha anche svelato un sottobosco di ‘ndrangheta e i Drughi, ultrà della Juventus che ad Asti hanno una sezione consistente. Guastalegname frequenta non per tifo ma per “affari”. Biglietti delle partite da procurare a calabresi, traffico di droga per spaccio allo stadio con tanto di un incontro tra Asti e una cena in un ristorante di Zambrone. Gli arresti impediranno il reato. Storia di ultrà contemporanei in combutta con mafie e delinquenti. Anche un ultrà del Milan di Asti, chiamato “Il diavolo”, un imbianchino, in altro procedimento giudiziario era finito arrestato accusato di essersi messo insieme ad uno degli Stambè per effettuare un’estorsione a un ladro. Un disoccupato del paese che avrebbe rubato un mini escavatore e arredamenti a casa di un pensionato defunto. Più una trama da film di Totò che una storia di ‘ndrangheta. “Il diavolo” comunque è stato assolto.
Storie di provincia. Come quella virtuosa del Diavolo Rosso, locale di un’associazione nata in una chiesa sconsacrata e che nel nome celebra il ciclista locale Giovanni Gerbi e la canzone a lui dedicata da Paolo Conte. La frequentano attivisti locali legalitari e in buoni rapporti personali con i calabresi che hanno aperto l’associazione “La città del Sole” in onore di Tommaso Campanella. Ad Asti e provincia i calabresi di origine e nati in zona sommano 7000 persone. Vi trovi professionisti affermati, professori, gente che si è costruita una vita. Quelli della ‘ndrangheta “bastarda” alla fine sono quattro gatti che hanno turbato la tranquillità della città prevedibile. Canta Paolo Conte aedo di queste contrade: “Un giorno qualcuno mi ha fatto paura…”. Ma è solo il monologo di uno scapolo. (redazione@corrierecal.it)
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