COSENZA Il gup del tribunale di Cosenza, Claudia Pingitore, si è pronunciata sul fallimento della Banca Brutia di Cosenza. Secondo l’inchiesta della procura guidata da Mario Spagnuolo, gli imputati a vario titolo avrebbero partecipato «all’adozione delle delibere con cui il Consiglio d’amministrazione accordava sistematicamente la concessione di credito nei riguardi dei terzi, in assenza in capo a questi ultimi del merito creditizio, come risultante anche dalla stessa istruttoria interna alla Banca, dunque, in contrasto con gli interessi patrimoniali dell’istituto di credito, e omettendo, una volta elargito il credito, di porre in essere qualsiasi attività di gestione, monitoraggio e recupero della linea di credito deteriorata, dissipavano e, comunque, distraevano il patrimonio di Banca Brutia». Il gup ha disposto il rinvio a giudizio di: Coscarella Antonio (difeso dall’avvocato Giuseppe Manna), Fabiano Mario (difeso dall’avvocato Gianluca Acciardi), Bonofiglio Roberto (difeso dall’avvocato Angelo Nicotera), Coglitore Giovanni (difeso dall’avvocato Angelo Nicotera), Aiello Giuseppe Davide (difeso dall’avvocato Aurelio Sicilia), Stancato Katia Pia (difesa dagli avvocati Nicola Carratelli e Aurelio Sicilia), Mirabelli Giovanni (difeso dall’avvocata Ornella Nucci) e Guglielmi Nunzio (difeso dall’avvocato Angelo Pugliese).
Per quanto attiene la posizione degli indagati che hanno optato per il rito abbreviato, è stato dichiarato colpevole Cosentino Alfonso Maria, condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Assolti, invece, Intini Antonio (difeso dall’avvocato Nicola Carratelli) e Santo Luigi (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Romei) dal reato loro ascritto in rubrica, poiché «il fatto non costituisce reato».
Dichiarato non luogo a procedere, infine, nei confronti di Baldino Salvatore (difeso dall’avvocato Pasquale Vaccare e Roberto Chiodo), Barone Antonio (difeso dall’avvocato Martina De Giacomo), Grandinetti Filippo (difeso dall’avvocato Sergio Campanella) e Ventura Eustachio (difeso dall’avvocato Pasquale Vaccaro e Federico Jorio), «poiché il fatto non costituisce reato».
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