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Il sindaco di Campana lancia l’idea della fusione tra i Comuni della Sila Greca

La proposta di Chiarello a Bocchigliero, Pietrapaola, Mandatoriccio e Scala Coeli. «Unico modo per evitare l’estinzione dei centri»

Pubblicato il: 16/06/2023 – 18:42
Il sindaco di Campana lancia l’idea della fusione tra i Comuni della Sila Greca

CAMPANA «Carissimi, è arrivato il momento di porre alla vostra attenzione la necessità di ragionare sulla possibilità di creare una fusione tra comuni di questa area territoriale». È il sindaco di Campana, Agostino Chiarello, a lanciare l’idea di un’aggregazione tra i centri della Sila Greca nel Basso Jonio Cosentino. Lo fa in una lettera aperta che vi proponiamo di seguito.
«Ho sempre pensato che un buon amministratore dovesse ascoltare le esigenze della comunità che amministra e tentare di risolverle con pragmatismo ed impegno, ma è compito del bravo politico governare i processi innovativi per rendere più efficiente la macchina amministrativa da mettere a disposizione dell’amministratore locale, affinché possa rendergli più semplice la complicata attività che presta, soprattutto di questi tempi, duri e difficili sia per la contingenza economica sia per l’impoverimento sociale che colpisce i nostri territori e le nostre comunità.

SINDACO | Agostino Chiarello

Pertanto credo sia giunta l’ora che si ponga all’ordine del giorno della discussione politica del territorio la necessità di operare la fusione tra comuni: il mio personale ragionamento in tal senso ingloba la fascia dei comuni del lato destro del Nicà, partendo a monte da Bocchigliero e arrivando a valle a Pietrapaola, inserendo in tale contesto Campana, Mandatoriccio e Scala Coeli.
Dato essenziale da rispettare è il superamento della quota di almeno 5000 abitanti: i cinque comuni attualmente arriverebbero a poco più di 7500 abitanti, ma con gli indici di spopolamento che il territorio subisce il totale della popolazione dei cinque comuni potrebbe ridursi a molto meno, con una previsione nel breve periodo di 20 anni al limite dei 5000 abitanti complessivi.
Non comprendo nel ragionamento Cariati poiché sarebbe eccessivamente grande rispetto ai comuni coinvolti e rischierebbe di fagocitare gli altri che, essendo mediamente di pari grandezza, non subirebbero conseguenze di egemonia di un paese rispetto all’altro, né Terravecchia storicamente e territorialmente attiguo a Cariati.
Sarebbe importante, a mio avviso, partire da Bocchigliero perché garantisce lo sbocco sul Parco Nazionale della Sila, fino ad estendersi alla zona costiera di Pietrapaola e di Mandatoriccio che dovrebbero essere il traino economico per tutto il territorio, soprattutto in ottica di sviluppo territoriale condiviso.
Analogamente credo opportuno che lo stesso tipo di ragionamento coinvolga i comuni afferenti al Trionto per affinità territoriali, per poi ragionare in un futuro un po’ più a lungo termine di un unico comune del Basso Jonio Cosentino e della Sila Greca che comprenda tutti i 14 comuni dell’area, compresi Crosia e Cariati che per dimensioni sono molto più grandi rispetto agli altri: ma questo è un passo successivo ed uno step di crescita a lunga scadenza.
Perché puntare alla fusione dei comuni?
Credo sia inderogabile porsi la domanda sia su come risolvere i problemi impellenti del territorio, che ne devastano il vivere quotidiano, sia su come porre rimedio alla debolezza contrattuale che i piccoli comuni hanno nelle dinamiche politiche che determinano le decisioni sugli indirizzi di sviluppo che vengono decise per macro aree: attualmente questo territorio non ha voce, sia per la propria incapacità di eleggere rappresentanti istituzionali del luogo, sia per le dimensioni considerate minime rispetto ad un qualsiasi quartiere dei centri urbani di grosse dimensioni.
Il fenomeno dello spopolamento produce una mancanza di introiti nelle casse comunali e la naturale conseguenza è la riduzione dei servizi essenziali di competenza comunale, con aggravio dei costi sull’utenza: praticamente, al diminuire della popolazione si riducono gli introiti derivanti dalla tassazione comunale, aumentando i costi per il singolo cittadino con un servizio nettamente peggiore.
Ad esso bisogna aggiungere la riduzione dei trasferimenti statali ai comuni; nel corso degli ultimi vent’anni anni si è verificato una riduzione dei trasferimenti statali di oltre il 50%, con il fondo di solidarietà comunale che si va sempre più assottigliando, fino al punto che allo stato attuale diventa una voce infinitesima rispetto a quanto richiesto per mantenere in ordine il bilancio comunale: ciò comporta la difficoltà a mantenere i conti pubblici in regola, tanto che è sempre più diffuso il fenomeno del dissesto finanziario nei comuni, con conseguente innalzamento del carico fiscale gravante sul cittadino e impossibilità da parte delle amministrazioni a garantire i servizi essenziali, con relativo aumento dei costi nonostante la riduzione del servizio.
Infine, altro aspetto molto preoccupante e che verosimilmente potrebbe causare la definitiva estinzione dei piccoli comuni, soprattutto quelli delle aree interne, è l’approvazione della proposta di legge Calderoli sull’autonomia differenziata: dalle analisi macroeconomiche in possesso attualmente, se dovesse essere approvata questa proposta di legge, gli attuali trasferimenti statali si ridurrebbero ulteriormente tanto che diventerebbe difficile anche garantire gli stipendi ai dipendenti attualmente contrattualizzati, per non parlare della impossibilità oggettiva a garantire quantomeno l’ordinaria amministrazione.
L’unica soluzione attualmente in atto affinché aumentino i trasferimenti statali, garantendo per i prossimi dieci anni introiti e benefici superiori alla media della spesa storica degli ultimi dieci anni è la fusione dei comuni, superando quantomeno la soglia minima dei 5000 abitanti.
Naturalmente sono consapevole che ci siano grosse perplessità ad attuare questo cambio di visione prospettica, sia per la conclamata incapacità da parte di ognuno di noi di abbandonare il proprio campanile, sia per la paura di perdere la propria identità di ciascuna comunità, sia per l’oggettiva lontananza territoriale tra i centri urbani individuati, sia per la difficoltà gestionale che potrebbe derivare: sono tutte considerazioni ragionevoli da prendere in considerazione, ma non possono a mio avviso derogare a quanto questo territorio sta subendo e a quanto subirà negli anni futuri, soprattutto se le politiche di indirizzo generale resteranno quelle di abbandonare l’attenzione sulle aree interne a favore della urbanizzazione selvaggia nei grandi centri urbani.
La necessità di operare una nuova gestione politica amministrativa sul territorio deve tuttavia tutelare i borghi esistenti: per tale motivo è necessario mantenere i municipi attuali per ciascun comune, ruotando le sedi dei consigli comunali calendarizzandoli una volta per ogni sede a rotazione periodica e facendo in modo che il Sindaco sia presente una volta a settimana in ciascun comune, essendo cinque giorni lavorativi per cinque paesi, a meno di esigenze particolari una tantum: analogamente, si dovrebbe realizzare l’unione dei servizi essenziali (gestione del servizio di nettezza urbana, gestione idrica e fognaria, depurazione, illuminazione pubblica, polizia municipale, segreteria), con la realizzazione di uffici di piano in cui si dettano le linee programmatiche in una unica sede istituzionale e demandare l’esecuzione agli uffici territoriali, con personale di istruttore cat. C; ciò comporterebbe una riduzione della spesa del personale per quanto riguarda le posizioni organizzative di categoria D, oltre alla riduzione di spesa da parte dei comuni sul capitolo relativo alle indennità degli amministratori.
Pertanto, concludo con la speranza che queste mie considerazioni avviino quantomeno una discussione tra le comunità affinché si possa ragionare insieme sulle possibilità di trovare soluzioni a stretto giro per un territorio che sta indirizzandosi verso uno spopolamento traumatico che non è solo dei centri montani ma che è complessivo e si trovino le soluzioni quanto più condivise possibili.
Sarebbe auspicabile costituire comitati cittadini in ciascuna comunità affinché la discussione parta dalla società civile, anche perché il processo deve essere governato e non subito: stante le ultime determinazioni da parte del consiglio regionale sulla fusione dei comuni dell’area urbana cosentina, sembrerebbe che l’indirizzo intrapreso sia quello decisionale proveniente dall’alto, senza condivisione ma per imposizione, e noi come cittadini attivi quantomeno dobbiamo farci trovare preparati e non far decidere il nostro futuro ad altri che questo territorio neanche lo conoscono, se non come catino elettorale a cui attingere alla bisogna con false promesse clientelari che alla fine accontenta, a volte, l’individuo a discapito della crescita dell’intera collettività».

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