ROMA «Oltre la metà dei nostri fondi è federale. Il resto proviene da aziende private. Il grado di libertà, negli Stati Uniti, è lo stesso. Non dipende dalla fonte del denaro con cui fai ricerca. La differenza è che, nel caso dei progetti alimentati dai budget federali, devi competere con altri centri. Il rapporto con i gruppi privati può, invece, essere più diretto. Ma le metodologie di lavoro, le procedure e le rendicontazioni sono le medesime». Sandra Misale – classe 1985, un compagno di nome Maurizio e un bambino di due anni e mezzo – ha appena ricevuto l’incarico di fondare il Misale Lab, il suo laboratorio alla Johns Hopkins University di Baltimora.
Sandra – si legge sull’edizione di ieri del Sole 24 Ore – ha la felice eccitazione di chi sa di essere a un punto di svolta: «Mi fa abbastanza impressione pensare che il dipartimento di oncologia di uno dei maggiori ospedali americani mi abbia dato questo compito e che, come capita negli Stati Uniti, il nome del laboratorio coincida con il cognome del fondatore», sorride non senza una punta di umana preoccupazione per la responsabilità che la attende.
Sandra opera su una delle frontiere della scienza e della medicina contemporanee: non considera il singolo tumore, ma studia la lesione genetica del paziente, analizza la biologia della mutazione, lavora sul mix di farmaci selezionati. «La mia famiglia è di Palmi, una città di quindicimila abitanti vicino a Gioia Tauro. Mio padre Michele era geometra all’ufficio tecnico comunale. Mia madre Grazia è casalinga. A Palmi mi sono diplomata al liceo linguistico. Era una scuola sperimentale. Studiavamo tedesco, francese e inglese e, in più, le materie scientifiche con i programmi del liceo scientifico. Mi sono sempre sentita attratta dal fare tante cose diverse: per questo scelsi il linguistico e non il classico o lo scientifico. La mia famiglia ha propaggini in Piemonte. In molti, dalla Calabria, sono emigrati qui nel Secondo dopoguerra. I miei parenti si sono stabilità a Chivasso per lavorare alla Fiat e alla Lancia. Dopo le superiori, per me e le mie sorelle, è stato naturale venire qui».
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