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Marco Abbruzzese «tra i vertici della confederazione di ‘Ndrangheta a Cosenza». Ecco perché passa al carcere duro

Il provvedimento del ministero della Giustizia che dispone il 41bis per “lo Struzzo”. «Potrebbe veicolare ordini e messaggi all’esterno»

Pubblicato il: 21/06/2023 – 12:00
Marco Abbruzzese «tra i vertici della confederazione di ‘Ndrangheta a Cosenza». Ecco perché passa al carcere duro

COSENZA Marco Abbruzzese, «in ragione della sua concreta pericolosità», sarebbe «in grado di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenza». Il provvedimento che dispone l’applicazione del regime di carcere duro per quello che i magistrati della Dda considerano uno dei membri di spicco della ‘ndrangheta confederata di Cosenza affonda le proprie radici nell’inchiesta Reset. Il decreto del ministro della Giustizia stabilisce che «in ragione della particolare posizione di responsabilità rivestita dal detenuto nell’ambito dell’organizzazione di appartenenza e del credito dallo stesso posseduto, può considerarsi tuttora sussistente il legame con la medesima e il ruolo rivestito all’interno di questa». L’associazione criminale, peraltro, «è tuttora operante sul territorio e dedita alla commissione di gravi delitti che pregiudicano l’ordine e la sicurezza pubblica». 

Il ruolo di Abbruzzese nella confederazione di ‘Ndrangheta

Il senso del provvedimento è quello di spiegare i «rischi cui la collettività rimane esposta in relazione alla capacità di collegamento del detenuto con l’ambiente esterno». In questo senso si premette che le indagini avrebbero «dimostrato, a livello di gravità indiziaria confermata in ogni grado della fase cautelare, che Marco Abbruzzese – difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Cesare Badolato, entrambi del foro di Cosenza – è a ad oggi soggetto di primissimo piano e grande spessore criminale» nell’«ampia associazione di ‘Ndrangheta operante, a far data dal 2012 e fino all’attualità, nella città di Cosenza e nel suo immediato hinterland, nella forma di una vasta confederazione tra gruppi». Il ragionamento tocca, poi, le accuse alla ‘Ndrangheta confederata contenute nell’inchiesta Reset. E individua Marco Abbruzzese “lo Struzzo” come «organizzatore e promotore dell’associazione, in strettissima collaborazione con il fratello e capo Luigi Abbruzzese con il quale condivide e pianifica le strategie criminali e ponendosi, rispetto allo stesso fratello, quale componente più violenta del gruppo, quindi ricorrendo sovente ad azioni aggressive e punitive e all’utilizzo di armi da fuoco». Nell’elenco presentato dal decreto compaiono anche il boss Francesco Patitucci, Mario Piromallo, Adolfo D’Ambrosio, Michele Di Puppo, Antonio Presta, Luigi Abbruzzese “Pikachu” e Antonio Abbruzzese, considerati a vario titolo come facenti parte di una confederazione attiva nell’hinterland della Città dei Bruzi e capace, secondo l’accusa, di monopolizzare il traffico di stupefacenti e, anche, di condizionare l’esito elettorale nel Comune di Rende. 

«Potrebbe veicolare ordini all’esterno»

Con riferimento specifico a Marco Abbruzzese, il provvedimento lo segnala «tra i più alti vertici criminali di tutta la confederazione di ‘Ndrangheta; in specie a capo del gruppo dei cosiddetti Banana». Alle «emergenze indiziarie» di Reset «si aggiungono poi ulteriori vicende processuali in corso di giudizio (in parte in primo grado, in altra parte in secondo grado) che si innestano sulle attività di indagine condotte sempre dalla Dda di Catanzaro (…) e nel quale all’Abruzzese sono contestati plurimi fatti di reato in materia di armi, droga, estorsioni, nonché di omicidio, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose, che evidenziano la forte operatività e diffusa azione crimine del detenuto nel medesimo contesto di ‘Ndrangheta oggi in contestazione nel procedimento penale Reset». Il quadro sarebbe «concretamente espressivo della attuale e persistente capacità di collegamento del detenuto con l’associazione criminale organizzata da lui diretta». Dunque «l’ordinario stato di detenzione cautelare» non sarebbe «di per sé sufficiente a contenere l’accesso da parte del detenuto a una rete di relazioni che gli consenta di veicolare ordini e messaggi all’esterno, quindi continuare a promuovere e dirigere l’associazione di ‘Ndrangheta». (redazione@corrierecal.it)

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