LAMEZIA TERME «Oggi non si può fare a meno delle intercettazioni». Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, ospite a Lamezia Terme del Festival “Trame”, non si sottrae all’argomento del momento. Parla schietto, fa esempi concreti. «Se un capo mafia dà appuntamento al geometra del paese al bar, questo dato è importante per me», spiega. Un dato importante nella consapevolezza che un capo mafia non impartisce mai ordini per telefono. Un dato importante per chi il magistrato lo fa dal 1987. Gratteri ricorda quando sono cominciate le prime intercettazioni moderne, sperimentate a Reggio Calabria «in un seminterrato con le blatte». Quella sala crebbe a poco a poco fino ad arrivare alla portata di 5000 intercettazioni. Oggi si baccaglia sui costi. «Non è vero che costano troppo», ribatte Gratteri. Il costo annuale è di 170 milioni di euro ma «sono noccioline» se si pensa al denaro che si recupera con il sequestro di denaro e di beni.
Altro discorso è la “pubblicità” che si fa delle intercettazioni. «Di questo ne possiamo discutere», dice. Così come è giusto rispettare la vita intima delle persone che nulla ha a che vedere con le indagini.
Quello che preoccupa il procuratore è «il non detto», perché ci sono molte rassicurazioni sul fatto che le intercettazioni verranno garantite nelle indagini su mafia e terrorismo, «ma nessuno sta dicendo cosa ne sarà dei reati che riguardano la pubblica amministrazione». Quei reati che stanno sulla soglia che divide (o unisce, a seconda delle prospettive) certi rappresentati delle istituzioni con certa criminalità organizzata.
«Le manca la libertà?». Nel corso dell’intervista il giornalista Arcangelo Badolati introduce l’argomento – tratto dal libro di Gratteri e Antonio Nicaso “Fuori dai confini” – sulla morte di Marcelo Pecci, 45 anni magistrato paraguayano di origini lucane. Indagava sui narcos e aveva condotto un’inchiesta che ha colpito le mafie della potente “Tripla Frontiera” (Paraguay, Argentina e Brasile). Girava con la scorta Pecci ma in luna di miele in Colombia aveva deciso di restare libero. Uno spicchio di libertà che gli è costato la vita.
«Le manca la libertà?», chiede il giornalista a Nicola Gratteri che vive con una scorta di primo livello. Il procuratore nicchia, scherza, poi, come fa ogni volta che deve trattenere un’emozione che non vuole mostrare in pubblico, stringe i denti e guarda in alto. Si concentra, torna freddo. «La libertà manca ma ti fai coraggio se pensi che quello che stai facendo serve». Poi ci scherza quasi su: «Per alcuni sono un’ossessione, vanno in altri Stati per stringere alleanze e cercare strategie. Non bisogna distrarsi ma stare attenti e andare avanti». C’è altro, però, che mina la vita del magistrato, soprattutto quando le sue inchieste toccano i poteri forti. Sono i tentativi di screditarne il lavoro da parte di «notizie diffamatorie». Non è solo certa stampa a diffondere puntualmente queste notizie ma anche, racconta Gratteri, ex rappresentati delle istituzioni che si celano dietro profili Facebook, che lasciano commenti tossici e ricevono «1500 mi piace da parte di parenti di imputati al 41 bis».
«Non hanno capito che a Catanzaro c’è una magistratura attrezzata – dice Gratteri – capace di reggere processi imponenti». Rinascita Scott, con i suoi 338 imputati in ordinario e 79 in appello è solo uno dei maxi processi che i pm di Catanzaro stanno portando avanti. C’è anche “Reset”, ricorda Gratteri, che si trova in fase preliminare con 245 imputati.
E, tornando all’appello di Rinascita, il procuratore tuona contro il recente comportamento dei difensori che non si presentano in aula nonostante il calendario sia stato reso noto il 12 luglio. Oggi l’udienza ha rischiato di saltare. Ieri s’è aspettato per un’ora che arrivasse un difensore d’ufficio. «E il Corriere della Calabria è stato l’unico giornale che ne ha parlato».
«A Lamezia c’era una ‘ndrangheta di serie A collegata col Crimine di San Luca. Una ’ndrangheta che ha trattato alla pari con le cosche di Cutro».
«Oggi – dice Gratteri – a Lamezia non c’è la ‘ndrangheta onnipotente che c’era prima».
Quando la ‘ndrangheta a Lamezia era potente non sono mancati omicidi efferati ed eccellenti come quello dei due innocenti netturbini Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte. Era maggio 1991. Il procuratore ha letto le carte. Spiega che venne fatto uno stub «senza avviso al difensore» che risultò positivo. Un errore procedurale gravissimo. «Cosa volete da me nel 2023?»
Anche in seguito al delitto Aversa vennero commessi diversi errori «perché non c’era la forza e la compattezza di polizia giudizia e magistratura che c’è adesso».
Nicola Gratteri ha studiato anche il caso dell’omicidio di Francesco Ferlaino, avvocato generale alla Corte d’Appello di Catanzaro. Ne ha analizzato il caso, avvenuto 48 anni fa, anche per i libri scritti col professore Nicaso. Il 3 luglio 1975, all’ora di pranzo, Ferlaino stava rientrando a casa, su corso Nicotera a Lamezia Terme quando è stato raggiunto alle spalle da due scariche di pallettoni esplosi dal marciapiedi opposto, dove si era fermata l’auto degli assassini. I pentiti raccontano che «Ferlaino era massone e non voleva che nella massoneria entrasse la ‘ndrangheta».
Erano gli anni 70 e la ‘ndrangheta stava facendo il salto di qualità, con la dote della Santa, di insinuarsi nelle logge massoniche coperte.
In quello stesso periodo – ammette il magistrato – giornalisti, scrittori, giudici, consideravano ancora la ‘ndrangheta come una mafia di pastori con la coppola e la lupara. «Si è arrivati con 40 anni di ritardo, con la sentenza Crimine-Infinito a parlare di unitarietà della ‘ndrangheta», ha detto Gratteri.
«Io devo parlare di 100 omicidi». Così esordisce il boss Nicolino Grande Aracri quando, finalmente riesce a parlare con il procuratore Gratteri.
L’incontro si era fatto attendere. Nicolino Grande Aracri, aveva scritto già tre lettere a Gratteri. Ma il capo della Dda di Catanzaro aveva aspettato pazientemente e, una volta incontrato il super boss gli aveva consigliato di «dirla tutta la messa». A sondare quella promessa di rivelazione di 100 omicidi c’erano i sostituti procuratori Domenico Guarascio e Paolo Sirleo. Il rapporto che i due pm fanno al capo, però, non è positivo: Grande Aracri non appariva sincero. In quel periodo c’erano 12 distretti di Dda pronti a interrogarlo. Nicola Gratteri, allora, torna nel carcere di Rebibbia, dove nel frattempo era stato trasferito Grande Aracri. Parlano. Le intuizioni dei pm Sirleo e Guarascio si rivelano esatte anche agli occhi di Gratteri. Grande Aracri cade in contraddizione più volte, cerca di riscattare la posizione di due killer «suoi pupilli» condannati in via definitiva. Davanti a un pubblico lametino silenzioso e attento, Nicola Gratteri conclude il racconto sul (finto) pentimento di Nicolino Grande Aracri: «Alla fine gli dissi: “Noi non ci vedremo più, lei non andrà al programma di protezione e tornerà al 41 bis”». (redazione@corrierecal.it)
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