REGGIO CALABRIA Nell’ospedale pubblico di Reggio Calabria, noto come Gom (Grande ospedale metropolitano, nda) il robot si usa da tempo in ambito chirurgico. Tuttavia, la notizia non è affatto diffusa, neppure in politica. Della strada della chirurgia robotica in Calabria parliamo, oggi, con Salvatore Costarella, direttore sanitario del Gom e primario della Chirurgia generale dello stesso presidio ospedaliero.
Dottore Costarella, quando è partita la chirurgia robotica da voi e quali sono i relativi dati?
«Nell’ospedale pubblico di Reggio Calabria l’esperienza della chirurgia robotica è partita cinque anni fa. Utilizziamo il robot in chirurgia urologica e in chirurgia generale. Le anticipo che siamo pronti ad iniziare l’attività anche in ambito ginecologico. Quest’anno abbiamo chiuso con 220 procedure robotiche, sia di chirurgia urologica che di chirurgia generale. In urologia il robot si usa per intervenire sui tumori della prostata e sugli altri più diffusi. Come chirurgia generale, noi con il robot facciamo tutta la chirurgia oncologica addominale, i tumori del colon, dello stomaco, del pancreas e del fegato. In sostanza facciamo un po’ tutto e prevalentemente la chirurgia colon-rettale».
Dottore, qual è il vantaggio dell’utilizzo del robot?
«Il vantaggio dell’utilizzo del robot è intanto una maggiore precisione del gesto chirurgico. Infatti, nello specifico noi lavoriamo su un campo tridimensionale. Ancora, il gesto chirurgico è privo di tremore, poiché esso viene annullato dalla macchina. Tra l’altro, abbiamo una magnificazione delle strutture anatomiche con un ingrandimento di oltre tre, quattro volte, che ci consente di identificare meglio nervi e vasi. Di conseguenza, ad una maggiore precisione del gesto chirurgico corrisponde una più rapida ripresa del paziente nel postoperatorio, più veloce anche rispetto alla laparoscopia. Ciò perché con il robot lavoriamo con pressioni più basse a livello addominale e con un minore riassorbimento dell’anidride carbonica. Pertanto, il paziente ha un beneficio pure rispetto alla laparoscopia, che da noi viene eseguita anche, soprattutto, per quanto riguarda il trattamento delle urgenze. Inoltre, abbiamo la possibilità di fare una chirurgia guidata dalla somministrazione di mezzi fluorescenti come l’indocianina, che ci aiuta quando dobbiamo portare via i linfonodi, che sono tributari di quel territorio in cui si trova il tumore, e in ogni caso ci dà anche maggiore garanzia sulla tenuta alle suture, poiché ci consente un controllo della vascolarizzazione dei monconi. Quindi, l’altro aspetto fondamentale è che il robot ci consente di lavorare in spazi molto piccoli, cosa che con la laparoscopia viene un po’ più complicata».
A voi medici che cosa hanno detto i pazienti operati con l’ausilio del robot?
«L’immagine migliore è quella di entrare in reparto la sera, per le visite, e vedere i pazienti operati al mattino già in piedi, praticamente con un minimo dolore postoperatorio. Anche la chirurgia laparoscopica offre questo vantaggio, ma la robotica ancora di più».
Quindi, dottore, nel Gom saranno stati eseguiti circa mille interventi di chirurgia robotica?
«Pressappoco sì. Le aggiungo che da noi gli interventi con il robot sono in crescita esponenziale. Tenga conto che noi abbiamo anche fatto dei trapianti renali, da donatore vivente, con il prelievo del rene mediante tecnica robotica. In particolare, ne abbiamo già fatti quattro nel corso dell’anno corrente e contiamo di farne altri. L’altra grande applicazione della chirurgia robotica, che sta prendendo sempre più piede a livello mondiale e che noi già facciamo, è la chirurgia cosiddetta di parete, cioè la chirurgia delle ernie addominali, che, come pure nel nostro ospedale, si fa anche con la chirurgia tradizionale e con la chirurgia laparoscopica».
L’unico problema della chirurgia robotica è allora quello della formazione degli operatori?
«Assolutamente sì. La chirurgia robotica necessita di un periodo di apprendimento particolare, perché cambia la mentalità del chirurgo che approccia con il robot, in quanto cambia il suo livello di sensibilità. Il chirurgo generale deve passare da una sensibilità manuale ad una sensazione visiva. In pratica, egli deve sviluppare una sorta di senso tattile visivo. I nostri operatori sono tutti formati e certificati. Il robot è uno strumento, non è un’apparecchiatura autonoma. Ed è uno strumento in mano al chirurgo, che deve anche avere una formazione adeguata per capire dove può andare con il robot».
Con quale piattaforma lavorate?
«Noi abbiamo la piattaforma che in questo momento è la più evoluta, cioè il robot Da Vinci Xi. È l’ultimo modello disponibile, che praticamente ci consente di fare una chirurgia cosiddetta multiquadrante. I vecchi modelli consentivano di fare una chirurgia più focalizzata su un quadrante addominale e avevano un utilizzo urologico su campi operatori fissi. L’apparecchio che noi utilizziamo è invece di ultima generazione, sicché ci consente una chirurgia viscerale, che è quella che facciamo noi. È una macchina con notevoli applicazioni. Il robot è comunque una piattaforma in continua evoluzione. All’orizzonte vi sono anche altri modelli, commercializzati in America ma non ancora in Italia, che consentono di fare la chirurgia con un singolo accesso. Ci stiamo già preparando per l’utilizzo di questo tipo di macchina. Così, appena arriverà in Italia, noi saremo pronti ad usarla».
Che cosa spinse il Gom a dotarsi del robot Da Vinci?
«La medicina e la chirurgia in particolare sono in continua evoluzione. Da anni si registra un livello straordinario di innovazione tecnologica, per cui un Hub come il nostro non poteva restare fuori dalla chirurgia robotica. Questa tecnologia era ben consolidata e in espansione, per cui a Reggio non avemmo dubbi. In Italia, l’unica scuola robotica del sistema era quella di Grosseto, diretta dal professor Pier Cristoforo Giulianotti, che adesso dirige un centro, in America, fra i più grossi a livello mondiale. Io iniziai proprio lì a Grosseto, più di dieci anni fa e con i vecchi modelli di robot che nulla hanno a che vedere con quest’ultimo che usiamo al Gom, che è veramente un balzo tecnologico in avanti».
Dottore, quando usa il robot lei ha a che fare con un joystick. Che differenza avverte rispetto al bisturi?
«Io ho avuto la fortuna di operare con tutte le metodiche. Nato come chirurgo tradizionale quando non esisteva neanche la chirurgia laparoscopica, ho fatto una chirurgia open, anche in urgenza. Poi ho visto nascere la chirurgia laparoscopica e infine ho visto la chirurgia robotica. Applico tutte e tre le metodiche, ma le devo dire una cosa che sembra strana. Per un chirurgo è molto più faticoso operare con il robot che non in maniera tradizionale. Con il robot aumenta, infatti, il livello di concentrazione e la sensazione è di maggiore padronanza del gesto chirurgico. La più grande soddisfazione, poi, come dicevo prima, è vedere il paziente in piedi la sera stessa dopo la mattina dell’intervento e, a distanza di un mese, osservare l’assenza di cicatrici. Mi creda, non è un dettaglio di poco conto».
Da cinque anni il robot è in uso al Gom di Reggio Calabria e da poco anche nell’ospedale pubblico di Cosenza. Non c’è altrove, in Calabria?
«Ce l’abbiamo noi e Cosenza, in questo momento. Tenga conto che le piattaforme di chirurgia robotica sono diverse. Non esiste solo il Da Vinci, sono uscite anche altre piattaforme robotiche. Io immagino che in un futuro prossimo gli ospedali che faranno un determinato tipo di chirurgia avranno tutti un robot, perché non si può prescindere da questa tecnologia. Il paziente deve avere la possibilità di essere curato al meglio, con la minore invasività possibile e con un miglior comfort, anche operatorio. Infatti, al di là della guarigione, che rimane il principio assoluto di ogni atto terapeutico e in particolare chirurgico, va anche considerato il comfort del paziente e bisogna tenere conto della sofferenza che può causare un gesto chirurgico. In ogni caso, la chirurgia resta sempre una, nel senso che un chirurgo deve sapere affrontare una problematica chirurgica con tutte le metodiche a disposizione; quindi, parlo della chirurgia tradizionale, della chirurgia laparoscopica, che ha una sua validità di impiego, e della chirurgia robotica».
Lei immagina che in futuro non ci sia più bisogno dell’operatore in ambito chirurgico, magari quando saranno elevati gli standard dell’intelligenza artificiale?
«Non si possono fare delle previsioni, ma dovremmo aspettarci un po’ di tutto. L’intelligenza artificiale in questo momento può aiutare, come già accade anche con il nostro robot. Noi possiamo importare delle immagini dentro il campo operatorio e guardarle mentre operiamo. È chiaro che l’intelligenza artificiale avrà un ruolo fondamentale, per quanto riguarda la chirurgia. Tutto ciò che può aiutare il paziente va preso in considerazione senza pregiudizi e l’essere umano deve essere comunque in grado di compiere delle scelte e di governare delle decisioni». Certo. Però qui il problema si sposterebbe nel campo dell’etica, che non è l’oggetto dell’intervista. Grazie, direttore Costarella. (redazione@corrierecal.it)
x
x