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l’intervista

La ‘ndrangheta internazionale e l’utopia calabrese. John Dickie: «Batterla per affrontare le altre emergenze»

A Trame il docente dell’University College di Londra. «In Canada e in Australia è cresciuta molto la consapevolezza»

Pubblicato il: 24/06/2023 – 7:01
di Giorgio Curcio
La ‘ndrangheta internazionale e l’utopia calabrese. John Dickie: «Batterla per affrontare le altre emergenze»

LAMEZIA TERME È uno dei massimi esperti di criminalità organizzata, della sua evoluzione e della sua espansione a livello internazionale. Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta e massoneria. Temi affrontati peraltro nei suoi numerosi libri. Per queste ragioni la presenza, a Lamezia Terme, di John Dickie, ha un valore tanto simbolico quanto sostanziale e di prestigio nel corso dell’edizione 12 di Trame Festival. Il docente dell’University College di Londra, infatti, questa sera ha dialogato con Diana Ligorio a proposito dell’ultimo libro “Occhi di lupo, cuore di cane. La vita invisibile di un agente della Dia”. Ed è proprio a margine della presentazione del libro che cogliamo l’occasione per fare una chiacchierata con Dickie, affrontando gli aspetti differenti che caratterizzano la criminalità organizzata calabrese, a cominciare dalla sua internazionalizzazione e dell’allargamento dei confini oltre la Calabria, l’Italia e l’Europa, come le ultime operazioni dimostrano.

L’internazionalizzazione della ‘ndrangheta

In questo quadro, però, Dickie ci spiega che l’internazionalizzazione dell’ndrangheta non è proprio un fatto nuovo, e fa un paragone con cosa nostra e il primo vero omicidio di mafia avvenuto a New York nella metà degli anni ‘80 dell’800. «Quindi, come ha dimostrato lo storico Salvatore Lupo, la storia della mafia è la storia di un’organizzazione nata con una dimensione internazionale. E la ‘ndrangheta lo è diventata nel corso degli anni. Pensiamo, per esempio, alla vicenda del fratello del brigante Musolino, un affiliato della ‘ndrangheta, questo lo sappiamo con certezza, poi va in America, fa il mafioso anche negli Stati Uniti, torna, diventa tra l’altro un informatore della polizia, per questo sappiamo molte cose dell’ndrangheta dell’epoca. La ‘ndrangheta, quando ancora non si chiamava così, era già internazionale». «In Australia, per esempio, la ‘ndrangheta arriva negli anni ’30 del ‘900 e lì in quel periodo ci sono i primissimi omicidi. Quindi possiamo definire la dimensione della ‘ndrangheta nel nord Italia, nel nord Europa, mentre l’espansione internazionale della ‘ndrangheta è un fatto relativamente nuovo».

I clan tra i caporali del boom economico

E in questo caso il riferimento del docente dell’University College di Londra è al boom economico italiano. «In quel periodo di grandi migrazioni verso il nord Italia, tra gli anni ’50 e ’60, c’erano già gli ‘ndranghetisti che facevano i caporali fra i raccoglitori di verdure e di fiori, per fare un esempio. E non è un caso se Bardonecchia, in Piemonte, diventa il primo comune commissariato per mafia già negli anni ‘80». «Evidentemente la particolarità della ‘ndrangheta – ha spiegato Dickie – è la capacità di creare cloni di sé stessa, cioè in diversi centri ha un’organizzazione che è un misto tra il modello para massonico di organizzazione, quello di fratellanza con i giuramenti e le cellule locali, e anche i legami di famiglia, di sangue, che permettono alla ‘ndrangheta essere inerentemente un’organizzazione criminale capace di espandersi, di creare legami con altri territori».

La consapevolezza all’estero

Ci sono, poi, gli ultimi fatti di cronaca in Canada. Una escalation criminale che mostra, dopo molti anni, i primi possibili segnali di una vera guerra di mafia. «La situazione in Canada è complicata – ci spiega Dickie – anche perché è un terreno d’incontro tra cosa nostra e la ‘ndrangheta, dal punto di vista della “giurisprudenza mafiosa” è complicata anche per loro la gestione dei territori tra una sponda e l’altra dell’Atlantico. Il fatto importante degli ultimissimi anni non è tanto l’espansione dell’ndrangheta all’estero, sappiamo che c’è da decenni, ma il fatto che sta crescendo la consapevolezza, tra le forze dell’ordine internazionali, sulla criminalità associativa italiana. Le polizie australiane e canadesi stanno imparando, hanno maggiori rapporti di collaborazione con la Dia e questo è un fattore molto importante». E, a proposito di consapevolezza, nel caso dell’Australia, per esempio, «fino a qualche tempo fa non si poteva usare nemmeno la parola “’ndrangheta” nella stampa, se se ne parlava voleva dire essere razzisti nei confronti degli immigrati calabresi. Poi in Germania, ad esempio, dalla strage di Duisburg, le cose sono cambiate in meglio direi, a livello di polizie internazionali. Io penso di sì.

La vittoria, la sconfitta e l’utopia calabrese

Con John Dickie, infine, affrontiamo la questione più importante attraverso un interrogativo che può sembrare retorico: è possibile battere la ‘ndrangheta? «Io credo sia possibile battere la ‘ndrangheta. Rappresenta un nemico più scivoloso, più difficile da colpire rispetto a cosa nostra, ha una struttura e un modo di operare diversi, aspetti che danno alla ‘ndrangheta questa capacità di diffondersi in diversi territori, un aspetto che cosa nostra americana non ha mai saputo fare al di fuori degli Stati Uniti dove c’è questa organizzazione gemella». «Secondo me i risultati che sono stati ottenuti nella lotta a cosa nostra siciliana possono essere ottenuti qua, magari con un po’ più di difficoltà, ma io da questo punto di vista sono ottimista. E attenzione, dobbiamo stare attenti perché battere l’ndrangheta, non vuol dire fare della Calabria un’utopia, ma almeno ci toglie di mezzo questo nemico molto temibile e ci permetterà di affrontare gli altri problemi che sono tanti in Calabria». (g.curcio@corrierecal.it)

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