LAMEZIA TERME Un’analisi approfondita su un periodo storico segnato da una serie di episodi drammatici e omicidi che hanno segnato definitivamente il volto della città di Lamezia Terme e la sua storia, i cui strascichi sono ancora sulle spalle della comunità. L’omicidio del giudice Ferlaino, quello dei netturbini e poi dei coniugi Aversa. L’occasione è la presentazione del nuovo libro del giornalista lametino Antonio Cannone “Quando la ‘ndrangheta sconfisse lo Stato” in occasione di Trame 12 proprio a Lamezia. Dal giardino di Palazzo Nicotera è toccato ad Arcangelo Badolati moderare l’incontro che ha visto la presenza di Walter Aversa, figlio di Salvatore Aversa e Lucia Precenzano, uccisi il 4 gennaio del 1992.
I tre affrontando da subito un aspetto rimasto finora del tutto inedito e raccontato nel libro: subito dopo l’omicidio a casa Aversa, infatti, giunsero due persone che portarono via documenti. «Si presentarono come poliziotti – racconta Walter Aversa – ma non lasciarono copie di verbali. In quel momento casa era piena di gente, erano passate poco ore dall’omicidio e quindi tanti erano venuti a porgerci condoglianze, era normale che qualcuno venisse a cercare documenti di mio padre». Poi una considerazione: «Forse mio padre aveva lasciato qualche appunto, qualcosa di importante, per questo avrei preferito che le indagini le avessero effettuate i colleghi di mio padre. Loro sapevano che indagini stava effettuando». «Prima la Cerminara che racconta la sua verità dopo un lungo momento di travaglio, che però non regge. E allora ci si aspetta un nuovo impulso per le indagini che non arriva fin quando due pentiti della sacra corona unita si autoaccusano. Niente è emerso dalle indagini ed è stata un peccato perché mio padre avrebbe meritato di più».
Eppure, Aversa conosceva bene il territorio, conosceva i boss, i Giampà, i Torcasio, i Daponte e Gattini e li affrontava anche duramente, alla vecchia maniera. Insomma, un vero presidio di legalità per Lamezia. Desta ancora sconcerto la gestione della testimonianza di Rosetta Cerminara sulle quali si è retto un processo, senza domandarsi il perché dell’omicidio di Aversa che, proprio in quel periodo, stava indagando sulla morte dei due netturbini e aveva redatto una relazione, rivelatasi poi fondamentale per lo scioglimento del Consiglio comunale di Lamezia Terme. Un grosso errore giudiziario per il quale è stato condannato l’allora pubblico ministero in servizio alla Dda di Catanzaro Adelchi d’Ippolito, con il successivo risarcimento da 200mila euro riconosciuto a Giuseppe Rizzardi, per anni ritenuto l’esecutore materiale del delitto. «La Cerminara – ha ricordato Cannone – disse di aver sentito sparare in via dei Campioni anche se era lontana e non aveva visto. Altro errore non considerare il terzo ferito da una scheggia di un proiettile. Insomma, un caso sbagliato che fa ancora scuola anche al Csm».
Una vicenda quasi surreale che, non a caso, Walter Aversa paragona ad un film. «Forse era il secondo tempo di un film la cui prima parte era stata recitata dalla Cerminara, la seconda da questi due, i pentiti Stefano Speciale e Salvatore Chirico. Non credo a teorie complottiste, ma non capisco come sia possibile non aver trovato alcun riscontro e dopo non si riprendono le indagini dopo la farsa della Cerminara. È vero che l’omicidio Aversa e dei due netturbini si intrecciano, ma è il risultato di un progetto deciso altrove. I netturbini che paura facevano? Perché Aversa doveva essere fermato? Forse prima di arrivare a qualche risultato investigativo?».
Il paragone, inevitabile, con la morte dei due netturbini Tramonte e Cristiano è ricorrente nel corso della serata. «Mio padre combatteva a mani nude questi signori, era avverso ai prepotenti e ai schierava con i cittadini oppressi. Mia madre si spendeva nelle scuole, educava e voleva bene a questa città. Ne hanno un ricordo meraviglioso. Per questo l’hanno uccisa, perché la ndrangheta ricorre al simbolismo e in questo omicidio ce ne sono stati tanti. Se si volesse davvero bene a questa città bisognerebbe rispondere ad una domanda: a quale contesto corrisponde l’omicidio dei due netturbini? Perché li massacrarono? Facendo luce sul loro caso si farebbe luce anche sull’omicidio Aversa».
Il passato, neanche troppo recente di Lamezia, è segnato da gravissimi fatti di sangue. Omicidi eccellenti, stragi di innocenti ma anche l’omicidio di due avvocati, Torquato Ciriaco e Francesco Pagliuso. E poi i tre scioglimenti del Comune per infiltrazioni mafiose e una vera “mafia di Serie A” presente sul territorio, così come l’ha definita lo stesso procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri. «Lamezia è una città per bene – ha detto Walter Aversa – ma ha il giogo dei clan, dai primi traffici di sigarette, le armi e poi sequestri di persona e di imprenditori lametini prima di passare al traffico di droga. Una mafia che non si fa scrupolo di fare stragi in pieno centro e senza paura. Una mafia che si sente appoggiata da piccole parti istituzionali di questa città perché questi omicidi non avevano alcun senso». A Lamezia il peso della ‘ndrangheta si è sentito eccome, e forse si sente ancora. «Sicuramente qualche spettro si aggira ancora. Dispiace molto che i miei genitori, che avevano scelto questa città, siano stati mal ripagati». (g.curcio@corrierecal.it)
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