ROMA «La sera del 26 giugno 1983, primo giorno dello svolgimento dei comizi elettorali per l’elezione della IX Legislatura del Parlamento italiano, il magistrato Bruno Caccia veniva ucciso in un sanguinoso agguato di stampo mafioso, nei pressi della sua abitazione, a Torino. Procuratore della Repubblica nel capoluogo piemontese nel 1980, dopo un percorso professionale svolto presso gli uffici requirenti nella regione subalpina, Bruno Caccia condusse delicate indagini su esponenti di spicco delle Brigate Rosse e sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso operanti nel Nord Italia. Uomo rigoroso e tenace, ha pagato con la vita il costante impegno nell’azione di contrasto ai fenomeni criminali per l’affermazione della legalità». Queste le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 40mo anniversario dell’omicidio di Bruno Caccia. «A distanza di quaranta anni dall’assassinio – prosegue il capo dello Stato – desidero rinnovare i sentimenti di partecipazione e vicinanza della Repubblica ai suoi familiari e a quanti lo hanno conosciuto e stimato e, in questi anni, ne hanno ricordato le doti umane, unitamente alla straordinaria dedizione nello svolgimento dell’attività professionale». «La memoria della sua figura, il suo esempio, costituiscono un importante richiamo al senso etico di quanti operano per rafforzare i valori della convivenza civile del nostro Paese, contribuendo all’affermazione dei diritti dei cittadini e della solidità delle istituzioni», conclude Mattarella.
«Sono emerse delle cose a livello processuale ma tutti noi da sempre pensiamo che non bastino, speriamo ci siano nuovi tasselli, piano piano, per arrivare a una verità più completa. Per un omicidio così ‘eccellente’, al Nord, quello che è venuto fuori è davvero troppo poco». Lo dice a LaPresse Cristina Caccia, figlia del magistrato Bruno Caccia. «Speriamo che attraverso altri processi arrivino nuove segnalazioni ma sappiamo che è molto difficile, lo speriamo ma io personalmente non sono sicura che succederà, perché è passato tantissimo tempo», aggiunge Cristina Caccia. Per l’omicidio del magistrato sono stati condannati, con conferma in Cassazione, Rocco Schirripa, accusato di aver partecipato al delitto, e Domenico Belfiore come mandante. A Milano è stato aperto un fascicolo in anni recenti, partito dalle dichiarazioni del pentito Domenico Agresta. La famiglia da sempre sostiene che ci siano ancora molte ombre e misteri legati alla morte del primo magistrato ucciso nel Nord Italia dalla ‘ndrangheta. «Era una persona semplice nelle sue cose e con semplicità aveva questo senso della legge, del dovere, della responsabilità molto chiaro, che ci ha sempre insegnato in casa con l’esempio», aggiunge Cristina Caccia. «Era uno che ha fatto il suo dovere e per questo è morto. Non era contento di essere in pericolo, perché sapeva di esserlo, ma è andato per la sua strada. Come lui, tanti altri, hanno fatto il loro dovere fino in fondo. È quello che ho sempre insegnato alle mie figlie e alla mia famiglia». Oggi è prevista una cerimonia a Torino in via Sommacampagna 15, a cui partecipano la vicesindaca Michela Favaro, l’assessore Jacopo Rosatelli e la presidente del Consiglio Comunale Maria Grazia Grippo.
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