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‘ndrangheta in lombardia

Il “patto criminale” per un ristorante a Milano: l’aiuto dei “papaniciari” e il doppio gioco del nipote del boss

Nell’inchiesta della Dda il ruolo del locale di ‘ndrangheta in Lombardia. L’imprenditore che chiede l’intervento della cosca e la strategia di Mario Megna

Pubblicato il: 27/06/2023 – 18:45
di Giorgio Curcio
Il “patto criminale” per un ristorante a Milano: l’aiuto dei “papaniciari” e il doppio gioco del nipote del boss

LAMEZIA TERME Un vero e proprio «patto criminale» siglato tra gli appartenenti alla cosca dei “papaniciari”, il cui capo indiscusso è “Zio Mico” Domenico Megna, e un imprenditore genovese. L’occasione buona per fare affari, accaparrarsi un’attività e, soprattutto, definire il proprio potere su un territorio, Milano, ben lontano dalla Calabria e da Crotone. Tutto è stato ricostruito dalla Dda di Catanzaro nell’inchiesta “Glicine” coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e i pm Guarascio e Sirleo, e riportato nell’ordinanza del gip, Antonio Battaglia.  

Il “patto criminale”

È Pietro Curcio – finito in carcere – a presentare al nipote del boss, Mario Megna – anche lui finito in carcere – un imprenditore genovese che si era rivolto alla cosca per risolvere alcune problematiche, promettendo in cambio dell’aiuto criminale la gestione a costo zero di tre ristoranti ma anche la disponibilità di un attico, tutti nel pieno centro di Milano. Il patto, siglato il 5 dicembre 2018 tra Curcio, un uomo appartenente alla cosca (ora defunto) ed un altro soggetto che, per gli investigatori, altri non è che l’imprenditore Alessandro Frescura, finito agli arresti domiciliari. Quest’ultimo nel corso dell’incontro racconta dei problemi con i suoi soci nella gestione del ristorante “Il Paparazzo”, a Milano. E poi del rapporto di amicizia e delle fregature ricevute in cambio, tipo l’appropriazione di un’auto e la distruzione di un’abitazione messa a disposizione. Poi è il turno dell’architetto e la necessità di recuperare un credito, indicando Prato come città dove intervenire, e le questioni con un legale e una parcella onerosa – circa 60mila euro – da dover corrispondere al difensore di famiglia in una vecchia causa, conclusasi peraltro con esito sfavorevole.

La disponibilità di Megna

Insomma, un vero consulto con il boss Mario Megna che si dimostra molto disponibile. «(…) la devono finire al Nord Italia i paesani nostri di fare abusi (…) e prepotenze alle persone che lavorano perché a noi ci servono le persone vicino come voi». Una affermazione, quella di Megna che, secondo gli investigatori della Dda di Catanzaro, rifletteva l’orientamento della consorteria costruito nel tempo: basta alle violenze in senso stretto, facendo affidamento sulla solidità criminale «riconosciuta anche fuori dal territorio di influenza». Come la Lombardia. Anche perché, come racconta Mario Megna nel corso dell’incontro, la sua visita a Milano fosse in realtà «un viaggio per mantenere il controllo ‘ndranghetistico della zona, con tanto di ritorno in denaro per la bacinella della consorteria».

La partenza per Milano

Il gruppo, nelle settimane successive, si mete in moto fino a riuscire a fissare a Firenze l’incontro con l’architetto. Mario Megna e Pietro Curcio partono da Crotone il 6 febbraio 2019 ma, una volta arrivati ad Eboli tornano indietro per un imprevisto controllo di una pattuglia della Polizia Stradale di Sala Consilina, temendo evidentemente possibili azioni investigative. Incontro, dunque, posticipato alla settimana successiva tra l’11 e il 17 febbraio 2019. Il 14 dello stesso mese Curcio spiega all’imprenditore Frescura che l’incontro sarebbe avvenuto la settimana prossima, anticipandogli di aver già avuto aggiornamenti dall’avvocato. Una volta arrivati a Milano – è il 20 febbraio – Curcio e Megna vengono accolti da un tale Vito che conduce entrambi in Corso Sempione. La sera vengono poi raggiunti da Roberto Cavallo – ritenuto intraneo al clan ma non indagato in questa inchiesta – al quale Mario Megna spiega l’intera vicenda e lo ragguaglia su ogni dettaglio, comprese le direttive impartite dal boss Domenico Megna.

L’incontro e l’intromissione dei reggini

I progetti di Megna non erano cambiati rispetto al mese di dicembre: il socio amico di Frescura avrebbe saldato il proprio debito con l’imprenditore versando i soldi direttamente all’avvocato. Un piano perfetto quello ideato, prospettato direttamente al socio di Frescura. Mario Megna, durante l’incontro, gli fa intendere che la sua posizione «era considerata contigua alla cosca papaniciara» scrivono gli inquirenti, e ciò «per volere del boss in persona» Domenico Megna. L’amico e socio di Frescura, dunque, ripercorre tutta la vicenda, spiegando a Megna di aver ceduto l’attività “Il Paparazzo” ad un gruppo che però non solo non aveva mai pagato alcuna cambiale per la vendita, ma neanche il fitto del locale a Frescura, con quest’ultimo costretto a ricorrere allo sfratto esecutivo. E racconta poi di un episodio particolare: un giorno, mentre era andato nel ristorante per riprendersi la sua attrezzatura, aveva trovato la presenza oltre che di Frescura anche di un uomo e una donna di origini calabresi, presumibilmente reggine, che gli si avvinano in tono minaccioso.  

Il doppio gioco del boss

«Gli tiriamo una “triglia” a questo qua che gli faccio prendere la 104». Non usa mezzi termini Mario Megna al termine del dialogo con il socio di Frescura, spiegando di essere poco interessato alle vicende personali, pensando invece agli affari e alla possibilità di appropriarsi del locale, facendo credere a Frescura di avere l’appoggio della cosca, spiegando che «della questione reggina» se ne sarebbe occupato in seguito.  «(…) glielo diciamo all’avvocato, gli facciamo fare qualcosina all’inizio, mi prendo io la responsabilità, con lui non ce ne sono problemi». E ancora più chiaro spiega: «(…) dopa che prendiamo quello che dobbiamo prendere a me non ne me frega niente (…) se mi fa qualche registrazione vado e mi faccio la galera». Il socio di Frescura, quindi, incassa la benevolenza di Mario Megna «l’amico mio sei tu, non lui» ma non sa ancora di essere vittima del doppio gioco del nipote del boss. Quest’ultimo, dopo l’incontro, confessa a Pietro Curcio i suoi propositi: sfruttare la sua conoscenza con l’avvocato e, una volta ottenuto il risultato con la sua mediazione, sfruttare entrambe le posizioni per avere il massimo ritorno in termini di utilità criminale. «(…) abbiamo un problema con un avvocato che dobbiamo fare un processo lunedì, mi serve qualcosa, cominciamo a prendere già ventimila euro…». (g.curcio@corrierecal.it)

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