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la ricostruzione

L’affronto al “papaniciaro” Mico Megna pagato con il sangue. Salvatore Sarcone ucciso e mutilato

Nell’inchiesta della Dda di Catanzaro finisce il delitto del 38enne ritrovato senza vita a Capocolonna. Definì il boss un «pecoraro»

Pubblicato il: 27/06/2023 – 13:06
di Fabio Benincasa
L’affronto al “papaniciaro” Mico Megna pagato con il sangue. Salvatore Sarcone ucciso e mutilato

CROTONE L’omicidio di Salvatore Sarcone matura in una cruenta e sanguinosa faida tra due contrapposte fazioni criminali. Il 38enne, con due condanne sulle spalle per mafia, viene ucciso nel settembre del 2014 a Crotone. E’ il padre della vittima, Francesco Sarcone, a denunciare la scomparsa del figlio del quale non aveva più notizie dalla sera precedente, dalle ore 20 circa del 9 settembre 2014. Le dinamiche che hanno portato al compimento del delitto sono state ricostruite nell’inchiesta conclusa questa mattina e coordinata dalla Dda di Catanzaro.

La scomparsa e il ritrovamento di Salvatore Sarcone

Pluripregiudicato, esponente della criminalità organizzata crotonese, Sarcone è stato rinvenuto cadavere il 24 settembre del 2014 (a 13 giorni dalla scomparsa) in località “Irto” di Capocolonna. Dai primi accertamenti e dall’esame autoptico sul cadavere in evidente stato di decomposizione, emerge chiara la presenza di segni di due colpi di arma da fuoco calibro 38 che lo hanno raggiunto alla testa. La data e l’orario del decesso sono compatibili a quelli della sera della sua scomparsa. L’agguato macchiato con il sangue e con i proiettili avrebbe ridefinito gli equilibri criminali che ancora oggi governano la città di Crotone. Le indagini successive al ritrovamento del corpo senza vita di Sarcone, infatti, hanno permesso di acquisire elementi investigativi che consentono di ritenere il delitto «riconducibile alla necessità della cosca papaniciara di riaffermare la supremazia territoriale all’indomani dell’uscita di Domenico Megna dal carcere e dopo gli eventi che ne avevano minato l’esistenza: le azioni di contrasto giudiziario e l’uccisione di Luca Megna».

Il ritorno di Mico Megna

Domenico Megna detto “Micu”, è il leader indiscusso, una entità criminale autonoma che consuma le proprie attività nelle aree di Papanice e Crotone, ma anche «stabile e autorevole membro della più vasta alleanza delinquenziale composta dalle organizzazioni preminenti nei singoli comuni crotonesi». Gli investigatori segnalano, a tal proposito, i legami tra i “Papaniciari” ed i sodalizi isolitani e cirotani, che «hanno storicamente caratterizzato le alleanze criminali e permangono quanto mai solidi». Lasciato l’istituto penitenziario, il vecchio boss decide di ristabilire gli equilibri, alterati dalla presenza di Salvatore Sarcone «che ne contrastava la leadership e che non voleva piegarsi e rientrare nei ranghi, ritenendo di avere acquisito una dignità ‘ndranghetistica superiore al suo rivale». Sul delitto e sul movente intervengono numerosi collaboratori di giustizia, sollecitati a raccontare quanto di loro a conoscenza sul fatto di sangue.

Il racconto dei pentiti

Il collaboratore di giustizia, Francesco Oliverio riferisce di alcune circostanze relative alle dinamiche ed agli equilibri di ‘ndrangheta che si erano sviluppate all’interno del sodalizio dei papaniciari dopo l’omicidio di Luca Megna e la successiva scarcerazione di Mico Megna. Sarcone, «si era avvicinato al gruppo dei Barilari con i quali aveva avviato una proficua collaborazione criminale». Secondo il collaboratore, Sarcone «era entrato in contrasto con Megna al punto che i due avevano avuto un violento alterco, avvenuto un mese prima della scomparsa del primo, durante il quale Sarcone aveva pesantemente insultato il vecchio capo, definendolo pecoraro». Sempre secondo il collaboratore, Sarcone sarebbe stato «venduto dai Barilari che lo avrebbero consegnato a Megna, ottenendo in cambio un vero e proprio riconoscimento criminale». La narrazione viene confermata e impreziosita da ulteriori particolari dal collaboratore Domenico Iaquinta che ha assistito in prima persona al mandato omicidiario che Megna aveva impartito a Antonio Santo Bagnato, referente della locale di Roccabernarda.
Nell’estate del 2014, il pentito sostiene di aver accompagnato Bagnato dal boss a Papanice. «Megna chiese a Bagnato di ammazzare Sarcone, dicendo che avrebbe avuto come spalla Pino Cardelli e, alla bisogna, ove fosse necessario, anche Alberto Cizza», sostiene il pentito. Che aggiunge: «Dopo l’omicidio, Bagnato mi disse che aveva ammazzato Sarcone con Cardelli. Mi fece capire di avergli sparato in testa». Sempre Bagnato avrebbe confessato al collaboratore «che Sarcone e Gianluigi Foschini avevano ucciso Salvatore Macri» perché quest’ultimo «aveva tenuto un atteggiamento irriguardoso nei confronti di Foschini e l’autore del fatto era proprio questo ultimo». L’ultimo collaboratore a rendere dichiarazioni sull’omicidio di Salvatore Sarcone è Massimo Colosimo, soggetto gravitante nell’orbita del clan Trapasso per conto del quale curava gli interessi nella regione emiliana. In un interrogatorio reso il primo settembre 2020, il pentito dice di «avere appreso da Bolognino Michele e Chiaravalloti Rosario (entrambi in costante contatto ed in affari con le propaggini emiliane dei papaniciari), che l’omicidio di Sarcone era stato ordinato da Mico Megna ribadendo a sua volta l’episodio dell’affronto subito in un bar dall’anziano boss quando era stato insultato pesantemente. «Ricordo che Sarcone ha avuto una discussione con Mico Megna quando è uscito dal carcere. Addirittura gli avrebbe dato un buffetto». Bolognino avrebbe inoltre confidato al collaboratore di giustizia un altro inquietante particolare legato al delitto. «Aveva appreso da Megna che il corpo di Sarcone era stato anche mutilato delle mani, proprio perché il boss intendeva rimarcare la gravità dell’affronto subito. «Visto che fine gli hanno
fatto fare? La fine di un cane… gli hanno tagliato anche le mani». Ed in effetti il cadavere della vittima, rinvenuto in stato di decomposizione, risultava privo delle mani.

L’astio di Sarcone nei confronti dei “Papaniciari”

Salvatore Sarcone veniva considerato come un soggetto scaltro e diffidente. Emerge, nel corso di alcune conversazioni intercettate, l’astio nutrito dal 38enne nei confronti di tutti i componenti della cosca dei Papaniciari ai quali addebitava comportamenti scorretti ed irriguardosi. «Io li prendo con una mazza».

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