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l’inchiesta

La ‘Ndrangheta e le truffe finanziarie hi-tech. «Svuotiamo i conti di Bin Laden»

Hacker, direttori di banca compiacenti (con commissione del 40%) e imprenditori per far sparire milioni di euro, le operazioni del clan Megna sui “conti dormienti”. «Questi sono dei cervelloni…»

Pubblicato il: 28/06/2023 – 20:18
di Pablo Petrasso
La ‘Ndrangheta e le truffe finanziarie hi-tech. «Svuotiamo i conti di Bin Laden»

CATANZARO «Comunque questi sono dei cervelloni, non so… hanno preso due hacker, uno tedesco c’è… e un altro… mi sono dimenticato di dove che hanno lavorato accoppiati, c’hanno messo tre anni». In tre anni i “Papaniciari” avrebbero raccolto ingenti capitali grazie a sofisticate truffe finanziarie. È (anche) in frasi come questa che si coglie una nuova metamorfosi della ‘ndrangheta: pastorale, poi imprenditrice, infine finanziaria. Il terzo step si materializza davanti agli uomini del Ros e finisce nell’inchiesta “Glicine/Acheronte” della Dda di Catanzaro. Sono i pm Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, sotto il coordinamento del procuratore Nicola Gratteri, a dare sostanza all’ipotesi investigativa.

L’interesse del clan Megna per i “conti dormienti”

Due hacker – Salvatore Lumare e Mark Ulrich Goke – «a completa disposizione della cosca» per ampliare il filone delle truffe finanziarie e bancarie già emerso nelle inchieste sul clan Grande Aracri. Le famiglie crotonesi puntano su sistemi complessi per drenare fondi dai mercati ed è grazie alle conversazioni di Mario Megna, nipote del boss Domenico e braccio economico della cosca al Nord, che la Dda di Catanzaro riesce a mettere in fila gli strumenti utilizzati «nel settore della finanza clandestina». Nelle intercettazioni, Megna mostra interesse «per i conti correnti dormienti sui quali si diceva in grado di operare utilizzando delle schede nere o anche dei bonifici bancari le cui tracce venivano poi cancellate grazie alla compiacenza di infedeli funzionari e direttori di banca». Non bastano i «cervelloni»: anche nelle rapine digitali c’è bisogno di un basista, magari un direttore vicino alla pensione o disposto a rischiare il licenziamento in cambio di una lauta mazzetta. Per svuotare un conto dormiente – si definiscono così quelli sui quali non si registrano movimenti da dieci anni – serve un pos da utilizzare in modalità offline «che, con la complicità del direttore della banca, avrebbe consentito operazioni di prelievo di somme da tali conti senza lasciare alcuna tracciabilità». L’ultimo tassello dell’operazione è il conto corrente di arrivo della somma spostata con il pos offline. È anche per questo che Megna coinvolge nel processo titolari di aziende disponibili a completare il “giro”. Dal “conto dormiente”, attraverso un pos capace di operare senza lasciare tracce dirette grazie alle capacità degli hacker, il denaro “atterra” sul conto di una ditta amica e da lì, dopo qualche ora, sparisce.

«Sarebbero i conti di Bin Laden… Il direttore si prende il 40%»

Megna ne parla con un imprenditore parmense. «Io sto facendo delle cose, Giova’, con dei conti… dormienti si chiamano, che sarebbero quelli di Bin Laden, tutti quelli che sono deceduti e hanno lasciato i soldi e non sanno come li devono smaltire i soldi… li fanno tramite computer, c’è il direttore che si prende il 40%… tu incassi i soldi e spariscono tutte le tracce, si chiamano off e on, quelle off ti spariscono subito, dopo mezz’ora che tu hai incassato i soldi non ci sono più tracce che possono seguire questi soldi qua». È «una cosa illegale», spiega Megna a un altro imprenditore, ma il sistema è «in grado di garantire lauti vantaggi economici con un rischio tutto sommato sopportabile». «Sto provando a dare una svolta – dice – se mi va bene mi va bene, se mi condannano che faccio, due anni? Tre anni? Su un piede mi sto, fino a quando non mi chiamano che devo uscire. Però il gioco deve valere la candela». Tanto per essere ancora più chiaro, il nipote del boss ribadisce l’importanza «di avere la complicità di un direttore di banca» e anticipa che nella settimana successiva «si sarebbe nuovamente recato in Emilia in compagnia di una persona a conoscenza del sistema truffaldino».

«In Montenegro 5 milioni li hanno scesi in una Bmw, chiacchiere non ce ne sono»

Per gli inquirenti questa persona è Salvatore Lumare, «esperto di pirateria informatica e abile a operare con le “schede nere”». Lumare spiega all’imprenditore amico di Megna i dettagli tecnici dell’operazione. Dice che gli basta toccare due bottoni per capire se il Pos è offline. E ricorda «l’esigenza di avere a disposizione direttori di banca compiacenti al fine di superare eventuali attività di controllo». C’è poi un passaggio fondamentale, «ovvero che il denaro oggetto delle transazioni» deve «permanere sul conto di destinazione per un minimo di 72 ore, prima di essere distratto su altri conti, al fine di fame disperdere la tracciabilità». L’hacker mostra ai “compari” anche «una sorta di video-tutorial riguardante l’utilizzo di alcuni Pos illegali, configurati in modalità “Manual”». Ultimo passaggio: «individuare i conti correnti sui quali allocare il denaro per farne disperdere la tracciabilità». A quel punto la ricetta è completa. Megna e Lumare ci tengono a spiegare che funziona. Il nipote del boss, in particolare, racconta all’ennesimo imprenditore che il sistema è affidabile e che la cosca, tramite l’operato dell’hacker italo-tedesco, era già riuscita a riciclare 5 milioni di euro tramite un’operazione portata a compimento in Montenegro. «In Montenegro – dice – cinque milioni in una Bmw e li hanno scesi, quindi chiacchiere non ce ne sono». Con ‘ndranghetisti e «cervelloni» il risultato è assicurato. (p.petrasso@corrierecal.it)

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