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Il “glicine” della (mala)politica clientelare. Usi e abusi del potere che prospera in Calabria

Truppe cammellate pronte a cambiare schieramento. Incarichi e appalti “pensati” in nome del consenso. Un sottopotere concepito per contare i voti. Chissà se qualcuno dei protagonisti pensava ai pro…

Pubblicato il: 29/06/2023 – 12:40
di Paride Leporace
Il “glicine” della (mala)politica clientelare. Usi e abusi del potere che prospera in Calabria

L’operazione Glicine/Acheronte scuote con rodata sceneggiatura seriale la cronaca politica calabrese. Suppongo che il glicine sia riferito alla politica clientelare, la quale essendo pianta rampicante riesce a espandersi in ogni angolo posto sopra la sua radice. Certo il clientelismo in Calabria non è una pianta ornamentale come il glicine. Invece Acheronte, affluente del fiume Stige, nel regno dell’Oltretomba varcato da Caronte nella Commedia di Dante, è toponimo mortifero delle gesta della cosca Megna di Papanice che nel romanzo criminale della voluminosa ordinanza un omicidio lo racconta.
Quello che non comprendo invece è perché nella stessa inchiesta convivano assieme malapolitica e ‘ndrangheta, ovvero glicine e Acheronte.
Tranne sparuti episodi minimali anche il Gip competente ne ha escluso l’aggravante per i politici. Non era meglio indagare per tronconi diversi sull’ex presidente della Calabria, Mario Oliverio, e su Nicola Adamo?
Per quanto riguarda Enzo Sculco, e le sue pratiche politiche discutibili, esse hanno uno storico antico, fin da quando nacque quella nuova Provincia che ne ha segnato il percorso. Era il 2001 quando scattarono scandali e manette per un Comitato d’affari crotonese che sembra coincidere di nuovo con quello odierno. Le ipotesi accusatorie erano quasi identiche senza la cosca. Sculco all’epoca tornò in consiglio regionale dopo 18 mesi di sospensione, i processi si rinviavano in coincidenza delle elezioni per evitare speculazioni mediatiche, una bomba esplodeva sotto l’automobile di questo highlander politico che con eloquio adeguato poteva dichiarare: «Ci sono forze che reagiscono al cambiamento».
Al netto delle sentenze giudiziarie di Sculco l’unica verità è che in Calabria e a Crotone il cambiamento non l’abbiamo visto. Abbiamo piuttosto registrato che politicamente Sculco ha cambiato ruolo diventando un gran regista, mandando avanti la presentabile figlia Flora da schierare a sinistra per le elezioni con Oliverio per poi farla passare per tempo sotto l’ombrello dell’Udc nel centrodestra di Occhiuto. L’attuale Presidente forse nell’esprimere soddisfazione per l’operazione Glicine dichiarando «tolleranza zero per il malaffare», un minimo di riflessione sugli alleati poteva anche meditarla.
Quell’esercizio del potere che dall’ordinanza apprendiamo si premura di far pressing nei confronti del segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti, e del ministro Francesco Boccia per far approvare un emendamento del Milleproroghe in modo da far slittare le elezioni del presidente della Provincia di Crotone per rinviare le nomine utili all’accordo dopo l’elezione di Flora Sculco. Politica del glicine, niente di penale di cotanti nomi, ma da tempo sappiamo che a Roma i dirigenti nazionali dei partiti sulla Calabria giocano alle tre scimmiette del non vedo, non sento, non parlo; tranne concedere qualche aiuto tecnico che garantisca la percentuale elettorale.
Viene voglia di andare a leggere nei brogliacci dell’inchiesta, non per scovare l’intercettazione pruriginosa, ma per verificare se questi indagati politici, “presunti innocenti” come li sfotte Gratteri, se nel preparare per tempo la campagna elettorale regionale abbiano mai parlato di ottenere consenso predisponendo piani di occupazione per giovani disoccupati, progettato nuove arterie ferrate. Vorremmo capire se questi indagati con nomi illustri e meno noti, se nei loro colloqui si siano mai preoccupati di ottenere consenso con una bonifica delle discariche o del mare inquinato, di assegnare incarichi a grandi luminari calabresi della medicina da far tornare nella nostra regione. Temo non ci sia nulla di tutto questo.
È certo che gli accordi politici si preoccupavano soltanto di assegnare incarichi a persone di fiducia, di affidare gli appalti alle aziende amiche, di scalare la partecipata del comune di Crotone che di “sviluppo” aveva solo il nome in conto del proprio consenso.
La prosa giudiziaria elenca direttori generali da designare all’Aterp, liste di professionisti da incaricare per accatastare immobili, piramidi del sottopotere da collocare per aver garantiti un preciso numero di voti alle elezioni. Compaiono nomi di “spicciafaccende” del presidente della Regione che ottimizzano la politica tenendo relazioni strette e corte con sindaci, amministratori e imprenditori per far sì che le determine procedano veloci senza impicci e scogli burocratici. Non si vede mafia in questo incrocio giudiziario e non si può affermare con certezza se questa sia anche un’associazione criminale considerato che si è “limitata” ad esercitare la politica con tutele ad un sistema feudale postmoderno che si misura con l’accesso alle stanze del Potere poste al piano più alto. Va ricordato che Mario Oliverio è stato già indagato da Gratteri per due volte in altre inchieste venendo assolto da ogni accusa, e soprattutto non poté ricandidarsi. Quando nel 2021 ha riproposto la sua candidatura alla presidenza della Regione non è riuscito a trasformare la sua vicenda in un caso Tortora e i suoi pallidi consensi si sono fermati all’1,7% non riuscendo a diventare neanche consigliere regionale. Il caso Oliverio è rimasto un suo fatto personale condiviso con i seguaci più stretti. Quelli che lo avevano sostenuto in passato si erano sistemati altrove. Le truppe cammellate come quelle di Sculco sono degli scout eccezionali nel capire dove si ramifica il nuovo glicine. L’Acheronte tutti lo temono, tutto confonde. Le inchieste temo che poco saranno utili a modificare certi usi e abusi del potere locale che in Calabria abbiamo contribuito a far prosperare. (redazione@corrierecal.it)

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