CATANZARO Non un gruppo criminale comune ma una vera e propria organizzazione mafiosa capace di battezzare i bambini in nome di Osso Mastrosso e Carcagnosso, i tre leggendari cavalieri fondatori di tutte le mafie. Gli Abbruzzese di Cassano, colpiti questa mattina da un’operazione congiunta di Polizia e Carabinieri con 68 misure cautelari, sono accusati dalla Dda di Catanzaro di associazione di stampo mafioso, associazione dedita al narcotraffico, estorsioni, minacce. «Bisogna cominciare a parlare di mafia della Sibaritide”, ha detto il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Non solo traffico di droga a livello internazionale ma «hanno vessato imprenditori agricoli e dediti al turismo», ha spiegato il procuratore. «Si è banalizzato – ha continuato Gratteri – parlando di zingari come se fosse criminalità comune. Ho lottato per anni per avere maggiore attenzione sulla Sibaritide, un’area che a me sta molto a cuore perché dotata di un’imprenditoria agricola produttiva ed evoluta. La Calabria ha due importanti vocazioni, l’imprenditoria agricola e il turismo, entrambi venivano vessati nella Sibaritide. Io chiedevo uomini e mezzi per dare risposte. Perché gli imprenditori devono lavorare tranquilli. Questa area della provincia di Cosenza è storicamente caratterizzata dalla poca presenza di forze dell’ordine».
Per non mollare un’inchiesta importante è stata necessaria un’operazione congiunta di polizia e carabinieri che hanno lavorato, come ha detto, il comandante del reparto operativo Dario Pini «non con molti militari ma con militari che hanno dato l’anima con un intenso lavori di intercettazione e osservazione controllo e pedinamento».
Nonostante le carenze, però, l’operazione denominata “Athena” ha decapitato un gruppo criminale presente in maniera “capillare” sul territorio, come ha sottolineato il procuratore vicario Vincenzo Capomolla. «Abbiamo registrato – ha detto Capomolla – diverse intestazioni fittizie di imprese». Dietro lo schermo di imprenditori asserviti c’era la cosca Abbruzzese che gestiva attività imprenditoriali anche importanti. Come ha riferito il comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza, Saverio Spoto, «l’associazione reinvestiva i capitali illeciti in attività economiche anche di rilevante livello». Colpito anche il patrimonio degli indagati con un sequestro, calcolato per difetto, di 5 milioni di euro in terreni, conti correnti, attività imprenditoriali, un bar tabacchi. Nel corso dell’esecuzione cautelare sono stati trovati anche contanti per un totale di circa 100mila euro.
Particolarmente attenzionata è stata la figura di Luigi Abbruzzese, capo dell’organizzazione, hanno spiegato Maurizio Miscioscia, direttore dello Sco di Catanzaro e Gabriele Presti, dirigente della Squadra Mobile di Catanzaro.
Luigi Abbruzzese, noto per essere stato latitante dal 2015 al 2018, per sfuggire all’operazione Gentleman. Un soggetto che «spingeva i propri congiunti» a essere orgogliosi di appartenere alla “famiglia” e che aveva passato la reggenza del clan allo zio durante la latitanza. Nel corso delle indagini è emerso anche il ruolo attivo delle donne della cosca, vere «protagoniste della compagine criminale».
Una compagine capace di «ottenere senza chiedere», in un «contesto criminale completamente soggiogato. Solo grazie alle intercettazioni è stato possibile – ha detto il vicario Capomolla – superare la resistenza delle persone offese». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x