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Attentati ai resort, le mani della «gente di Cassano» sul turismo nella Sibaritide

La raccomandazione al complice di non portare il telefono e di munirsi di passamontagna. Il «rancore» di Maurizio Falbo e le intercettazioni che lo accusano

Pubblicato il: 01/07/2023 – 7:35
di Alessia Truzzolillo
Attentati ai resort, le mani della «gente di Cassano» sul turismo nella Sibaritide

CATANZARO Prima stretto collaboratore di un imprenditore turistico, poi aguzzino che chiede il “pizzo” per conto della «gente di Cassano». Il gip Sara Mazzotta non ha dubbi che dietro gli attentati intimidatori ai danni di due resort della Sibaritide, entrambi appartenenti allo stesso proprietario, vi sia la mano di Maurizio Falbo, alias“ naso stuort” o “trapanaridd”, 35 anni.
Il primo attentato avviene nella notte tra il 28 e il 29 dicembre 2018, tra le 23 e la mezzanotte, «un incendio – chiaramente doloso, anche in considerazione del rinvenimento di una tanica di benzina – ai danni di un locale adibito a sala ristorante… dove l’indomani avrebbe dovuto essere allestito un ricevimento nuziale».
Il secondo avviene il 9 gennaio 2019: viene incendiato il locale lavanderia di un altro villaggio.
Le intercettazioni portano immediatamente gli investigatori sulle tracce di Falbo.

Le raccomandazioni: senza telefono e col passamontagna

Dieci giorni prima dell’incendio alla sala ricevimenti, Maurizio Falbo ha un dialogo sospetto con Emilio Ferrara. Hanno bisogno di un complice che funga da palo: «Allora tu si, devi fare una cosa Maurì… Devi portare due ragazzi che devono stare, che li dobbiamo mettere all’angolo se qualcuno gira dalla strada, questo lo dobbiamo fare… ti faccio entrare da qua dietro, da qua dietro… così poi una volta che tu hai finito…».
Il giorno dell’incendio (il 28 dicembre 2019) Falbo prende accordi con il suo factotum Amjad Iqbal, detto Mustafà, per effettuare un lavoro quella sera stessa, raccomandandosi due cose: di non portare con sé il telefono e di portare un passamontagna: «Allora mi devi ascoltare a me;  mi devi ascoltare a me …senza telefono stasera… vai a prenderli i passamontagna vai…hai preso i passamontagna? Dove sono? Dai prendili!…mettili qua Mustafà.
A dargli buca, alla fine, è proprio Emilio Ferrara, un vigilante col quale avevano già effettuato un sopralluogo e che la mattina stessa diserta l’appuntamento a causa di un malore. A stigmatizzare questo comportamento sarà una telefonata tra Maurizio Falbo e Nicola Abbruzzese, detto “semiasse”. I due discutono della necessità di farsi accompagnare da qualcuno che non dia nell’occhio: «A chi…a chi lo dici Nicò? Sulle ossa dei morti! Lo conosci qualcuno fidato? Lo conosci tu? Pure… pure una coppia va bene… si va a mettere nella pineta…tanto…».

«Aspetta che vada a fare un servizio»

Per l’occasione, vista anche la defezione di Ferrara, Abbruzzese recluta Alessandro Cerchiara, alias “ il chimico”, per accompagnare Falbo. «Cerchiara – scrive il gip – era perfettamente consapevole della natura illecita dell’appuntamento, tant’è che rifiuta espressamente di portare con sé la sua fidanzata, come invece richiestogli inizialmente da Falbo per dissimulare meglio la loro presenza all’interno della pineta». Il compito di Cerchiara è chiaro già dalle intercettazioni: «Come va a fare un servizio lui… e tu aspetti nella macchina», gli viene detto.

«Poi le scarpe le buttiamo nel fosso»

«Dopo queste scarpe, noi, quando ci ritiriamo le metti in una busta, le vai a buttare nel fosso!», dice Falbo a Mustafà specificando che poi le avrebbero recuperate in un secondo momento. Fatto ciò, Falbo riepiloga tutto il materiale occorrente: «taglierino, la tenaglia…e la cosa» poi, analogamente a quanto stabilito per le scarpe, raccomanda ad Amjad Iqbal di nascondere anche il giubbotto che avrebbe indossato: «Questo giubbotto…dopo pure stasera quando vieni… No, mettilo a posto. Nascondilo a posto…».
Quella notte Maurizio Falbo si è allontanato da casa senza portare cellulare, per poi farvi ritorno intorno alle undici di sera.
Nei giorni successivi all’appiccamento dell’incendio «Falbo – scrive il giudice –, fingendo di non avere contezza dell’accaduto, compulsava freneticamente diverse persone vicine alla proprietà dell’albergo incendiato per conoscere l’effettiva consistenza dei danni arrecati e capire se i destinatari avessero compreso le vere ragioni dell’intimidazioni».

L’incendio nella lavanderia

Alle 22:18 del 9 gennaio 2019, un incendio divampa nella lavanderia di un villaggio riconducibile allo stesso proprietario del precedente.
Sono passati pochi giorni dal primo incendio e gli inquirenti sono convinti che anche dietro questa intimidazione vi siano la mano di Falbo e la regia di Abbruzzese.
Anche in questo caso le intercettazioni fanno molto.
«E dove hai messo bidoni lì? Vicino porta?», chiede Maurizio Falbo al solito Amjad Iqbal detto Mustafà. «Dal prosieguo della conversazione – scrivono i magistrati titolari dell’inchiesta, Vincenzo Capomolla e Alessandro Riello – si evince che, nella fuga, Iqbal Amjad aveva sfruttato la presenza di una pianta per nascondersi e contemporaneamente si era disfatto di alcuni indumenti». «Ebbene – proseguono i magistrati –, dai dialoghi era chiaro che, dopo l’incendio, Maurizio Falbo e Amjad Iqbal non si erano incontrati ed il primo affermava di essersi preoccupato perché l’altro indossava degli stivali, che certamente non sono il tipo di calzatura ideale per correre».
Sentito dagli inquirenti il proprietario dei resort ha affermato di non «essere stato contattato per eventuali richieste estorsive dopo i danneggiamenti subiti, ha precisato che, sino alla precedente estate 2018. proprio Falbo, all’epoca suo stretto collaboratore, si era fatto latore di richieste estorsive per conto di non meglio precisata “gente di Cassano”».

Il rancore nei confronti del datore di lavoro

Secondo il gip sussistono a carico di Maurizio Falbo e Amjad Iqbal gravi indizi quali materiali esecutori dei due atti intimidatori e tale lettura appare coerente anche con «la figura del Falbo, il quale, già in passato, si è fatto latore di imbasciate a contenuto estorsivo dirette nei confronti dell’imprenditore per conto della locale criminalità organizzata; essa, inoltre, risulta logicamente compatibile con il rancore covato da Falbo nei confronti dell’imprenditore suo datore di lavoro che, nel corso del tempo, lo ha progressivamente demansionato». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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