COSENZA Cinque mesi prima di morire in un agguato a Villapiana, il boss della Sibaritide Leonardo Portoraro cerca di mediare tra il clan Forastefano e un responsabile di cantiere che conosce da tempo. Nel gennaio 2018 il vecchio “capo” appare come un intermediario tra la “nuova” ‘Ndrangheta e le ditte vessate. Il tecnico è in difficoltà, in una sola mattina sono arrivati in due per fare dei «viaggi di asfalto» che – lo sa – non verranno mai pagati. Il primo estortore, “Ciccio”, al secolo Celestino Abbruzzese avrebbe redarguito il secondo per il proprio comportamento («ma come ti sei permesso ad andare là?»). Circostanza preoccupante che induce l’uomo a contattare il vecchio boss. Portoraro spiega che «per avere notizie di ciò che stava accadendo si sarebbe dovuto confrontare con i Forastefano» e, «tramite questi ultimi, avrebbe potuto apprendere di eventuali problemi sorti con l’altra compagine delinquenziale degli “zingari”». Anche due viaggi “sbagliati” di asfalto possono essere un segnale pericoloso in un territorio “governato” da cosche feroci.
Di sicuro Portoraro «non aveva avuto sentore, almeno sino a quel momento, che la pax mafiosa in atto tra gli Abbruzzese e i Forastefano fosse incrinata da qualche specifico accadimento». All’epoca in cui era riuscito a far siglare la pace tra i Forastefano e gli Abbruzzese («pure quando gli ho fatto fare la pace») aveva dato precise indicazioni affinché quell’azienda non fosse oggetto di “visite” da parte degli esponenti criminali di entrambi gli schieramenti («perché io gli ho sempre detto che qua non dovevano venire»). Il direttore del cantiere è sconfortato: “Ciccio” gli avrebbe detto di rassegnarsi alle pressioni: «Compa’… tu non ti devi preoccupare… continua a prenderti le gocce».
I mesi passano, Portoraro cade sotto i colpi dei kalashnikov in un lido e le indagini proseguono. Il tecnico della ditta finita nel mirino dei Forastefano conferma il contenuto della conversazione intercettata nel gennaio 2018 agli investigatori. E spiega che, rispetto all’agguato che scuote la Sibaritide, c’è un prima e un dopo. «Le visite al cantiere – racconta – prima della morte di Leonardo Portoraro erano assai sporadiche, e addirittura era quest’ultimo a consigliarmi di non fornire materiale se non previo pagamento. Dopo la sua morte, le richieste si sono intensificate e io, a tutt’oggi, non riesco a quantificare le perdite subite dall’azienda, che comunque ammontano ad alcune decine di migliaia di euro».
In una circostanza, Portoraro e Pasquale Forastefano si sarebbero recati assieme in cantiere. E il vecchio boss avrebbe invitato a fornire del cemento industriale al “compare”. «Pur richiedendomi un prezzo di favore per la fornitura – ricorda – assicurava che quest’ultimo (Forastefano, ndr) avrebbe pagato». Il «responsabile» dell’azienda accetta perché ritiene «una vera e propria garanzia» la presenza di Portoraro. Dal cantiere partono 8-9mila euro di materiale che non saranno mai pagati.
Si quantificano le perdite materiali. Ma i magistrati antimafia sottolineano anche le conseguenze sociali di quella pressione asfissiante. Lo fanno utilizzando le parole dell’imprenditore, che confida «di aver più volte pensato di abbandonare l’attività per trasferirsi nel Nord Italia». «Come imprenditore del posto – racconta – vivo in un perenne stato di agitazione e di ansia dovuto al fatto che opero in un contesto assolutamente non facile. Più volte ho pensato di abbandonare l’attività trasferendomi al Nord, ma poi, per questioni familiari, ho sempre soprasseduto continuando a gestire l’azienda di famiglia. Non vi nego tuttavia che ogni qualvolta si presentano determinati soggetti in cantiere temo che possa trattarsi dell’ennesima richiesta estorsiva che in questo particolare momento storico, di difficoltà economiche, nuocerebbe alla mia azienda». (ppp)
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