LAMEZIA TERME Hanno raggiunto Lamezia Terme, sfidando il caldo del primo giorno di luglio. Un flashmob per chiedere un vero aeroporto per la città di Reggio Calabria e per i reggini, arrivando nella città della Piana sotto bandiere, magliette e striscioni amaranto, proprio nel giorno in cui questi colori e i tifosi della Reggina hanno incassato un altro duro colpo, ma il calcio in questo caso non c’entra. Nell’area cargo dello scalo aeroportuale lametino, più volte indicato come un grande esempio di ottima gestione e tutela degli interessi del territorio, i manifestanti guidati dal consigliere comunale Massimo Ripepi hanno spiegato le loro motivazioni rivolte alle istituzioni e alla politica. Quella classe dirigente che, secondo loro, ha tradito la città e svenduto l’aeroporto a Sacal, sacrificandolo sull’altare degli interessi di altre città.
Colpe e responsabilità che per Ripepi sono riconducili ad un’unica persona. «Da quando il sindaco Giuseppe Falcomatà ha svenduto l’aeroporto alla Sacal e quindi alla Regione sette anni fa, c’è stato l’inevitabile declino annunciato che ora si è verificato. E noi non possiamo rimanere inermi a questa cosa». Me c’è di più e Ripepi lo avrebbe individuato nei numeri, branditi e mostrati questa mattina. «Il piano nazionale degli aeroporti che i nostri parlamentari dovevano realizzare meglio per Reggio Calabria, prevede uno sviluppo e lo hanno scritto nero su bianco: nel 2035 l’aeroporto di Lamezia avrà 4,8 milioni di passeggeri, quello di Reggio fra 12 anni ne avrà 400mila, quindi l’aeroporto di Reggio è già morto e l’hanno pure scritto».
Da qui il moto “sovranista” dei manifestanti che rivendicano il proprio aeroporto per poter portare quella crescita e quello sviluppo tanto attesi. «Noi non ci stiamo – spiega Ripepi – noi siamo Reggio Calabria e non siamo lo zerbino di nessuno. Utilizzeremo gli strumenti giusti per potere non soltanto protestare ma saremo un gruppo di pressione, lo faremo anche a Roma, lo faremo a Lamezia, a Catanzaro e a Reggio Calabria, lo faremo ovunque. Con questa maglietta perché ci siamo spogliati della nostra appartenenza politica, prima viene Reggio Calabria poi tutto il resto».
Tra le questioni più critiche individuate c’è l’abbattimento di una torretta e lo status di aeroporto “nazionale” e non “strategico” che fa tutta la differenza possibile rispetto allo scalo lametino. «Il Comune di Reggio Calabria che non riesce a fare nulla da 7 anni, doveva solo abbattere una torrettina, 35mila euro di lavoro che in qualunque altro paese l’avrebbero fatto in 2 o 3 ore, qui sono anni e anni che non si riesce ad abbattere. E noi abbiamo la limitazione di 300 metri in meno che non possono essere utilizzati perché il comune di Reggio Calabria non riesce a fare quel poco che può fare». Ma la questione è molto più complessa. «Ormai hanno scritto nero su bianco che l’aeroporto di Reggio sta morendo e morirà definitivamente. Noi su questa cosa non ci saremo né ora né mai».
Rivendicazioni ora proiettate in una dimensione totalmente nuova rispetto a qualche mese fa: lo sviluppo delle due città metropolitane di Reggio e Messina grazie alla possibile realizzazione del ponte sullo Stretto. «Reggio Calabria deve lavorare con la sorella Messina, sono due città metropolitane e al centro c’è l’opera del secolo, il ponte sullo Stretto e quindi è possibile che lo scalo reggino non deve diventare strategico? Siamo noi artefici e il nostro destino, se falliamo falliamo noi. Certamente il nostro cuore non lo possiamo lasciare in un’altra città che legittimamente fa gli interessi propri». E questo «la Regione, e prima gli enti pubblici locali, ce l’hanno scritto nello statuto e cioè devono “perseguire l’interesse del loro territorio”, quindi loro non potevano neanche fare l’interesse nostro perché nel loro statuto si è scritto e devono fare il loro. Purtroppo, la nostra classe dirigente becera e venduta, ha venduto il nostro aeroporto e noi non ci stiamo». (g.curcio@corrierecal.it)
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