LOCRI Un calvario lungo quasi quattro anni. Quattro anni di dolore, dubbi e domande alle quali i familiari di Giuseppe Amante vorrebbero che sia la magistratura a dare una risposta esaustiva. «È difficile vivere con il dubbio che forse non è stato fatto tutto quello che poteva essere fatto per mio padre. Vogliamo la verità». È tanta la sofferenza nello sguardo e nelle parole di Mariangela Amante, figlia del 66enne di Bovalino colpito da un’ischemia nel dicembre del 2019, e morto all’ospedale di Reggio Calabria, dove ha trascorso le ultime ore della sua vita dopo diversi giorni di ricovero all’ospedale di Locri. Proprio sull’assistenza sanitaria fornita all’uomo nel nosocomio della Locride nei drammatici momenti che hanno preceduto la sua morte, la famiglia vorrebbe chiarezza. Circostanze sulle quali la Procura di Locri ha risposto archiviando per due volte il caso.
«Mio padre non era un tipo che si lamentava, quindi già il fatto che ci avesse chiesto di essere portato in ospedale perché aveva dei sintomi ci faceva pensare che stesse davvero male», racconta Mariangela ai microfoni del Corriere della Calabria. La figlia del 66enne parla del malore che lo ha colpito, del successivo ricovero, dei sintomi che andavano via via peggiorando: «È stato prima mandato a casa, gli è stata data una pillolina per la pressione, ma ha continuato a stare male. Lo abbiamo riportato in ospedale perché aveva vomito e un’ipertensione molto elevata. Nonostante sia stato trasferito poi nel reparto di medicina nessun tipo di accertamento diagnostico che potesse andare a verificare quella che era la reale causa del malessere è stato fatto. Mio padre non riusciva a stare in piedi, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Fino a quando poi ha avuto un ulteriore peggioramento. Purtroppo quando mio padre è stato trasferito a Reggio Calabria ormai era troppo tardi. Nonostante le molteplici sollecitazioni ai medici perché potessero velocizzare l’arrivo dell’ambulanza, continuavano a dire che mio padre non era grave». Giuseppe Amante morirà il 12 dicembre 2019, dopo il ricovero in rianimazione, l’ischemia che lo aveva colpito era ormai in fase acuta.
«I suoi sintomi – dice Mariangela – erano molteplici e duravano da molti giorni. Se mio padre avesse avuto un infarto o un ictus o un’ischemia fulminante non avremmo potuto fare molto. Mio padre lo abbiamo portato in ospedale con dei sintomi molto chiari. Forse la diagnosi non è semplice da fare se non si fanno gli esami diagnostici corretti, se una Tac risulta negativa ma il paziente continua a stare male forse bisogna andare su altri esami diagnostici».
La famiglia Amante è convinta si tratti di un caso di malasanità, «una morte causata dalla negligenza medica» e dal ritardo del trasferimento all’ospedale di Reggio Calabria: «Io – afferma Mariangela Amante – so soltanto che ho visto la sofferenza di mio padre, ho visto nei confronti di mio padre non un aiuto concreto in quella che era la sua sofferenza. Se anche ci fosse stato il minimo sospetto di una problematica neurologica doveva essere trasferito con urgenza all’ospedale più vicino».
Nonostante le due archiviazioni da parte della procura di Locri, la famiglia Amante non si ferma. Mariangela assicura di voler andare avanti nella ricerca della verità: «Quello che è successo a mio padre – spiega – non deve succedere a nessun altro. Il diritto alla salute, come qualsiasi altro diritto, non possono essere scambiati come favori. Vorrei tanto credere nella Giustizia e nelle Istituzioni perché non possiamo pensare di non essere supportati dalle Istituzioni, quindi io voglio sperarci. Il nostro appello – conclude Mariangela rivolgendosi alla procura di Locri – è che le istituzioni preposte possano riaprire le indagini». (redazione@corrierecal.it)
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