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“Dipendente fantasma” stipendiato per 15 anni, nessun danno d’immagine per l’Ao. «È stato “trasparente”»

La Corte dei conti sul caso di Scumace. «Non ha fatto credere di essere in servizio». La difesa: «Mai messo in condizione di lavorare»

Pubblicato il: 09/07/2023 – 12:35
“Dipendente fantasma” stipendiato per 15 anni, nessun danno d’immagine per l’Ao. «È stato “trasparente”»

CATANZARO Nessun danno d’immagine per l’Azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio, per il danno patrimoniale si vedrà più avanti. La Corte dei conti ha dichiarato inammissibile una parte della domanda di risarcimento a carico di Salvatore Scumace, assenteista da record. Non ha mai lavorato dal 2005 al 2020 per una serie di incredibili disfunzioni burocratiche. Questo fino al licenziamento e all’inchiesta della Guardia di finanza che ha ricostruito la catena di inefficienze in un caso praticamente unico. 

La difesa di Scumace: «Messo nelle condizioni di non poter lavorare»

Davanti alla magistratura contabile, i legali di Scumace – Giuseppe Pignanelli e Gregorio Viscomi – hanno fatto riferimento a un video dal quale «si evincerebbe che allo Scumace era stata assegnata una stanza completamente vuota, sfornita di scrivania e di strumentazione utile per poter espletare qualsiasi attività lavorativa, solo al fine di mettere a tacere la sua posizione. Questo video conterrebbe un colloquio avvenuto con un’altra persona e dimostrerebbe, secondo i legali, che il “dipendente fantasma” avrebbe «sempre cercato di porre rimedio alla propria situazione ma che, per metterlo a tacere, gli è stata assegnata una stanza vuota». In sostanza, secondo la difesa, «Scumace non avrebbe eluso l’attività lavorativa, in quanto egli sarebbe stato posto nelle condizioni di non poterla svolgere». 

«Scumace trasparente: non ha mai fatto credere che era in servizio»

Materiale destinato a una valutazione anche nel procedimento penale. Per le questioni contabili, sottolineano i magistrati, «l’azione risarcitoria a titolo di danno all’immagine azionata dal pubblico ministero nei confronti dei convenuti viene, pertanto, dichiarata inammissibile non avendo Scumace attestato falsamente la sua presenza in servizio, né in proprio né a mezzo terzi, né ricorrendo a modalità fraudolente. Egli, nella perpetrazione dell’illecito, è stato trasparente: non ha fatto credere che era in servizio; più basicamente non si è mai recato in ufficio». In virtù di questa “trasparenza” i magistrati escludono – con un ragionamento in punta di diritto – il risarcimento per danno all’immagine. Se Scumace si fosse attivato in qualche modo per la falsa attestazione della presenza, il suo comportamento sarebbe stato punibile. Non lo ha mai fatto: semplicemente, non è praticamente mai andato al lavoro. Per il dipendente, al quale «è stato corrisposto per oltre quindici anni lo stipendio benché realmente assente», non si può neppure far «ricadere l’ipotesi risarcitoria azionata neppure nella figura generale del reato in danno della pubblica amministrazione in quanto, come pure è evidente (…) ciò che difetta è il presupposto del giudicato penale di condanna». 

Le responsabilità degli uffici interni dell’Azienda ospedaliera

Venendo invece alla voce di danno patrimoniale, «il Collegio ritiene che – a prescindere dal profilo penale della vicenda – ai fini del giudizio sia centrale accertare, in generale, i motivi per i quali gli uffici dell’Azienda Ospedaliera – negli anni compresi tra il luglio 2005 ed il settembre 2020 – abbiano continuato a pagare lo stipendio a un proprio dipendente pur in assenza di attestazioni di presenza, nonché, in particolare, a chi incombessero i doveri funzionali tesi ad evitare tale evento dannoso (questione potenzialmente rilevante anche ai fini della prescrizione)». Bisogna, in sostanza, «avere contezza del riparto di competenze e responsabilità in merito alla procedura di pagamento della retribuzione mensile, ed ai suoi rapporti (e modalità) con o meno, dalla rilevazione (e con quali modalità) della presenza in ufficio del dipendente assente ingiustificato. Mancando agli atti della causa il regolamento aziendale (ovvero altri atti interni di organizzazione) contenente il riparto delle responsabilità in materia di accertamento delle presenze del personale in servizio in funzione del pagamento della retribuzione, non bastando a questo fine l’Atto Aziendale, se ne rende necessaria l’acquisizione d’ufficio». Uno degli allegati (che sarebbe però «un mero stampato non riconducibile all’Azienda») «intenderebbe provare che, se un dipendente è assente, il sistema non consente la rilevazione dell’assenza, sicché il sistema informativo tramite badge varrebbe solo a calcolare il debito orario del dipendente ma non ciò che qui rileva, ossia il non ingresso sul posto di lavoro». Situazione di difficile valutazione, dunque. Per questo la Corte chiede di «acquisire dall’Amministrazione il regolamento aziendale, con particolare riferimento alla procedura (informatizzata o meno) di rilevazione dell’assenza (nelle diverse ipotesi: giustificata, ingiustificata e occasionale ovvero sistematica) del dipendente in funzione del successivo pagamento dello stipendio, sì da poter stabilire il riparto di competenza e responsabilità degli uffici interni all’Azienda Ospedaliera». (redazione@corrierecal.it)

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