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l’inchiesta

Se il “Sovrano” di una loggia massonica di Catania fa affari nel feudo mafioso del clan Mancuso

I villaggi gestiti da Rapisarda a Nicotera e Briatico e i commenti di un imprenditore indagato. «Mi hanno detto che questi li ha mandati il boss»

Pubblicato il: 09/07/2023 – 6:58
di Pablo Petrasso
Se il “Sovrano” di una loggia massonica di Catania fa affari nel feudo mafioso del clan Mancuso

VIBO VALENTIA «Che Rapisarda conta, Peppe… conta! sennò non veniva nel territorio dei Mancuso e faceva che cazzo voleva!». “Peppe” è Giuseppe Fonti, imprenditore che sarebbe sceso a patti con il clan Mancuso per assicurare alla cosca la continuità della gestione del Villaggio Sayonara a Limbadi. Dall’altro lato del telefono c’è un suo amico di Cittanova che, con qualche ricerca sul web, tira fuori notizie che gli sembrano preoccupanti su Francesco Rapisarda, 80enne imprenditore catanese indagato (al pari di Fonti) nell’inchiesta “Imperium” della Dda di Catanzaro. Rapisarda, per l’accusa, «già in rapporti con la cosca Mancuso per il tramite di Assunto Natale Megna», avrebbe trovato un accordo con il boss Luigi Mancuso «per assicurare e rafforzare gli interessi economici della cosca nel settore turistico-ricettivo sul territorio di Nicotera, ottenendo in cambio la stipula del contratto di locazione con il nuovo proprietario del villaggio Sayonara e l’affidamento in gestione della struttura». Annotazioni giudiziarie tratte dal decreto di fermo firmato dai pm (il procuratore Nicola Gratteri e i sostituti Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Buzzelli) qualche giorno fa.

«Sa di che erba si fa la scopa…»

Nel luglio 2017, Fonti derubrica le preoccupazioni dell’amico. «No, ma qua… ma lui è già a Briatico (…). Il problema è che Rapisarda sai che cosa fa… io, purtroppo non che vivo… sto operando in un territorio… qua purtroppo se esistono questi fattori ambientali, locali, io non è che li posso bypassare». Fenomenologia delle imprese nei territori di ‘Ndrangheta. Con una postilla: «è già a Briatico» significa che Fonti sa che Rapisarda e suo nipote Tino Conti gestiscono un altro villaggio che per i magistrati è «riconducibile alla consorteria Mancuso» e che, in effetti, verrà sequestrato nell’operazione “Costa Pulita”. «Quel villaggio del “Green Garden” – continua Fonti – era di Pino Bonavita… e di un altro capo bastone di quel luogo là… un certo… mi sfugge il nome… Pino Bonavita mi conosco e mi do del tu… e a lui lo hanno arrestato in Polonia (in realtà a Praga, ndr) ‘sto Pino Bonavita». L’assoluzione privata di Rapisarda da collegamenti mafiosi “firmata” da Fonti è motivata così: «Ma non è un… non ha degli addentellati… bensì rispetta il territorio! Magari se quello fa il pane e glielo raccomanda quello “prendi il pane da quello” (…) ‘Sto Rapisarda ha pure un’industria che… fanno lavori metalmeccanici, depuratori quindi… lavora molto in Puglia e anche in Calabria, quindi, bene o male, sa di che erba si fa la scopa! Hai capito?». Metafora chiarissima: ci si adatta alle condizioni ambientali.

«È il capo di tutti i massoni di Catania»

L’amico, tuttavia, non demorde. Google dà risposte che lo inquietano e decide di parlarne nuovamente con Fonti il 6 agosto 2017. Gli consiglia, sintetizzano gli inquirenti, «di stare molto attento a tale personaggio essendo venuto a conoscenza, probabilmente per il tramite di fonti aperte quali internet, delle vicissitudini penali che riguardano proprio Rapisarda».
«O Peppe – dice – io non ti voglio allarmare, ma tu lo sai chi è Rapisarda?». «No», replica Fonti. «Mo’ te lo faccio vedere, hai internet? (…) Scrivi su Google Francesco Rapisarda Catania! A questo lo hanno arrestato l’anno scorso». Davanti all’incredulità dell’imprenditore, l’amico rafforza il concetto: «Questo è il sovrano della Loggia massonica, dell’assieme delle logge massoniche Federico II di Catania». Fonti prova di nuovo a sminuire il risultato della ricerca: «Ed è massone lui allora?!». «No è massone… lui è il capo di tutti i massoni di Catania! Non massone così… poi te lo leggi con calma… tu scusami se ti chiamato però su una notizia del genere Peppe stacci molto, ma molto, attento! Perché ci sono i telefoni sotto controllo… c’è l’ira di Dio! che ha addosso… ma non così, centomila volte peggio di Tonuccio li ha addosso! Sii molto prudente… in tutto quello che dici, come parli… in pratica, secondo l’ipotesi di accusa, questo…». Che Rapisarda sia il «capo di tutti i massoni di Catania» appare un’iperbole. Di certo le notizie trovate su Google si riferiscono a un’inchiesta sui presunti rapporti tra mafia e massoneria a Catania.

L’inchiesta “Brotherhood” e il riferimento al residence Green Garden

In quell’operazione Rapisarda, “sovrano” della Gran loggia massonica Federico II, è stato coinvolto nel 2016. Dapprima prosciolto con formula piena perché «il fatto non sussiste», è stato successivamente condannato in Appello a due anni e otto mesi per turbativa d’asta, quindi non per reati di mafia. Nelle indagini di “Brotherhood” (“Fratellanza”, ndr), c’è anche un riferimento marginale alla Calabria. I magistrati antimafia, infatti, segnalano che Rapisarda avrebbe omaggiato «di un soggiorno gratuito da trascorrere nell’hotel residence “Green Garden Club”» un uomo ritenuto vicino al clan Santapaola. La vicenda processuale dell’imprenditore siciliano ha avuto il suo primo step (con l’assoluzione) nel febbraio 2020 e il secondo (la condanna in Appello) nel giugno 2022. All’epoca delle intercettazioni, dunque, l’inquietudine dell’amico di Fonti pare giustificata.

«Questi qua li ha mandati Mancuso»

Qualche giorno dopo, tra Fonti e sua moglie Teodosia Blasimme (anche lei indagata nell’inchiesta) viene intercettata una conversazione che, per i pm di Catanzaro, «non lascia dubbi sul fatto che la società Cora srl, nelle persone di Francesco Rapisarda e Agatino Conti, sia stata voluta in Sayonara dal boss Luigi Mancuso». Sempre per l’accusa «non può dirsi che Giuseppe Fonti e sua moglie non fossero a conoscenza del legame esistente tra la Cosa srl e Luigi Mancuso». È il 13 agosto 2017 e Fonti fa riferimento alle notizie pubblicate in quei giorni sui media locali riguardo all’arresto di Luigi Mancuso dopo un periodo di irreperibilità. In effetti proprio quel giorno, Mancuso viene fermato a Nicotera dai carabinieri (e sarà scarcerato qualche giorno dopo). La notizia non passa inosservata. Fonti dice alla moglie: «Mo’ lui (Antonio Ranieli, ndr) che cosa mi dice, Tea:… che questi qua li ha mandati questo Mancuso che hanno arrestato oggi, Tea, hai capito?» . «I Rapisarda?!», risponde Blasimme. «Eh! Lui così mi ha detto a me! A me sai chi me li ha mandati?», continua l’imprenditore. «Lui lo ha detto sempre! Quelli che tu non vuoi nominare», replica la moglie.

«Hanno problemi a Briatico perché sono tutti “attaccati”»

Un’altra conversazione – tra Giuseppe e Domenico Fonti e Teodosia Blasimme – spiegherebbe, secondo gli inquirenti, «come Rapisarda (…) stia attraversando un periodo problematico». I problemi «sarebbero riconducibili, in particolare, alle influenze criminali con le quali Rapisarda e Conti debbono convivere per la gestione del villaggio turistico “Green Garden” di Briatico». I due, per la Dda, avrebbero elargito «somme di denaro a rappresentanti della consorteria Mancuso operanti nei territori di Nicotera Marina e Briatico». Giuseppe Fonti, nel dialogo, pare spiegare quale sia il problema: «Venendo a mancare i loro riferimenti della consorteria Mancuso, ovvero Francesco Giuseppe Bonavita e Antonino Accorinti, entrambi tratti in arresto nell’ambito dell’operazione “Costa Pulita”, si stanno facendo strada altri personaggi di natura criminale che starebbero creando problemi». «Le persone di loro riferimento… sono tutte attaccate … vedi Pino Bonavita vedi … hanno problemi a Briatico in quanto sono tutti dentro!…e quindi poi vanno altri e cercano di … e gli stonano la testa!…». Dal “disordine” nascono problemi e agli imprenditori mancano i punti di riferimento. Fonti continua «spiegando ai presenti che, se dovesse essere tratto in arresto Assunto Megna, Rapisarda e Conti dovrebbero far riferimento a Pasquale Gallone», altro uomo di fiducia del boss Mancuso, cioè «quello della Jeep Nera». Un piccolo compendio delle dinamiche mafiose in un’area governata dai clan. Terra che per qualcuno diventa ricca di opportunità seppure si trovi in una regione depressa. Basta sapere di che erba si fa la scopa. (p.petrasso@corrierecal.it)

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