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Il «forte legame» tra Assunto Megna e il clan Mancuso. «Fu lui a riportare a casa Tita Buccafusca»

La vicinanza tra l’imprenditore e la cosca. La donna morirà il 16 marzo 2011, un mese dopo il ritorno a Nicotera, ingerendo acido muriatico

Pubblicato il: 10/07/2023 – 13:02
di Pablo Petrasso
Il «forte legame» tra Assunto Megna e il clan Mancuso. «Fu lui a riportare a casa Tita Buccafusca»

VIBO VALENTIA “Uomo dei due mondi” per la sua capacità di muoversi tra Italia e Argentina ai tempi della latitanza di Pantaleone Mancuso “l’ingegnere”. E anche per il suo ruolo di cerniera tra il clan di Limbadi e gli omologhi Pesce-Bellocco, “padroni” di Rosarno. Assunto Megna è, sulla carta, un imprenditore del settore ittico. Ma – evidenziano i magistrati della Dda di Catanzaro nell’inchiesta “Imperium” – «nei confronti dei suoi interlocutori si manifesta come una persona che possiede il controllo di ogni palmo di territorio, su cui opera manifestando una così precisa conoscenza dei dettagli da non poter essere vito come un qualsiasi cittadino nicoterese». Questioni di famiglia lo legano profondamente al boss Pantaleone Mancuso “Scarpuni”: sposano due sorelle. Il rapporto con “l’ingegnere” invece nasce dal fidanzamento tra uno dei figli di Megna e la figlia del boss. C’è un episodio che testimonia, per gli inquirenti, il «forte legame esistente tra Assunto Megna ed esponenti del clan Mancuso». Un fatto che rientra in una delle tragedie legate al clan, ritenuto «di assoluta rilevanza investigativa» e rievocato nel decreto della Distrettuale antimafia che ha portato al fermo di quattro persone nei giorni scorsi
Accade alle 5 del mattino del 16 marzo 2011 quanto Megna, assieme a uno dei figli, si reca a Catanzaro nella sede del Comando provinciale dei carabinieri per «prelevare e riportare a Nicotera Santa Buccafusca, moglie di Scarpuni che morirà qualche mese più tardi». Erano giorni di grande tensione nel clan; «la donna – sottolineano gli inquirenti – aveva deciso di avviare un percorso di collaborazione con la giustizia e, dopo aver rilasciato le prime dichiarazioni parzialmente verbalizzate e siglate, trascorsa la notte, aveva deciso poi di rinunciarvi chiamando sua sorella (moglie di Megna, ndr) per farsi riaccompagnare a casa».
Tita, così tutti chiamavano e ricordano Santa, era entrata in caserma il giorno prima. E aveva messo subito in chiaro che nella sua famiglia avrebbero fatto di tutto per descriverla come una pazza. «Voglio preliminarmente specificare – disse ai carabinieri – che nella famiglia di mio marito da tempo hanno insinuato che io sia pazza e sicuramente mi aspetto che sosterranno ciò quando apprenderanno la notizia della mia scelta di cambiare vita». Quella scelta, maturata per amore del figlio, non arrivò mai a compiersi. La donna non firmò i verbali e tornò a casa. Un mese dopo, il 16 aprile, fu Pantaleone Mancuso a bussare alla stessa caserma per comunicare ai militari che Tita aveva buttato giù mezza bottiglia di acido muriatico. Morì due giorni dopo, tra atroci sofferenze, su un letto dell’ospedale di Reggio Calabria. Aveva 37 anni. (p.petrasso@corrierecal.it)

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