CATANZARO Sempre più famiglie sono scivolate sotto la soglia minima della sussistenza. A cui si sommano giovani stranieri in transito in cerca di aiuto, genitori fragili e single. Persone che hanno alimentato quella popolazione di “invisibili” che soprattutto al Sud vive in una condizione di marginalità.
Un vero e proprio esercito di nuovi poveri generato dalla striscia di crisi economiche che si sono succedute negli ultimi anni, per ultima quella collegata all’emergenza pandemica e che ancora fa sentire i suoi effetti letali sulle fasce più deboli nel Mezzogiorno più che altrove.
Un mondo parallelo che non riesce ad intercettare neanche quelle minime misure – attivate da una politica sempre meno attenta ai bisogni dei più fragili – per migliorare la propria condizione di vita. Vede come unica sponda per non annegare nell’abisso della deprivazione, quella di rivolgersi ai centri di ascolto della Caritas.
Una situazione che interessa molto da vicino la Calabria, che con un tasso di povertà decisamente più alto della media nazionale, è tra le regioni in cui si è registrato il maggior numero di persone che hanno bussato alle porte delle strutture della Cei presenti sul territorio per avere supporto.
È l’ultimo rapporto, “La povertà in Italia” redatto dalla rete Caritas e diffuso nei giorni scorsi, a descrivere il peggiorare del quadro socio-economico delle famiglie italiane e del Mezzogiorno in particolare. A causa anche, come scrivono nel report gli analisti, «degli strascichi di una crisi pandemica, innestatasi in un tessuto socio-economico già compromesso, che ha prodotto pesanti ripercussioni tutt’ora visibili specialmente nelle regioni del Mezzogiorno».
E i numeri indicano che sono aumentate del 12,5% le persone che si sono rivolte ai centri parrocchiali in cerca di aiuto. Complessivamente in Italia sono stati 255.957 gli assistiti dalla Caritas.
E stando a quei dati, i centri di ascolto o servizi in Calabria hanno garantito supporto a persone con una media più alta che nel resto del Paese. In particolare il numero di persone incontrate è stato pari a 114,5 per cento contro una media nazionale pari a 89,7 per cento per struttura della Caritas.
Un dato che da solo tratteggia la dimensione del dramma che si vive in Calabria e che l’incremento del costo di beni e servizi essenziali dovuti ad un’inflazione galoppante rischia di far peggiorare.
D’altronde, secondo l’ultima relazione della Banca d’Italia, gli effetti più marcati dell’innalzamento dei prezzi hanno interessato soprattutto le famiglie meno abbienti. Ed il motivo è drammaticamente semplice da comprendere: i più poveri hanno un paniere di spesa decisamente meno diversificato.
E così se la parte più ricca del Paese ha avvertito un inflazione pari al 9,9%, in quella fascia di popolazione economicamente fragile il rincaro dei prezzi è stato pari al 17,9%. Un quadro nettamente peggiorato rispetto al 2021 in cui l’innalzamento del costo dei prodotti essenziali era stato del 5,1%.
Segnale anche questo di come il livello di diseguaglianze tra famiglie sia incrementato, finendo per infoltire l’esercito di nuovi poveri.
Leggendo i dati pubblicati dalla Caritas si possono tratteggiare le caratteristiche di quanti vivono nella fascia del bisogno e per questo sono ricorsi ai servizi offerti dai centri parrocchiali.
Stando al report a pesare è il livello di studi conseguito. Così emerge che il 67,7% di chi ha bussato alle strutture della Caritas in Calabria è costituito da persone che sono in possesso al massimo della licenza media. Appena il 5,2% è laureato.
E sono più le donne calabresi a ricorrere ai servizi assistenziali offerti dalla rete della Caritas: il 52,6% contro il 47,4% degli uomini. Inoltre dalla lettura dei dati contenuti nel rapporto, risulta che sono più gli stranieri che gli italiani a chiedere aiuto. Il 54,8% degli assistiti proviene da altri Paesi, anche se il tasso di calabresi aiutati dalla Caritas (44,6%) è più alto della media italiana (39%). Questo a dimostrare che le difficoltà economiche nella regione mordono anche i residenti, rispetto al resto del Paese. E se oltre 4 persone su dieci, assistiti dalla Caritas è senza un lavoro, la povertà colpisce anche quel 16,3% di occupati così come l’8,2% di pensionati, che fanno la fila per ottenere generi di prima necessità da parte delle strutture parrocchiali. Indice del bassissimo salario che quei lavoratori riescono ad ottenere e che non gli garantisce neppure di sfamarsi.
Oltre 9 su dieci ha un domicilio dove dormire, ma non può permettersi beni e servizi.
Ma il dato più drammatico che emerge dal rapporto è rappresentato dal numero di nuovi poveri riscontrato dalla Caritas. Oltre la metà di chi si è rivolto ai centri parrocchiali lo ha fatto nel corso dell’anno per la prima volta. In Italia quel dato si ferma al 45,3%.
Indice di come gli effetti concomitanti dell’innalzamento del costo della vita e magari degli strascichi delle crisi economica scatenata dalla pandemia abbiano influito nella regione più che in altri luoghi.
E se più della maggioranza si è rivolta ai centri per affrontare problemi legati alla povertà economica, c’è un tasso più alto della media nazionale che fa riflettere ed è legato a problemi di salute: il 16% contro la media dell’11%. Segnale dell’elevato tasso di persone che non riesce a garantirsi cure adeguate.
Un quadro decisamente a tinte fosche per la Calabria che indica il peggioramento della situazione socio-economica tra i cittadini e che dovrebbe spingere i decisori politici ad accostarsi ai bisogni principali della popolazione. Non in termini solo di sostegno economico, ma di interventi strutturali per creare le condizioni per generare benessere diffuso sul territorio.
«Aumentare le competenze medie dei soggetti in età lavorativa e raggiungere livelli medio alti di scolarizzazione tra i giovanissimi». È la principale ricetta individuata da Massimo Finocchiaro Castro, professore associato di Scienza delle Finanze all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, per ridurre le sacche di povertà diffuse nella regione. Un quadro socio-economico che, secondo il prorettore della “Mediterranea”, è peggiorato dopo «le crisi che si sono succedute e l’impennata dei prezzi che ha finito per colpire i soggetti più svantaggiati». E sulla strategia da adottare, il docente, invia una proposta: «Dovrebbe crearsi un network istituzionale capace di gestire progetti volti ad incentivare la formazione dei giovani in cerca di prima occupazione e di coloro i quali provano a rientrare nel mondo del lavoro».
Professore, i dati confermano il peggioramento del quadro economico delle famiglie già svantaggiate in Calabria. La crisi innescata dell’emergenza Covid sembra aver colpito soprattutto la regione. A cosa addebita questa situazione?
«L’attuale situazione è figlia di una sequenza di eventi che, per non andare troppo indietro nel tempo, possiamo far partire dalla crisi finanziaria del biennio 2007-2008 innescata dalla bolla speculativa dei cosiddetti “mutui subprime”. Nel 2012 diversi attacchi speculativi hanno creato grossi problemi alle finanze pubbliche di molti paesi europei e principalmente Italia e Grecia. Infine, nel 2020, ha avuto luogo la crisi economica dovuta alla pandemia da Covid-19. In questi casi, purtroppo, i primi a risentire della contrazione del tasso di crescita del Pil, della stretta creditizia da parte delle banche e dalle varie crisi aziendali, che solitamente si risolvono in delocalizzazioni della produzione con licenziamenti e/o cassa integrazione, sono sempre i soggetti più svantaggiati. Ciò accade per svariati motivi, sono i soggetti con minore capacità di risparmio per far fronte a periodi di crisi, soggetti che hanno lavori a tempo determinato o comunque non stabili e quindi i primi a uscire dal mondo del lavoro, sono quelli che con difficoltà riescono ad accedere a prestiti, sono solitamente soggetti a bassa istruzione o con basse competenze e che difficilmente possono tornare ad essere occupati. Inoltre, le regioni che già hanno importanti problematiche di bilancio hanno poco spazio di manovra per intervenire con programmi di assistenza per i soggetti in maggiore difficoltà economica».
E che impatto sta avendo l’inflazione sui contesti già particolarmente disagiati calabresi?
«L’inflazione ha giocato un ruolo molto importante nel determinare l’attuale situazione economica. Dal 2013 al 2020 l’inflazione in area euro non è mai andata sopra il 2% dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo. Ad una prima lettura, può sembrare un risultato positivo ma in realtà non è così. Abbiamo vissuto anni in cui l’inflazione è stata prossima allo zero o in alcuni anni con valore medio negativo. Ciò implica una forte contrazione della domanda di beni e servizi da parte delle famiglie che, per paura delle crisi finanziarie, hanno preferito, quando possibile, detenere moneta in forma liquida. Questa scelta comporta una contrazione della produzione delle imprese e quindi una riduzione del personale per cercare di limitare i costi in assenza di ordinativi. A tale effetto ha anche concorso la massiccia immissione di moneta da parte della Bce per provare a stimolare la domanda. Tuttavia, la reazione degli agenti economici non è stata quella sperata e la contrazione della domanda si è fatta sempre maggiore. Come sempre la prima reazione alle crisi finanziare parte dagli Usa dove la Fed ha deciso di iniziare ad innalzare il tasso di interesse per invertire la spirale inflazionistica al ribasso. Dopo qualche mese, anche la Bce ha adottato la stessa politica monetaria ed ha innalzato il tasso di interesse facendo balzare l’inflazione da 1,9% del 2021 all’8,7% del 2022. Gli effetti di tale scelta sono un aumento dei beni di consumo ed un aumento dei mutui a tasso variabile che, in maniera avventata, sono stati scelti da molti nel periodo di bassa inflazione. Purtroppo, a tale aumento non ha fatto seguito un almeno pari aumento dei salari la cui variazione è rimasta ben al di sotto dell’aumento inflattivo portando ad un salario reale più basso. Appare quindi scontato che a subire maggiormente gli effetti negativi dell’andamento dell’inflazione siano stati i soggetti più svantaggiati che hanno visto diminuire il loro salario reale ed aumentare il costo del credito».
I numeri indicano che a soffrire sono anche famiglie calabresi in cui ci sono componenti cha lavorano. C’è un problema anche di bassi salari?
«Sicuramente vi è un importante problema di salari bassi e lavoro precario che non permette di resistere al balletto del tasso di inflazione. Una diminuzione del salario reale, in altre parole del potere di acquisto, mette in difficoltà anche quelle famiglie in cui almeno un componente risulta occupato. Come detto prima, solitamente queste sono anche famiglie in cui il tasso di risparmio è molto basso e il reddito viene quasi interamente utilizzato per spesa corrente. Negli ultimi tempi, purtroppo, si assiste ad offerte salariali molto basse anche nei confronti di soggetti con livelli di istruzione medio-alti causando da un lato la disillusione nei confronti dell’attività di formazione e dall’altro lato, per chi lo può fare, la ricerca di un lavoro appagante in altre regioni o nazioni».
Ritiene che con l’eliminazione del reddito di cittadinanza il quadro delle famiglie meno abbienti calabresi possa peggiorare?
«L’analisi degli effetti dell’eliminazione del reddito di cittadinanza è molto complessa e, ovviamente non abbiamo ancora i dati da studiare. Sicuramente, si è visto che il reddito di cittadinanza non ha dato i risultati attesi in termini di reinserimento nel mercato del lavoro, principale obiettivo del provvedimento. Si è fatto finta di non saper prevedere i comportamenti di molti che hanno rinunciato a lavori con salario uguale o di poco superiore al reddito di cittadinanza in cambio di maggiore tempo libero o di lavori non regolari. E dire che il cosiddetto “trade-off” fra lavoro e tempo libero lo spieghiamo al primo anno del corso di laurea triennale in Scienze Economiche… Senza dubbio è necessario un valido strumento assistenziale che permetta di sostenere le famiglie in difficoltà, specialmente in regioni, come la Calabria, in cui il mercato del lavoro è in grande affanno. Il reddito di cittadinanza ha permesso loro di passare indenni i difficili anni della pandemia ed al tempo stesso li ha “abituati” ad un sostegno economico che difficilmente può essere soppresso tout court».
Quali strumenti ritiene utili per cercare di ridurre le sacche di disagio in Calabria?
«Da docente universitario ritengo che il primo strumento sia sempre quello della formazione. Aumentare le competenze medie dei soggetti in età lavorativa e raggiungere livelli medio alti di scolarizzazione sono, a mio avviso, fondamentali per sperare di migliorare la condizione economica di contesti in difficoltà. Maggiori competenze, specialmente negli ambiti maggiormente richiesti dal mercato del lavoro, rendono i lavoratori più attraenti agli occhi delle imprese e con maggiore potere negoziale in termini stipendiali. In questo modo, si potrebbe anche riuscire a diminuire la quota di soggetti che possono accedere solo a lavori precari o mal pagati, garantendo loro stabilità economica ed uno stile di vita migliore. Abbiamo al momento una grande opportunità con i fondi del PNRR, tuttavia, manca specialmente nelle regioni meridionali un numero adeguato di persone formate ad hoc e capaci di presentare progetti efficaci e seguirne l’iter fino alla completa rendicontazione».
E sotto questo profilo cosa potrebbe metter in campo la Regione?
«La Regione è un attore fondamentale nel quadro economico-sociale calabrese. Dovrebbe crearsi un network istituzionale capace di gestire progetti volti ad incentivare la formazione dei giovani in cerca di prima occupazione e di coloro i quali provano a rientrare nel mondo del lavoro. Un network che veda insieme sia le Istituzioni sia le associazioni di categoria per delineare le figure professionali richieste e le modalità di maturazione delle competenze necessarie per concorrere a tali posti. Ritengo che il periodo dei contributi assistenziali a pioggia sia ormai finito e non riproponibile se non altro per la mancanza di fondi pubblici. Bisognerebbe ribadire in maniera decisa che senza un’adeguata formazione e lavoro sono un binomio indissolubile, specialmente in presenza di un fertile capitale umano come quello calabrese». (r.desanto@corrierecal.it)
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