RENDE «Forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione locale, nonché il buon andamento e il funzionamento dei servizi con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica». La relazione del ministero dell’Interno al Presidente della Repubblica ha – non può essere diversamente – un incipit burocratico. E spiega tempi e modi dello scioglimento del consiglio comunale di Rende. Se l’inchiesta “Reset” della Dda di Catanzaro apre, di fatto, le porte del municipio alla Commissione d’accesso, i suoi membri certificano la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi». Una conclusione tremenda, che segna la storia del città d’oltrecampagnano. Le indagini sul sindaco sospeso Marcello Manna, le accuse dell’antimafia al primo cittadino («l’esistenza di duraturi contatti tra il sindaco e membri apicali della criminalità organizzata, tradottisi in un patto di scambio elettorale politico-mafioso»), il coinvolgimento dell’ex assessore Munno sono soltanto alcuni degli elementi che hanno convinto il prefetto prima e il governo poi a insediare i commissari per riportare la gestione dell’ente nell’alveo della legalità.
«Le risultanze investigative – si legge nella relazione firmata dal ministro Piantedosi – evidenziano in primo luogo il ruolo svolto dal sindaco e dal predetto ex assessore comunale nel richiedere, direttamente o indirettamente tramite intermediari, ad alcuni esponenti di cosche di ‘ndrangheta il sostegno elettorale, assicurando loro come contropartita l’affidamento della gestione di un impianto sportivo comunale e dei servizi ad esso connessi». Si tratterebbe del Palazzetto dello Sport di Rende. Rispetto alla vicenda, le «evidenze investigative» avrebbero poi «trovato conferma nell’azione ispettiva della commissione d’indagine, la quale ha potuto verificare che l’appalto è stato aggiudicato a una ditta il cui titolare è legato, per rapporti parentali, con esponenti di spicco della cosca locale», in particolare al clan Di Puppo. È uno dei nodi che ha portato allo scioglimento. E la relazione prefettizia «sottolinea che in quel procedimento “la condotta dell’Amministrazione comunale fosse, sin dalla fase genetica del bando, così come nel corso della procedura di gara, preordinata a tale esito”». La gara avrebbe visto «la partecipazione di sole due società» e «nonostante alcune irregolarità della documentazione presentata, che avrebbero potuto determinare l’esclusione di entrambe, ha trovato, invece, la sua conclusione con l’affidamento del bene comunale alla succitata ditta, la quale, peraltro, come sottolinea l’organo ispettivo, non risulta aver sottoscritto la domanda di ammissione ed era addirittura priva del requisito preferenziale dell’affiliazione da almeno cinque anni a federazioni sportive, requisito previsto nel regolamento comunale di gestione degli impianti sportivi del 2017 non inserito nel bando di gara, requisito posseduto peraltro dall’altra partecipante alla gara».
Non sarebbe, questo, l’unico «comportamento di chiaro favore mostrato dal Comune di Rende nei confronti» dell’imprenditore. Altra segnalazione: «il gestore del bene comunale avrebbe dovuto effettuare sull’impianto sportivo degli interventi migliorativi proposti in sede di gara. Ciò non è avvenuto – si legge ancora nella relazione – in quanto è stata, invece, avanzata una proposta tecnica difforme da quella preventivata, proposta che, è emblematico, il comune ha autorizzato senza effettuare la dovuta istruttoria e senza presentare le prescritte garanzia fideiussorie nonostante l’aggiudicatario fosse moroso per più mensilità e in mancanza di una valutazione tecnica di quanto eseguito». I lavori sarebbero inoltre stati riconosciuti e scorporati «retroattivamente dai canoni concessori adottando una deliberazione di giunta comunale emessa lo stesso giorno della richiesta avanzata dal gestore dell’impianto. E’ al riguardo significativo che solo dopo l’insediamento della commissione d’accesso, la ditta affidataria del bene ha presentato al Comune le fatture dei lavori dichiarati, e solo nel novembre 2022 la stessa ha provveduto a pagare i canoni relativi ai mesi di ottobre-dicembre 2021. A tutto ciò si aggiunge che il comune di Rende non ha effettuato alcuna verifica antimafia sulle imprese esecutrici dei lavori asseritamente realizzati dal concessionario».
È il prefetto di Cosenza a chiudere il cerchio evidenziando che «il lavoro della commissione d’accesso, “fa emergere una coerente rispondenza dell’azione politico-amministrativa, portata avanti dall’Ente nella vicenda dell’affidamento della gestione del Palazzetto dello sport, con gli impegni pre-elettorali assunti verso importanti componenti della criminalità organizzata”». (redazione@corrierecal.it)
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