Ultimo aggiornamento alle 17:42
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

il gruppo presta

“Valle dell’Esaro”, l’accusa ritiene concreta l’esistenza di una associazione criminale

Nella sua requisitoria, il pm della Dda Alessandro Riello parla di «bacinella», «stipendi» e di un «gruppo unito a prescindere dai reati commessi»

Pubblicato il: 20/07/2023 – 7:25
di Fabio Benincasa
“Valle dell’Esaro”, l’accusa ritiene concreta l’esistenza di una associazione criminale

COSENZA Sono pesantissime le richieste di pena invocate, ieri, dal pubblico ministero della Dda di Catanzaro Alessandro Riello al termine della requisitoria nell’ambito del procedimento scaturito dall’operazione “Valle dell’Esaro” (qui le richieste di condanna). L’attenzione del pm – che ha depositato anche una ampia sintesi della propria discussione – si è concentrata sulla natura della presunta associazione con l’attività di indagine volta ad effettuare l’accertamento incidentale della natura associativa del gruppo al cui vertice ci sarebbe Antonio Presta, per il quale sono stati chiesti 30 anni di carcere. Un gradino sotto, il fratello Roberto Presta oggi pentito e fondamentale nel contribuire a ricostruire gerarchie, ruoli, attività illecite, business e territorio di competenza del presunto clan. Che – giova ricordarlo – ancora non è giuridicamente riconosciuto. Nella ricostruzione effettuata nel corso della lunga requisitoria durata quasi 4 ore, il pm Riello ha citato alcuni elementi che certificherebbero l’esistenza di una associazione criminale. La presenza di soggetti stipendiati, come sostenuto nel corso della sua deposizione dal collaboratore di giustizia Roberto Presta. «Gli stipendi erano da 1000 a 1500 euro al mese e il resto veniva reinvestito. Io lo prendevo saltuariamente e mio fratello decideva a chi concederlo».
Altro elemento significativo per l’accusa è la presenza della bacinella, la casa comune. «Acquistavano cocaina o erba da noi ad un prezzo e la vendevano ad un altro e poi avevamo la “bacinella” dove finiva tutto il guadagno della droga e con quei soldi si pagavano gli stipendi. Se c’era da fare un affare per l’acquisto di un immobile venivano usati quei soldi», ha sostenuto il pentito.
Riello poi dedica un passaggio alla droga, vero core business del presunto gruppo criminale. «Il Gruppo risulta unito non solo per via della commissione di reati in materia di stupefacenti. La droga non è oro, lo diventa nel momento in cui c’è qualcuno disposto ad acquistarla», sostiene il pm che dopo una lunga premessa e prima di pronunciare la richiesta di condanna, annuncia la necessità di «estendere l’aggravante anche a coloro i quali non sono parte della cosca».

La figura cardine di Roberto Presta

Fratello di Antonio Presta e vice capo del clan, Roberto Presta ha deciso di pentirsi in un periodo successivo all’udienza preliminare del processo “Valle dell’Esaro”. Da quel momento, per l’accusa, sarebbero emersi ulteriori elementi costitutivi della cosca. «Roberto Presta non si è pentito a costo zero – sottolinea il pubblico ministero della Dda di Catanzaro nel corso della requisitoria – ma ha accusato suo fratello e altri membri del proprio nucleo familiare. E inoltre soggetti a lui vicini, come Mario Sollazzo (anche per lui è stata invocata una pena a 30 anni di reclusione). Il nome di Sollazzo viene associato, dal pm, alla «ormai famosa Mercedes “Classe B”» con a bordo Roberto Presta e lo stesso Sollazzo intercettati da una cimice installata dagli investigatori e divenuta «fondamentale orecchio» per chi indaga. Secondo il collaboratore di giustizia: «le persone dotate di potere decisionale all’interno dell’associazione erano mio fratello Antonio Presta e mio nipote Giuseppe Presta, cui aggiungo Francesco Ciliberti (sposato con la figlia di Franco Presta). Subito dopo ci sono io che opero in stretto contatto con Mario Sollazzo». 

Il «fornitore riggitano»

C’è un nome che spesso viene citato nella requisitoria pronunciata dal pubblico ministero dinanzi il tribunale di Cosenza, in composizione collegiale. E’ Antonio Giannetta, per il quale è stata invocata una pena a 22 anni di carcere. Quest’ultimo viene indicato dall’accusa come «pluripregiudicato di Oppido Mamertina» e «fornitore di stupefacente». A tratteggiare il suo profilo è stato il pentito Roberto Presta. «Acquistavamo circa un chilo di cocaina al mese e Giannetta detto “il riggitano” veniva una o due volte al mese sia per trasportare la polvere bianca che per riscuoterne i pagamenti. La roba la trasportava in auto, abilmente nascosta nel cruscotto». Anche se lo stesso collaboratore avrà modo di precisare che «vi erano altri fornitori di cocaina oltre a Giannetta, tutti della provincia di Reggio Calabria, ma io non li ho mai visti». Alle accuse ed alle richiesta di pena avanzate, risponderanno i legali difensori degli imputati. Le discussioni sono previste nei mesi di settembre e ottobre 2023.

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x