REGGIO CALABRIA Un costo lievitato, passato dai 5 miliardi stimati nel 2001 ai 13,5 dichiarati nell’attuale progetto tecnico. E una spesa per consulenze e studi che già si aggira intorno a un miliardo. Le questioni economiche che gravitano attorno al Ponte sullo Stretto fanno discutere da settimane. Da quando, cioè, l’idea si è riaffacciata sulla tribuna politica, raccogliendo al solito critiche e consensi. L’ultimo blitz di Goletta Verde ha sottolineato l’enorme sproporzione tra l’investimento previsto e un sistema viario molto precario nelle due regioni che il Ponte unirà. E dalle colonne del Corriere della Calabria anche don Luigi Ciotti ha messo in evidenza le perplessità del movimento antimafia. Soldi, impatto ambientale, rischio di infiltrazioni mafiose: tre leve per chi chiede un passo indietro al governo sull’opera. Il quotidiano Domani sottolinea un altro genere di interessi dietro la realizzazione dell’infrastruttura. Sono quelli della Difesa – italiane ed europea – e della Nato. «L’opera – si legge – infatti dovrebbe rientrare nel Trans-European Transport Network, progetto di mobilità europea pensato per migliorare i collegamenti all’interno dell’Unione anche in un’ottica militare e di cui fa parte, in Italia, anche la Tav Torino-Lione». In effetti uno dei problemi più volte sottolineati dalla Nato è proprio quello della mobilità: «ponti che non riescono a reggere il peso dei mezzi militari, paesi con collegamenti interni carenti, infrastrutture ormai vetuste o scartamenti delle linee ferroviarie diversi sono tutti elementi che rallentano il dispiegamento delle forze in tempi rapidi». Non è un segreto che il governo punti su questo aspetto.
Il governo Meloni, nella relazione presentata il 31 marzo specificava come il ponte sullo Stretto costituisce «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale». Il ponte infatti – spiega Domani – dovrà servire a connettere in modo più effi ciente le basi della US Navy di Sigonella e Napoli, ma in generale renderebbe più agevoli i collegamenti tra le sedi militari Nato che si trovano su tutto il territorio italiano».
Il quotidiano di De Benedetti passa poi all’analisi delle precedenti esperienze delle aziende coinvolte per mettere in luce il legame con il mondo bellico. A partire da WeBuild (ex Impregilo Salini), azienda a cui era stato affidato il progetto vent’anni fa e che chiede adesso alla società Stretto di Messina, al ministero dei Trasporti e alla presidenza del Consiglio danni per 700 milioni. «WeBuild – scrive Domani – però non ha esperienza solo nel settore civile: nel suo portfolio sono presenti i lavori per l’ammodernamento dell’aeroporto militare di Capodichino, la costruzione della tratta dell’alta velocità Novara-Milano e del passante autostradale di Mestre. Queste ultime due opere, proprio come il ponte, sono utili per collegare le basi americane nel nord-est italiano».
Nel progetto compare anche la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna – CMC, «che si è occupata a lungo del potenziamento infrastrutturale di Sigonella, della costruzione delle infrastrutture per ospitare i militari americani nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza e anche di una parte della Tav, opera ugualmente strategica sotto il profilo militare». La Società italiana condotte d’acqua «tra le altre cose ha realizzato un hangar di rimessaggio e alcuni fabbricati nella base elicotteri dell’Aviazione dell’esercito di Lamezia Terme e gli edifici per la Scuola allievi Carabinieri di Reggio Calabria». (redazione@corrierecal.it)
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