È il 29 ottobre del 1995 e in un campo di calcio della provincia di Reggio Calabria si sta disputando una partita del campionato di Promozione tra il Gioiosa Jonica e il Bocale. A pochi minuti dalla fine, un fallo di gioco piuttosto duro porta il direttore di gara a decidere per l’espulsione del capitano del Gioiosa. Il numero due si vede alzare davanti agli occhi il cartellino rosso. Quel calciatore è Luigi Coluccio, leader assoluto della sua squadra nonostante la giovanissima età, 23 anni.
Tre giorni dopo, esattamente il primo novembre, Luigi si trova in contrada Sant’Antonio di Gioiosa. È notte fonda, sta abbassando la saracinesca del suo bar ristorante “La Lanterna” per tornarsene a casa. Non può sapere e neanche immaginare che proprio in quel momento alle sue spalle, dietro una siepe, sono nascosti due killer che hanno ricevuto l’ordine di ucciderlo. Ed è proprio così che quegli uomini lo uccidono, senza guardarlo negli occhi, senza farsi guardare negli occhi. Con un fucile a canne mozze calibro 12: cinque colpi che raggiungono Luigi in ogni parte del corpo, compresa la testa. La morte è istantanea. Un’esecuzione eclatante, in grande stile, senza pietà. Per far comprendere a tutti che chi osa ribellarsi al potere delle cosche locali, non avrà scampo, farà una fine tragica.
Ma perché si è arrivati a tanto? Perché quella sentenza disumana? Perché annientare la vita di un ragazzo perbene, conosciuto e apprezzato da tutti in paese, o almeno dalla parte buona di una comunità che con la ‘ndrangheta e le sue regole è costretta a conviverci da sempre?
L’11 novembre del 1995, Alessandro Bergamo, deputato e odontoiatra di Scalea, nel cosentino, eletto nelle file di Forza Italia, presenta in Parlamento una interrogazione ai ministri della Difesa e dell’Interno. «In Calabria – afferma – vi è una forte e sanguinosa recrudescenza del fenomeno mafioso-criminale che ha causato tra diversi omicidi nelle ultime settimane, l’assassinio di un giovane, Luigi Coluccio di Gioiosa Jonica, commerciante e calciatore della locale squadra militante nel campionato di Promozione. Il delitto ha suscitato molta apprensione in tutta la regione per come è stato realizzato l’agguato e per i diversi tentativi di intimidazione perpetrati in precedenza alla famiglia del povero Luigi Coluccio. Già in precedenti interrogazioni parlamentari – continua Bergamo – richiamavo l’attenzione dei ministri su alcuni episodi di violenza e intimidazioni effettuati ai danni di imprese private che operano nel settore degli appalti pubblici e proponevo il potenziamento e l’estensione dei militari presenti su tutto il territorio calabrese; ancora oggi non ho ricevuto alcuna risposta».
Ma è ciò che accade il 4 novembre, a far piombare il gelo sulla vicenda: il giudice sportivo della Lega nazionale dilettanti squalifica per una giornata Luigi Coluccio. La colpa è di quell’espulsione giunta nei minuti finali della partita contro il Bocale. E non importa se Luigi, il responsabile del fallo da cartellino rosso, è stato ucciso tre giorni prima, non importa se è morto. Quella è una questione burocratica, sportiva, niente di più. A rivelarlo è il presidente del Comitato regionale della Lnd che parla di «sospensione inevitabile» visto che il referto dell’arbitro era stato consegnato prima della tragedia. Quella squalifica, anche se ormai non potrà essere scontata, alla fine del campionato, spiega il presidente, potrebbe risultare determinante per decretare i vincitori del premio fair play e le conseguenti retrocessioni in Prima categoria.
Ma quella squalifica non va proprio giù ai compagni di squadra di Luigi. La ritengono ingiusta, insensata, come l’ennesimo colpo di fucile sparato contro il corpo martoriato del ragazzo. La società del Gioiosa Jonica, ancora scossa, chiede ed ottiene che la partita in trasferta contro il Sambatello, in programma domenica 5 novembre, venga rinviata al 9 novembre. Quel giorno è un giovedì e si gioca sul neutro di Bagnara Calabra per la squalifica dell’impianto della squadra di casa. L’ingresso in campo dei 22 è silenzioso, una sorta di corteo funebre che raggiunge a testa bassa il centrocampo. I calciatori, in segno di lutto, hanno una fascia nera intorno al braccio e tra i titolari del Gioiosa nessuno indossa la maglia numero 2, quella del capitano. È rimasta negli spogliatoi, non dev’essere toccata, è stato deciso così. Al posto di Luigi Coluccio c’è un altro terzino, il numero 14, e se la Lega non capirà neanche stavolta, è un suo problema e di nessun altro.
Di quella partita non ci sono ricordi nitidi, neppure quello del gol vittoria del Gioiosa Jonica, arrivato al 90’. Le cronache dell’epoca, descrivono i volti dei calciatori che non esultano e indicano il cielo.
Con il passare del tempo, le indagini e le domande degli inquirenti si sprecano, allargano le ipotesi, fino a diventare banali, ingenue, forse persino inutili. Fino quasi a dissolversi. Perché la risposta è una sola: Luigi Coluccio, a differenza della maggior parte delle persone che lo circondano, non ha chinato la testa di fronte all’arroganza delle cosche di Gioiosa Jonica. Proprio come la sua famiglia che in quel territorio opera da sempre nel campo del commercio.
Pasquale, il padre di Luigi, era stato il titolare del Cora, un supermercato ex affiliato Standa. L’8 dicembre del 1994 la sua struttura aveva subìto un gravissimo attentato incendiario. L’esplosione venne sentita in tutto il paese. Andando indietro nel tempo, si arriva al 27 maggio 1993, anno in cui, in un agguato, rimase ferito al braccio Salvatore Coluccio, fratello di Luigi. Nel 1992 a Siderno venne devastata la paninoteca “Harmony”, di proprietà di Rocco, l’altro fratello di Luigi.
L’intento era chiaro: distruggere e demoralizzare i diretti interessati, per costringerli a piegarsi alla legge non scritta del racket delle estorsioni. Ma i Coluccio si sono sempre rifiutati di adeguarsi a quel sistema balordo. Alla fine, però, Salvatore, insieme a buona parte della famiglia, lasciò la Calabria per trasferirsi nel nord Italia. Di tutte le attività commerciali dei Coluccio, rimase in piedi soltanto il bar ristorante “La Lanterna”. Almeno fino a quella drammatica notte del 1995.
Negli anni successivi, al termine dell’inchiesta della magistratura, il processo sulla morte del giovane calciatore-commerciante celebrato in Corte d’Assise al tribunale di Locri, ha portato all’assoluzione (sentenza poi diventata definitiva), di un presunto concorrente all’omicidio. Nessun processo, invece, per il presunto mandante dell’agguato: poco prima dell’avvio del dibattimento, è stato a sua volta assassinato.
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