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inchiesta “malea”

«Il cornuto non mi ha detto nulla». Le “soffiate” del poliziotto e il risentimento del presunto boss di Mammola

Nelle carte dell’inchiesta “Malea” i rapporti tra il sovrintendente finito ai domiciliari Domenico Sità e Rodolfo Scali

Pubblicato il: 25/07/2023 – 17:18
di Giorgio Curcio
«Il cornuto non mi ha detto nulla». Le “soffiate” del poliziotto e il risentimento del presunto boss di Mammola

REGGIO CALABRIA Buoni rapporti mantenuti, forse, per il quieto vivere o forse per un vero e proprio concorso esterno. Un contributo significativo garantito per timore e per evitare ritorsioni, viste anche le origini comuni, o peggio perché pienamente inserito nel locale di ‘Ndrangheta. È da questi interrogativi che gli inquirenti descrivono il coinvolgimento del sovrintendente della Polizia di Stato, attualmente in servizio presso il Commissariato di Polizia di Siderno, Domenico Sità, classe 1974 finito ai domiciliari, nella cosca capeggiata da Rodolfo Scali, classe ’65, finito in carcere. Ed è al contempo uno dei punti salienti dell’inchiesta “Malea”. L’operazione, coordinata dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata dal Procuratore Giovanni Bombardieri, ha portato all’arresto di 12 persone e, soprattutto, a svelare per la prima volta – almeno in fase cautelare – l’esistenza l’operatività di una vera propria cellula mafiosa a Mammola, piccolo centro dell’area jonica reggina. Quello che gli inquirenti ritengono sia il boss, Rodolfo Scali, è già stato coinvolto in passato nelle indagini “Prima Luce”, “Crimine” e “Minotauro”.

Le “soffiate” al presunto boss

Rodolfo Scali, in diverse conversazioni intercettate dagli inquirenti e finite nelle pagine dell’ordinanza firmata dal gip Antonino Foti, parla del poliziotto Sità, soprattutto al passato. Perché c’è un evento che, più di tutti, ha segnato una sorta di frattura nei rapporti o comunque un significativo allontanamento. «(…) il cornuto, quando… non succede nulla, passava e diceva: vedi che non gli dicono nulla. Quando c’era l’operazione (…) lo sapevi che c ’era il nome mio li, sì, venti giorni prima, e non sei venuto a dirmi nulla». «L’ho portato, l’ho portato da amici, se ne va da lì, mi manda una ‘mbasciata che se ne va; poi si presenta con i Carabinieri, con la Polizia (…) ha chiamato la Polizia per andarlo a prenderlo, e non mi dici nulla! Ma stiamo coglioneggiando Do’?». A parlare è il presunto boss del locale di Mammola, Rodolfo Scali, insieme ad un tale Domenico. La conversazione telefonica intercettata – secondo gli inquirenti – è evidentemente riferita ai rapporti con Sità e «al risentimento nutrito da Scali nei suoi confronti, perché non gli avrebbe detto nulla dell’operazione “Crimine”» che poi ha portato proprio all’arresto di Rodolfo Scali. In un’altra conversazione intercettata il 2 febbraio 2017, Scali insieme ad altri due interlocutori faceva riferimento alla presenza insistente di forze dell’ordine a Mammola, senza capirne la ragione. E, anche in questo caso, citava Domenico Sità. «Eh, non so cosa stanno facendo» dice il presunto boss «Comunque qualche cosa fanno…». «E sono in borghese che vanno girando… ed alla Marina ho visto Domenico che si è fermato a salutare a me» dice uno degli interlocutori, con Scali che replica: «Minchia quanto si è fatto, una palla si è fatto…».

Le parole del pentito Ciccia

Del sovrintendente della Polizia di Stato ne ha parlato anche un collaboratore di giustizia, Antonio Ciccia, e lo ha fatto in un interrogatorio del 22 settembre 2015 davanti ai magistrati della Dda di Torino. Ciccia le informazioni le aveva apprese durante le ore di socialità con gli altri detenuti nel carcere di Torino e, tra queste notizie, dice anche di aver saputo da Rodolfo Scali, scrive il gip nell’ordinanza, che un appartenente alle Forze di Polizia originario di Mammola informava Scali delle attività di Polizia quali perquisizioni o arresti, facendo il nome di questi, ovvero Domenico Sità.  «Scali – dice Ciccia ai magistrati – riferiva che a Mammola erano molto informati circa te operazioni di polizia che interessavano il loro paese. A dire di Scali, tala Domenico Sità che faceva servizio a Siderno ed originario di Mammola, anticipava le operazioni di perquisizioni o di arresto che interessavano personaggi di Mammola. A dire di Rodolfo Scali, questo carabiniere (poliziotto ndr) faceva questo per paura ed in alcune occasioni lo stesso Scali lo aveva percosso prendendolo a calci».

Le indagini della Dda di Torino

Queste le annotazioni della polizia giudiziaria reggina. Ma, a fornire ulteriori elementi a carico di Domenico Sità è l’ufficio di Procura della Dda di Torino. Da quanto è emerso dall’informativa della Squadra mobile della Questura del capoluogo piemontese, infatti, l’esponente della Polizia di Stato «si sarebbe prestato a fornire informazioni riservate a Domenico Panetta, indagato e successivamente imputato per il reato di associazione mafiosa, ottenendo in cambio vantaggi economici». Sità, inoltre, «sarebbe stato sempre al servizio di Panetta, ed avrebbe asservito il suo Ufficio all’utilità dell’indagato». Emblematici per gli inquirenti i contatti tra i due, ad ottobre 2015, quando proprio Panetta sarebbe partito in aereo da Torino per arrivare nel Reggino. Uno scambio di messaggi tra il 23 e il 24 ottobre 2015 per organizzare un incontro che, solo l’improvvisa indisponibilità di Sità, all’epoca assistente capo della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di Siderno, non avveniva. «Dottore scusatemi ma io stanotte ho avuto la febbre quindi oggi non e la faccio a vedervi, quando tornate la prossima volta? Così ci vediamo». Il 29 ottobre 2015 Panetta torna a Reggio Calabria e, due giorni dopo, gli inquirenti intercettano una conversazione in cui informava Sità di tutte le controversie con il nipote Domenico Macrì. (g.curcio@corrierecal.it)

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