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«I mammolesi in Lussemburgo o sono con noi… o muoiono». La diaspora dei clan per evitare una guerra di ‘ndrangheta

Le parole dei pentiti sui «rapporti particolari» il centro della Jonica e il cuore dell’Europa. Il referente all’estero che «(non) lavora per la forestale». La diaspora dopo il delitto Macrì e la “…

Pubblicato il: 26/07/2023 – 6:56
di Pablo Petrasso
«I mammolesi in Lussemburgo o sono con noi… o muoiono». La diaspora dei clan per evitare una guerra di ‘ndrangheta

REGGIO CALABRIA Un esodo forzato, deciso dal capoclan per evitare una faida dopo l’omicidio di Isidoro Macrì negli anni 80. È così che sarebbe nata, secondo il racconto di un pentito, la “filiale” del clan di Mammola in Lussemburgo. Un distaccamento con una certa autonomia operativa ma sempre legato alle scelte insindacabili della cosca “madre” con sede nel piccolo centro della Jonica. Schema classico che fa riferimento oggi al presunto boss Rodolfo Scali, un nome che compare da anni negli atti giudiziari. Quel nome lo fa anche “Micu Mc Donald” che conosce Scali e lo definisce «il capo locale di Mammola». «Che fosse il capo locale – spiega ai magistrati della Dda di Reggio Calabria il 10 maggio 2021 – me lo disse lui stesso e ricordo avesse un buon ruolo anche nella Provincia, oltre che nel locale». A Scali, secondo il pentito Domenico Agresta «bisognava dare conto anche nella locale di Cuorgnè, per il ruolo che aveva nella Provincia». “Micu” racconta da anni i misfatti della ‘Ndrangheta al Nord. Da Volpiano, “la piccola Platì”, a Buccinasco, periferia di Milano dove i clan della Locride più profonda fanno affari da decenni. Per quanto il “locale” di Mammola non fosse fino a oggi “censito” ufficialmente, Agresta parla del suo capo come di un uomo di rispetto. I suoi verbali sono confluiti nell’inchiesta “Melea” della Dda di Reggio Calabria, coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo. 

«Tra Mammola e il Lussemburgo ci sono rapporti particolari»

Domenico Agresta

«Ho saputo – ricorda il pentito – che anche lui aveva la dote di Padrino, ma credo che abbia avuto anche doti superiori, che però io non potevo conoscere. Mio padre Saverio mi riferiva di avere la dote della Corona e credo che Rodolfo Scali a Mammola abbia una dote inferiore a quella di mio padre. Sicuramente ha una dote superiore alla mia, che è quella di Padrino». È una questione di etichetta ‘ndranghetistica, Scali – spiega “Micu McDonald” – mi ha riferito la sua posizione all’interno della ‘Ndrangheta essendo un suo dovere dichiararsi di fronte a un membro della famiglia Agresta, quale sono io». Il collaboratore di giustizia racconta di aver conosciuto altre persone di Mammola e di sapere che «tra Mammola ed il Lussemburgo ci sono rapporti molto particolari». Agresta parla di «traffici di droga» e dice di conoscere «bene il figlio di Rodolfo Scali (Salvatore, anche lui indagato, ndr) perché a lui vendevo droga; lo conosco personalmente e so che anche lui è intraneo alla ‘ndrangheta». Poi torna sulle cortesie tra cosche: «Quando sono stato affiliato, nell’estate del 2008, ho ricevuto gli auguri da parte della locale di Cuorgné, nonché da parte dei membri della famiglia Scali, che mi fecero pervenire gli auguri per quella circostanza. Rodolfo Scali e il figlio venivano spesso da me per rifornirsi di droga che io avevo sempre a disposizione, per poi cederla a Enzo Callà, per la successiva attività di spaccio, tramite un soggetto che si chiamava Valerio, di cui non sono a conoscenza del cognome. Questo accadeva anche prima della mia affiliazione, già dall’anno 2007». 

«Fiorenzi figura impiegato per la Forestale ma vive in Lussemburgo»

Dei legami tra Mammola e il Lussemburgo parla anche un altro collaboratore di giustizia, Antonio Ciccia, quasi otto anni fa. L’interrogatorio risale al 22 settembre 2015. Ciccia dice di essere «a conoscenza dei nomi di numerosi esponenti della ‘Ndrangheta che vivono in Lussemburgo che sono originari di Mammola». Qualche giorno dopo, il pentito dettaglia: «Come ho già scritto vi sono molti miei paesani affiliati che si trovano o sono andati in passato in Lussemburgo. Non so la ragione di tale scelta e cioè non so dire se lì sia stato costituito e autorizzato un locale di ‘ndrangheta, ma ciò che posso dire è che nel tempo in Lussemburgo sono andati Nicodemo Fiorenzi, Nicodemo Deciso, che fanno la spola tra il Lussemburgo e Mammola». Fu un altro uomo vicino al clan a dire a Ciccia «che Fiorenzi era stabilmente in Lussemburgo pur figurando residente a Mammola e impiegato presso la locale forestale, dove ovviamente non andava mai a lavorare».

La prima partenza dopo il delitto Macrì. «Il capo non voleva una faida»

Il pentito spiega anche il motivo di alcuni trasferimenti. Uno dei primi mammolesi a partire per il Lussemburgo lo avrebbe fatto «molti anni fa, a seguito dell’omicidio di Isidoro Macrì avvenuto a Mammola negli anni 80». Il primo emigranti sarebbe proprio l’autore dell’omicidio, che sarebbe stato fatto allontanare «per sfuggire alla vendetta dei Macrì» e «per volere del capo locale di Mammola che non voleva che scoppiasse una faida». Una diaspora allargata anche al fratello della vittima». E avrebbe portato all’estero il figlio del presunto “capo” del “locale” di Mammola: «In Lussemburgo è andato anche il figlio di Rodolfo Scali». 

La Dda: «In Lussemburgo un distaccamento della “locale” di Mammola»

Per i magistrati antimafia di Reggio Calabria, l’attuale referente del clan in Lussemburgo è Nicodemo Fiorenzi. Questo ruolo emergerebbe da una serie di conversazioni intercettate a partire da una richiesta lecita, quella di un 49enne che «voleva andare a lavorare in Lussemburgo e si era rivolto ai mammolesi affinché gli trovassero una occupazione lecita». Questa richiesta viene girata immediatamente a Fiorenzi che si mostra possibilista sull’assunzione ma «precisa di volerne prima parlare con “Enzo” (che i magistrati identificano in Vincenzo Cordì, “attualmente reggente della cosca Cordi, ormai egemone nel “locale” di Locri”)». Fiorenti ha «l’autorità per interloquire al riguardo e per rilasciare l’autorizzazione richiesta». Lo spiega anche il presunto capo società Damiano Abbate: «Parlate con Nico, la stessa persona mia, Nico può rispondere a qualsiasi tavolo». Attorno al tentativo di trasferimento di questa persona in Lussemburgo si svolgono dialoghi che per gli inquirenti sono significativi. In particolare ne viene evidenziato uno tra Abbate e Scali. Il primo esordisce: «Quando voi mandate uno dei Cordì, voi sapete che Nico è con noi, il cognato è con noi, i Mammolesi che sono là, o sono con noi…» «O non c’è n’è per nessuno», Scali completa la frase. E Abbate continua: «O muoiono… vanno a lavorare e farsi i cazzi loro. Perciò, voi dovete parlare con noi. Parlate con Nico, la stessa persona mia, Nico può rispondere a qualsiasi tavolo. Sia al posto mio e sia al posto di mio cognato. Ma voi ce lo dovevate dire!…O dirgli a Nico: diteglielo a Damiano ed a Rodolfo»). Per i magistrati «si può affermare, con tranquillizzante certezza, che quello del Lussemburgo è un distaccamento della “locale” di Mammola ed è sotto la direzione di Nicodemo Florenzi (il quale la dirige e ne risponde in proprio ma deve comunque informare i vertici di Mammola di ogni accadimento rilevante ed attuare le loro direttive/disposizioni)». Classico schema delle proiezioni internazionali della ‘Ndrangheta: autonomia gestionale sì, ma fino a un certo punto. Quando un Cordì vuole trasferirsi deve chiedere un bel po’ di permessi. (p.petrasso@corrierecal.it)

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