REGGIO CALABRIA «A me me li devono portare a casa! Sennò gli spacco le corna! Che non succeda più! L’anno prossimo non monta se non mi porti i gettoni a casa! L’anno prossimo lo dico io …(inc)… deve portare prima i gettoni, 500 gettoni a me e 500… (ine abbassa la voce)…, Ahò se ti piace è così». Si parla anche di biglietti e gettoni per autoscontri e dischi volanti nelle intercettazioni dell’inchiesta “Malea” contro la locale di ‘ndrangheta di Mammola. L’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata dal Procuratore Giovanni Bombardieri ha portato all’arresto di 12 persone ritenute appartenenti a una vera propria cellula mafiosa operativa sul territorio del piccolo centro dell’area jonica. E nelle conversazioni in cui si parla delle estorsioni a danno dei giostrai della zona, in particolare durante la festa di San Nicodemo, patrono di Mammola, i protagonisti sono Rodolfo Scali e Damiano Abbate. Il primo al vertice del clan, con il presunto ruolo di Capo Locale, già coinvolto in passato nelle indagini “Prima Luce”, “Crimine” e “Minotauro”. Ad affiancare Scali nella conduzione del sodalizio e nell’attuazione del programma criminoso ci sarebbe stato il cognato, Abbate, con il ruolo di Capo Società. Tra i due, secondo quanto emerge nelle intercettazioni, c’erano differenze di vedute sulle estorsioni ai giostrai. Scali, infatti, voleva agire sotto traccia per «non esasperare eccessivamente le persone offese ed evitare reazioni esacerbate che avrebbero potuto avere conseguenze giudiziarie».
Era ai ragazzi che, secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, i due presunti affiliati volevano arrivare per «acquisire consensi» e «suggellare il potere del clan agli occhi della comunità». Pretendevano dunque biglietti e gettoni omaggio per accedere alle giostre da distribuire «ai loro accoliti, familiari e a chi gliene faceva richiesta. Ciò a dimostrazione – scrivono gli inquirenti – che tutto passava sotto il controllo della loro associazione mafiosa e, nel caso di specie, l’elargizione gratuita dei gettoni per le giostre era finalizzata a suggellare il potere del clan agli occhi della comunità di Mammola, anche in occasione delle festività religiose». In cambio i giostrai avevano la possibilità di lavorare nel territorio di Mammola «in sicurezza e senza subire danneggiamenti alle giostre montate in occasione della festa di San Nicodemo». Secondo gli investigatori si trattava dell’ «espressione di un modus operandi collaudato e pienamente efficace per soddisfare gli interessi complessivi della cosca». «Ora ci hai rotto i coglioni! …(inc)… ti dico io quanti gettoni mi devi portare, se ti sta bene, altrimenti te ne stai a casa! Perché tu devi vivere e io non i soldi da dare a questi ragazzi che vogliono andare girando sulle giostre!». Era agguerritissimo sul punto Damiano Abbate che con queste parole minacciava un giostraio, che se non avesse corrisposto un gran numero di gettoni non avrebbe più potuto lavorare sul territorio. Un imperativo che andava in contrasto con quanto invece indicato dal cognato Rodolfo Scali.
«No, non vai a comprarli, non vanno a farsi i giri (sulle giostre), che devono girare a fare? …(inc)… fottono di loro di girare, che devono girare più? Damià vedi che ci fottono con questi gettoni!». Era preoccupato Scali. Una preoccupazione espressa al cognato più di una volta, perché – scrivono gli inquirenti – «era ben consapevole del fatto che una cosa che apparentemente poteva sembrare banale, come la richiesta di gettoni al giostraio, in realtà poteva prendere una piega molto più grave (cosa che in realtà era, ndr.)». Ma da Abbate l’atteggiamento di Scali era ritenuto troppo cauto, perché era meglio correre il rischio di essere arrestati, piuttosto che venir meno agli impegni presi con «questi ragazzi che sono vicini a noi!», a cui distribuire i gettoni delle giostre: «Non me ne fotte che ci arrestano a noi!». (redazione@corrierecal.it)
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