REGGIO CALABRIA Rodolfo Scali, presunto boss di Mammola, «si atteggia a uomo d’onore vecchio stampo capace di ben comportarsi anche nei periodi di detenzione». I magistrati della Dda di Reggio Calabria ne sottolineano «il ruolo direzionale» e il «carattere estremamente violento che lo spingeva a ipotizzare, a nome dell’associazione mafiosa, azioni violente anche nei confronti delle forze dell’ordine e delle istituzioni». Un capo tutto d’un pezzo, Scali, che – in una conversazione intercettata l’11 agosto 2016 – affermerebbe «chiaramente di far parte della “società” di Mammola» e si lancerebbe «in invettive nei confronti degli appartenenti all’associazione ritenuti deboli», cioè «non in grado di sopportare adeguatamente la galera». Il presunto boss sembra «quasi elogiare – sintetizza il gip distrettuale – l’operato delle varie operazioni di polizia per aver fatto quella “pulizia” che avrebbe dovuto fare la ‘Ndrangheta al suo interno».
«Lo sai – dice al proprio interlocutore – che gli ho detto sempre; ho detto io delle volte; ci hanno arrestato a tutti, no? Però non tutto viene per male. Perché… che ti voglio dire… la pulizia che dovevamo fare noi l’hanno fatta loro; perché adesso l’ottanta per cento di quelli che hanno arrestato, quando escono; che te lo garantisco io questo…».
La frase non cancella certo il malanimo di Scali nei confronti delle forze dell’ordine. Il “capo società” è sottoposto in quel momento alla sorveglianza speciale per tre anni («mi hanno rovinato – spiega – non mi posso muovere qua») ma è arrabbiato non solo per la sua personale situazione giudiziaria. Anche la condizione generale vissuta dalla ‘Ndrangheta lo preoccupa. Esprime, per gli inquirenti, «livore e spirito di vendetta». Usa parole violente: «Guarda a volte, a volte mi viene voglia di entrare, di entrare con un Kalashnikov lì; lì, vado con un Kalashnikov nelle mani, nella caserma e me li macello a tutti; ti giuro, sai!». La sua analisi condanna l’atteggiamento dei clan: la colpa della situazione sarebbe «della debolezza manifestata dalla ‘Ndrangheta calabrese, che avrebbe dovuto reagire per fare fronte agli attacchi dello Stato». «Che troppo i deboli abbiamo fatto; mannaggia la putt… ; nella Calabria; che fanno quelle che cazzo vogliono, e tutti zitti», sintetizza. L’interlocutore, evidentemente a conoscenza di fatti legati alla ‘Ndrangheta, concorda: «Ci hanno macinato… ci hanno macinato».
Scali, a quel punto, riparte con le invettive nei confronti dei carabinieri applicati ai controlli sulla sua sorveglianza speciale. «Gli ho detto: comunque, vi dico una cosa io: vedete che non sono il Rodolfo di una volta io; segue… che stava calmo; gli ho detto: io ho i miei problemi; gli ho detto, non vi permettete nessuno di fare qualcosa di più di quello che dovete fare, perché vedete che vi prometto che sono nelle condizioni di farlo; non crediate che solo l’Isis è capace di fare quello che sta facendo; che sono capace anche di ammazzare; diglielo a tutti, a tutti chi viene, di non disturbarmi molto a me, vengono mi controllano…».
Scali si sente un capro espiatorio a Mammola, «accusato sol perché accostato a Giuseppe Commisso “il mastro” e al fratello Antonio Commisso». La colpa, per l’uomo che si paragona all’Isis, non è tanto degli investigatori quanto dei «deboli» che popolano le cosche calabresi. «Guarda che la colpa non ce l’hanno loro – esclama –, la colpa è delle persone deboli, perché quelli che vengono a sedersi vicino a noi sono deboli, che vanno a raccontagli tutte le cose; gli raccontano chi sono le persone più forti… chi sono le persone che.. le persone che possono fare male; ti sembra loro con chi se la prendono? qualcuno che ci conosce: vedi che le persone che possono fare del male sono questi, questi, e questi altri».
«Che io – continua Scali – nei carceri, che ne ho girato carceri, tutti (parola incomprensibile), quando escono dal carcere l’ottanta per cento non escono neanche più dalla casa (…) e da una parte è stato un bene che almeno è stata fatta pulizia… se vuole fare l’uomo, se vuole fare l’uomo lo deve fare anche nel carcere, no, no di fuori (…) che piangono, si pestano, gocce; a destra, ma stiamo scherzando!.. ma fai l’uomo per favore se lo vuoi fare va!».
Nelle lamentazioni tra presunti ‘ndranghetisti Scali se la prende con chi, a suo dire, non avrebbe la stoffa per stare nelle cosche e si rammarica «perché il comportamento di queste persone non considerate dei veri e propri “uomini”, nel corso del tempo, aveva fatto perdere la forza, la credibilità e la reputazione dei calabresi nelle carceri, con ripercussioni negative per tutta la ‘Ndrangheta in generale». Altra mini lezione di comportamento in prigione: «Nel carcere c’è la vergogna, la vergogna, credimi; i napoletani me lo dicevano a me: Rodo’, mi viene la vergogna nel vedere i quattro calabresi, perché una volta voi calabresi portavate la bandiera; ed è vero perché nei carceri portavano la bandiera i calabresi; adesso siete la vergogna dei carceri; è vero mannaggia la putt…, tutti che piangono». (ppp)
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