Il 28 luglio 2023, in Calabria, circa 16.000 famiglie, hanno ricevuto dall’Inps, il laconico e algido sms, con il quale è stato comunicato loro la sospensione dell’erogazione del reddito di cittadinanza. Lo stesso sms è stato inviato, su tutto il territorio nazionale, anche, ad altre 200.000 famiglie. E tanto in ottemperanza all’art. 13 del D.L. 48/2023, poi convertito nella legge 85/2023. Si badi, innanzitutto, al primigenio strumento normativo adoperato: il decreto legge. Il decreto legge, ex art. 77 Cost., è il provvedimento, avente forza di legge, che il Governo può adottare, esclusivamente, nei “casi straordinari di necessità e di urgenza”.
Dunque, per il governo Meloni-Salvini-Tajani, l’abolizione del reddito di cittadinanza ha rappresentato una priorità emergenziale assoluta e indifferibile. Tanto da ricorrere alla legiferazione d’urgenza, accompagnata, poi, dall’apposizione della questione di fiducia per l’approvazione della relativa legge di conversione. Quando si pone la questione di fiducia? Il governo pone la questione di fiducia su una legge, quando qualifica, tale atto, come fondamentale per la propria azione politica, facendo dipendere, dalla sua approvazione, la propria permanenza in carica. P
onendo la fiducia sulla legge, tutti gli emendamenti decadono e la legge deve essere votata così come è stata presentata. Cioè a dire: l’iter legislativo ha certificato la cieca, bieca e forsennata avversione del governo in carica verso il reddito di cittadinanza. Bene, anzi male, molto male. Sgombriamo, subito, il terreno da ogni orpellante equivoco. Io la penso esattamente così. Il reddito di cittadinanza, introdotto dal governo Conte-Salvini, nella sua originaria strutturazione, confessava, da sé, la propria manifesta matrice propagandistica. Proponendosi come una panacea oppiacea, ingannevole e frustrante. È stato concesso attraverso una indiscriminata elargizione a pioggia, che ha, inevitabilmente, foraggiato, nel concomitante fallimento dei farraginosi meccanismi di avvio al mercato del lavoro e degli aleatori strumenti di controllo, cospicue sacche di intollerabile parassitismo. È concepibile, è eticamente coerente garantire il sussidio anche a un giovane di 18 anni o di 20 anni, o anche, di 30 anni, di belle speranze e di sana e robusta costituzione? Assolutamente no. Perché, al di là della pur ingombrante e triste liturgia del “divanismo”, la garanzia del sussidio, così impostata, ha inoculato un fragoroso corto circuito incendiario dentro il principio dell’uguaglianza sociale, siccome sagomato dall’art. 3 della Carta Costituzionale.
Pari dignità sociale – ammonisce il Maestro Perlingieri – significa che ciascuno sia libero dal bisogno, cioè sia in condizione di realizzare per sé e per la propria famiglia una vita libera e dignitosa. Il reddito di cittadinanza, nella sua abnorme sequenza applicativa, ha radicalizzato lo stato di bisogno, sacrificando la dignità dell’uomo. E. sempre il Maestro Perlingieri, scriveva che «il precetto costituzionale dell’uguaglianza, nella giustizia sociale, è violato quando, senza giustificazione costituzionalmente rilevante, cittadini in situazioni differenti e sperequate subiscono un trattamento identico».
È eticamente coerente riservare lo stesso trattamento al giovane di 18 anni, aitante e prosperoso, e al padre di famiglia di 50 anni, che ha perso il posto di lavoro? Assolutamente no. E, allora, è evidente che il reddito di cittadinanza presentava patologici profili distorsivi. Ma mi domando: la correzione della patologia intersecava, esclusivamente, la soppressione della misura. Della serie: butto a mare il bambino con tutta l’acqua sporca. O, piuttosto, occorreva – come era giusto che fosse – introdurre gli opportuni e indifferibili correttivi? Attenzione: l’abolizione del reddito di cittadinanza avrà effetti devastanti; in Calabria, produrrà un’ecatombe sociale.
A fronte di un manipolo di “divanisti”, qui nella nostra Regione, c’è una platea di povera gente, in carne e ossa, che, fra venti giorni, consumata l’ultima mensilità del reddito di cittadinanza, liquidata il 27 luglio, non avrà più un centesimo in tasca. Chi darà da mangiare ai figli di questa povera gente? La Caritas? In Calabria centinaia e centinaia di nuclei familiari, finora, sono riusciti a soddisfare i propri bisogni primari solo grazie al reddito di cittadinanza.
D’ora in avanti ci saranno migliaia di famiglie senza lavoro e senza reddito. In una Regione, la Calabria, ,nella quale, da una parte, i tassi di disoccupazione raggiungono primati unici a livello nazionale e, dall’altra parte, l’economia versa in una fase di comatosa stagnazione, che blocca i processi di investimento e, quindi, la creazione di nuova occupazione.
In Calabria il mercato del lavoro è in profonda crisi: le imprese non assumono. E, allora, qual è la drammatica prospettiva? Migliaia di persone, di padri di famiglia si trovano, oggi, di fronte a questo angosciante dilemma: rimanere disoccupati e senza sussidi e vivere di espedienti, al fine di raggiungere la soglia minima di reddito, che garantisce la sussistenza, oppure emigrare.
L’abolizione del reddito di cittadinanza, qui in Calabria comporterà, quindi, sia un aumento dell’occupazione irregolare, cioè del lavoro nero, praticato in condizioni di sfruttamento schiavistico, sia lo spopolamento. Ma, anche, un crollo dei consumi. Infatti, i percettori del reddito di cittadinanza, hanno, indubbiamente, alimentato, negli ultimi quattro anni, l’economia locale. Comporterà anche un incremento della microcriminalità? Per la verità, non ci sono dati validati a sostegno di questa ipotesi. È, tuttavia, è probabile che succeda. È probabile che si registrerà, anche un aumento della microcriminalità. E non mi si dica che, da settembre, potrà essere richiesto il supporto per formazione e lavoro da 350 euro al mese per un massimo di 12 mesi. Perché, al di là della risibile irrisorietà della somma, per accedere al supporto bisogna essere ancora più poveri dei poveri, ai quali viene concesso il reddito di cittadinanza. E, nel frattempo, la protesta sociale comincia a montare con ingravescente lievitazione.
Nello scorso fine settimana presso gli Uffici welfare del Comune di Cosenza si sono registrate le prime calche di centinaia di persone, che chiedono di essere prese in carico. Ma è inutile recarsi presso le Municipalità, perché i Comuni hanno le mani legate. La presa in carica per il fantomatico supporto per formazione e lavoro avviene attraverso una piattaforma, gestita esclusivamente, dai Centri per l’Impiego. Gli assistenti sociali, i dipendenti, i dirigenti degli uffici welfare, gli amministratori sono, tutti, dalla parte dei cittadini, ma, in questo caso, non possono fare nulla. Lo scenario è, per davvero, drammaticamente, allarmante.
*presidente della commissione Welfare del Comune di Cosenza
x
x