REGGIO CALABRIA Nicodemo Ciccia è, tra i collaboratori di giustizia del Reggino, quello che più contribuisce a tratteggiare la figura di Rodolfo Scali, presunto boss di Mammola. Una conversazione captata dagli investigatori il 10 gennaio 2017 evidenzia – secondo i magistrati della Dda di Reggio Calabria – che Scali, già coinvolto nell’inchiesta “Crimine Infinito” avrebbe ancora un ruolo nella ‘Ndrangheta e fornirebbe «un importante riscontro alle dichiarazioni» del pentito sul clan del piccolo centro dell’Aspromonte. Da questa telefonata, gli inquirenti ricavano alcuni spunti sulle attività del “capo società”. La prima: «il gruppo dei detenuti calabresi spadroneggiava all’interno del carcere di Torino». E all’interno del penitenziario sarebbe stato «ben funzionante un sistema di ‘mbasciate anche in ordine alle scelte collaborative dei vari detenuti».
Osservazione che riguarda direttamente la scelta di alcuni pentiti: «Facevamo quello che volevamo noi là a Torino – dice Scali –. Arrivo a Voghera… mi hanno mandato una ‘mbasciata e mi hanno detto: “Rodò, vedi che il tuo paesano ha saltato il fosso” (riferendosi a Antonio Ciccia, ndr)… azzo!! Ho detto io perché mi hanno trasferito… perché il cornuto avendo a me lì… stava… sai come stava…». Scali racconta che, «non fidandosi completamente dell’associato Nicodemo Ciccia era stato ben attento a non rivelargli troppi dettagli in ordine alla propria attività delinquenziale». Una scelta che «si era rivelata accorta, dato che il sodale Ciccia – appunta il gip – era, successivamente, divenuto un collaboratore di giustizia».
«Io non li conoscevo questo ragazzi – spiega Scali al proprio interlocutore – non me li ricordavo… ti dico la verità, no… Non me li ricordavo… Quando sono arrivato a Torino io, c’erano persone di Gioiosa, Platì, così, a destra, a sinistra… Ci siamo salutati con tutti, dopo un poco “Rodolfo, vedi che ci sta un paesano tuo, che è un bravo ragazzo”… qua e là… chi è?… me lo hanno presentato…. a Nicaredo, io non lo conoscevo… ha detto: “Vedi che è un ragazzo che vale la pena, che qua che la”… gli ho detto: “A me piacere mi fa”… però io sono rimasto sempre nel mio ti dico la verità, non è che i cazzi miei glieli dico a dico a lui… meno male… Che con me buongiorno, buonasera..».
Sei giorni dopo, Scali torna sull’argomento e dichiara «di essere sicuramente oggetto di indagine a seguito della collaborazione dei fratelli Ciccia». Il presunto boss cerca di mantenere «un profilo basso per tutelare gli altri appartenenti all’associazione mafiosa». «Loro dicono – racconta – che lui è l’unico che qua non riusciamo a curvare è lui, okay… Adesso loro cosa fanno, pensano che io sono uscito e torno a… ad organizzare tutte cose, no! Teniamolo sotto perché così; perché ci sono i Ciccia, i fratelli Ciccia, quelli che se la sono cantata… lo l’ho conosciuto nel carcere (Nicodemo Ciccia, ndr), però gli hanno detto chi è… hai capito chi è?… Non è… è stanno vedendo se loro riescono ad intercettare a me a vedere chi sono gli altri… evito di andare da una parte e dall’altra per non inguaiare le persone…».
I riscontri confermano il contesto delle intercettazioni. Il collaboratore di giustizia Antonio Ciccia è, in effetti, nato a Mammola nel 1972 «e le sue dichiarazioni hanno interessato la Locale di Mammola e Scali». Il pentito è stato in carcere a Torino tra il febbraio e il settembre del 2012 «e, per circa cinque mesi, codetenuto con Rodolfo Scali». Altra conferma: Ciccia ha reso le sue prime dichiarazioni ai carabinieri di Ivrea il 6 giugno 2015 e Scali è stato trasferito nella casa circondariale di Voghera il successivo 12 luglio. Quando racconta quel trasferimento, il boss rievoca il proprio stupore. «Ci stava un appuntato che è venuto lì, la mattina alle sette… gli ho detto io “apri la cella”, che alle sette mi aprivano la cella. Mi ha detto: “Scali, non capisci niente… preparati la roba che tra un’ora devi essere in partenza”». Una stranezza che non sfugge al boss. E che trova una forma compiuta una volta che il trasferimento si concretizza e Scali arriva a Voghera. Quel «Rodo’, vedi che il tuo paesano ha saltato il fosso» spiega tutto. E forse preoccupa il “capo società” di Mammola, anche se nelle intercettazioni non lo dà a vedere. Sei anni dopo la Dda di Reggio Calabria chiude nuovamente il cerchio su Scali e il suo gruppo. (p.petrasso@corrierecal.it)
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